Febbraio 2024

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    Ci vestiremo con capelli e alghe per rispettare l’ambiente

    Per affrontare un problema enorme come la crisi climatica ci vuole anche creatività. E quale settore se non quello della moda ha nella creatività proprio uno dei suoi elementi più caratteristici? L’industria del fashion ha un impatto per nulla trascurabile sull’ambiente. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), contribuisce per una percentuale compresa tra il 2 e l’8% alle emissioni globali di gas a effetto serra. Non solo, è anche responsabile del 9% delle microplastiche disperse negli oceani e consuma circa 215mila miliardi di litri di acqua all’anno. 

    La coltivazione del cotone, per esempio, che è tra le fibre tessili naturali più utilizzate a livello globale insieme alla lana e il lino, ha bisogno di molta acqua ed è associata a un massiccio utilizzo di pesticidi. Le fibre sintetiche, come il poliestere e il nylon, sono invece realizzate con polimeri ottenuti da derivati del petrolio e ad ogni ciclo di lavaggio rilasciano microplastiche nell’ambiente. Per non parlare dell’industria conciaria e della pelle, che, oltre a richiedere un elevato consumo di acqua e a produrre una grande quantità di rifiuti speciali, viene spesso accusata dagli ambientalisti di aggravare la piaga della deforestazione in Amazzonia.

    Longform

    L’industria della moda può diventare sostenibile?

    di Vittorio Emanuele Orlando

    10 Marzo 2023

    Insomma, la sostenibilità è diventata un imperativo per il settore moda. Da qui l’impegno di diverse startup e aziende per mettere a punto nuove alternative più ecologiche rispetto ai materiali tradizionali. Le idee non mancano, e vanno dal riutilizzo di prodotti di scarto all’impiego di fibre vegetali fino a poco tempo fa considerate impensabili. 

    La “forza” dei capelli

    Ad Amsterdam una giovane designer ungherese, Zsofia Kollar, ha dato vita nel 2021 a Human Material Loop. Il suo obiettivo?  Recuperare da saloni di bellezza e negozi di parrucchieri i capelli umani tagliati per realizzare indumenti. Si stima che ogni anno soltanto in Europa vengano tagliati capelli per un peso complessivo di circa 72 milioni di chilogrammi. Quando non possono essere donati per fare parrucche, i capelli tagliati finiscono solitamente nell’indifferenziata per essere poi trattati nei termovalorizzatori o smaltiti in discarica.

    (foto: Human Material Loop)  LEGGI TUTTO

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    Fridays For Future Italia in marcia per il clima, la pace e il lavoro

    A lungo abbiamo atteso delle elezioni climatiche, in cui l’ambiente fosse un tema dirimente e obbligatorio per i programmi di ogni partito. Finalmente il voto in cui il clima è decisivo è arrivato, ma come spesso accade le cose vanno diversamente da come te le saresti immaginate.Le proteste dei trattori sono l’ultimo stadio di un sentimento tramutato in consenso da partiti dall’Olanda alla Finlandia passando per la Polonia e la Germania, che hanno fatto dell’antiambientalismo un proprio cavallo di battaglia, e l’anticipazione di una fiamma che rischia di cambiare l’Europa al voto.”Dovreste chiedere a un’anziana signora se preferisce morire di freddo o riscaldarsi col carbone” è uno dei loro slogan.Gli agricoltori hanno problemi di reddito, che in Italia per loro è calato tre volte più della media europea, e sono con l’acqua alla gola come molti altri cittadini europei: crisi economica, crisi del patto sociale, crisi climatica, quindi fenomeni atmosferici estremi, siccità, perdita di fertilità del suolo.Solo che la riposta, cavalcata dalla destra, che si danno sulla madre di tutti i loro problemi, è la transizione ecologica.”C’è il rischio che il cambiamento climatico diventi quello che le migrazioni erano venti anni fa, un’area dove il populismo può fare leva sull’ansia pubblica e rappresentare gli oppositori politici come fuori contatto con le persone” ha detto al Financial Times la climatologa Friederike Otto.Questa frattura non può che essere curata da una visione lungimirante che si faccia portatrice di una transizione equa e giusta, che non lasci indietro nessuno.Per questo i movimenti per il clima stanno provando sempre più a costruire un’alleanza con i lavoratori e le lavoratrici, partecipando ai picchetti di Mondo convenienza, agli scioperi dei metalmeccanici, ai presidi davanti ai cancelli della Lear, al sogno di GKN e alle altre istanze del settore dell’automotive in crisi.Nell’autunno del 2023 Stellantis, che sta progressivamente allontanando la produzione dal nostro Paese, ha inviato una lettera che invita 15.000 dei suoi dipendenti italiani alle dimissioni incentivate.Nell’ultimo decennio, Stellantis ha convinto circa 10.000 impiegati in tutta Italia a licenziarsi e “costruire il proprio futuro” lontano dall’azienda.Tutto questo mentre la multinazionale ha realizzato negli ultimi anni guadagni altissimi: 16,8 miliardi di euro di profitti nel 2022, in aumento del 26% rispetto all’anno precedente, con utili distribuiti agli azionisti per 4,2 miliardi (e neanche un euro di tasse sugli stessi versato in Italia). Non solo: Stellantis stessa prevede di raddoppiare i propri ricavi netti entro il 2030 grazie al passaggio all’elettrico.Ma la sola produzione della 500 elettrica non basta a tenere in vita lo storico stabilimento di Mirafiori e le promesse del governo patriota sul “Made in Italy”, mentre la produzione della Panda elettrica viene de localizzata in Serbia, quella della 600 in Polonia e quella della Topolino in Marocco.A inizio febbraio, lo sciopero spontaneo degli operai delle carrozzerie di Mirafiori ha lanciato un segnale preciso e potente: il livello di guardia è stato superato. Migliaia di persone hanno il diritto di sapere cosa sarà del proprio futuro.”Per questo, per altro, per tutto” in un weekend di mobilitazione che comincia oggi con le fiaccolate per la pace e continua a Milano con la manifestazione nazionale per Gaza, domani, sabato 24 febbraio, saremo a Torino davanti ai cancelli di Mirafiori per continuare il cammino di condivisione tra l’attivismo ambientale e le istanze operaie e per ripensare insieme le politiche di reindustrializzazione.

    Saremo in marcia per il clima e per il lavoro.   Everyone is welcome, everyone is needed

    (Giorgio Brizio è autore e attivista di Fridays For Future Italia) LEGGI TUTTO

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    Donato Giovannelli, un microbiologo ai confini del mondo

    Salirà sul vulcano Poás, in Costar Rica, e poi volerà alle isole Svalbard, al circolo polare artico: sono le terre abitate più a nord del pianeta.  Quindi si immergerà attorno alle sorgenti termali naturali, in Grecia e alle Eolie e, ancora, dalla Patagonia all’Islanda, senza soluzione di continuità. Ha sempre le valigie pronte, Donato Giovannelli. La sua missione? Esplorare i luoghi più remoti della terra. Una spedizione dopo l’altra, senza mai fermarsi. Lo scopo? Studiare la biodiversità degli ambienti estremi, trovando risposte sull’interazione tra geologia e biologia. LEGGI TUTTO

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    Il ghiaccio marino artico si sta riducendo a una velocità senza precedenti

    “Il ghiaccio marino artico si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità che non ha precedenti, riducendo l’estensione dello schermo bianco in grado di riflettere energia termica nello spazio. La fusione del permafrost terrestre e subacqueo causa una drammatica accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera”. L’allarme arriva dal Cnr, durante il meeting annuale del Programma Ricerche in Artico, organizzato a Roma, un’occasione per fare il punto sulla gravità della crisi climatica e della distruzione di biodiversità in atto nella calotta polare artica, oltre che per valutare gli scenari di ulteriore impatto antropogenico sull’area.”La jet stream atmosferica che circonda l’Artico sta perdendo velocità, portando occasionalmente aria fredda alle medie latitudini ma causando ulteriore riscaldamento in Artico. La calotta di ghiaccio della Groenlandia è destabilizzata e destinata a causare un innalzamento del livello del mare globale senza precedenti negli ultimi 10.000 anni”, spiega Fabio Trincardi, direttore del Dipartimento di scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Dsstta), e rappresentante uscente dell’Ente nel Comitato Scientifico Artico del PRA.

    Biodiversità

    C’è sempre meno ghiaccio e gli orsi polari rischiano di morire di fame

    di redazione Green&Blue

    13 Febbraio 2024

    I più recenti rilevamenti confermano che l’aumento della temperatura in Artico è drammaticamente superiore alla media mondiale, con alcune regioni che presentano un aumento fino a 2.7 C ogni dieci anni, corrispondente addirittura a 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura.L’atmosfera polare, chiarisce Lucilla Alfonsi di INGV parlando dell’interazione tra attività solare e magnetosfera terrestre, è continuamente esposta alle variazioni dall’attività solare, a causa della conformazione del campo magnetico terrestre che, di fatto, invita le particelle cariche trasportate dal vento solare ad entrare nella nostra atmosfera dando luogo anche a meravigliose manifestazioni naturali come le aurore. Possiamo quindi considerare le regioni polari come sentinelle delle condizioni dello spazio che circonda la Terra. Questa caratteristica rende l’atmosfera polare un formidabile laboratorio naturale per lo studio delle relazioni Sole-Terra anche nell’ambito della meteorologia spaziale, disciplina che ambisce a prevedere e a mitigare gli effetti dannosi delle perturbazioni solari su tecnologie largamente usate (quali, ad esempio, quelle che utilizzano i satelliti GPS).

    Lo studio

    Geoingegneria per salvare le calotte polari: così gli scienziati studiano come raffreddare il pianeta

    di Marco Tedesco

    05 Febbraio 2024

    La riduzione del ghiaccio marino sta anche favorendo un incremento del traffico navale nella regione, con conseguente aumento dei rifiuti in mare e soprattutto con un aumento delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa.Studi recenti confermano come anche gli incendi nella zona boreale – soprattutto nelle regioni siberiane come la Yakutia – stiano pericolosamente aumentando a causa della crisi climatica in atto. Si osservano anche importanti variazioni nella struttura e nella circolazione dell’oceano e dell’atmosfera, e impatti importanti sull’ecosistema. 

    Nell’ambito delle attività finanziate attraverso il Programma di Ricerca in Artico, i progetti Past-Heat e Sentinel, coordinati rispettivamente da Tommaso Tesi e Andrea Spolaor dell’Istituto di scienze polari del Cnr, hanno complessivamente dimostrato l’instabilità della criosfera artica, come ghiaccio marino e permafrost, a seguito di rapidi eventi climatici.

    L’emergenza

    Cambiamento climatico, l’Artico sta perdendo la memoria

    di redazione Green&Blue

    13 Febbraio 2024

    Past-Heat ha dimostrato come eventi caldi nel recente passato (circa 15.000 anni fa) caratterizzati da un rapido innalzamento del livello marino abbiano generato contestualmente un improvviso e massivo collasso del permafrost costiero in Siberia”. Sentinel, invece ha dimostrato che, durante l’ultima deglaciazione (tra 15000 e 9000 anni anni fa), le variazioni di ghiaccio marino e la maggior esposizione di superfice marina abbiano influenzato le emissioni di mercurio in Artico oltre a dimostrare la rapida diminuzione attuale del ghiaccio marino sul ciclo del vapor d’acqua.”Uno dei risultati più rilevanti riguarda la fusione del permafrost che si traduce nel rilascio di gas climalteranti, soprattutto metano, in atmosfera ma anche di virus, come l’Antrace, e di enormi quantità di sostanza organica in oceano”, documenta il progetto di Tommaso Tesi (Cnr-Isp) che, prima della difficile situazione politica in Europa, ha studiato l’area siberiana e il mare di Laptev.  “Tutte queste variazioni influenzano processi che si estendono su scala globale. Quello che succede in Artico, non resta in Artico, ma impatta anche le medie latitudini”, ricorda Andrea Spolaor (Cnr-Isp).

    Tecnologia e ambiente

    Un dirigibile ibrido a emissioni zero porterà i turisti al Polo Nord

    di Marco Tedesco

    09 Febbraio 2024

    L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza da recenti studi anche di ricercatori italiani e rappresentano un esempio immediato di interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini. 

    L’Artico si conferma quindi una regione chiave per lo studio dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono sempre più evidenti a tutte le latitudini. Per queste ragioni il PRA si è focalizzato sul fenomeno della cosiddetta “amplificazione artica”, sugli ecosistemi artici, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico. LEGGI TUTTO

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    Alla scoperta della montagna terapia (e di se stessi)

    La montagna come luogo di riflessione per apprezzare la bellezza e superare “la fretta, l’inquietudine, la ribellione e l’egoismo”. La conquista di se stessi passa attraverso il rispetto e la conoscenza dell’ambiente naturale, ecco perché la montagna va apprezzata e preservata, anche in silenzio. Argomenti LEGGI TUTTO

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    Pannelli solari per creare nuvole e portare la pioggia nel deserto: uno studio

    Una distesa di migliaia di pannelli solari in grado di far nascere nuvole cariche di pioggia, anche nel pieno del deserto, dove l’acqua è ancora più preziosa. Sembra un’affermazione più fantastica, che scientifica, come ha evidenziato lo stesso autore dello studio Oliver Branch, climatologo dell’Università di Hohenheim, in Germania che sulle pagine di Nature ha affermato: “Forse non è fantascienza, perché possiamo produrre questo effetto”.L’esperto, che ha pubblicato la sua ultima ipotesi sulla rivista Earth System Dynamics, lavora in un campo pionieristico, che studia gli effetti degli impianti di energia rinnovabile (come le celle solari) sul clima, alterando i modelli meteorologici regionali. Nello specifico dello studio, il team guidato da Branch ipotizza che il calore sviluppato da grandi estensioni di pannelli solari scuri o da quelle che vengono chiamate “superfici nere artificiali” (ABS) possa dare origine a correnti ascendenti che, con le giuste condizioni climatiche, porterebbero temporali sulle lande desertiche, fornendo acqua per decine di migliaia di persone.

    Tecnologia

    Come catturare acqua dall’aria: il sistema sperimentato nella Death Valley

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    04 Settembre 2023

    Particolarmente interessati a queste ricerche, sono soprattutto i paesi ricchi di petrolio, ma poveri di acqua, come gli Emirati Arabi Uniti, in cui il problema idrico è molto sentito, tanto che il paese per soddisfare le esigenze di chi vive nel deserto, spende cifre enormi per le centrali di desalinizzazione o per le campagne di semina aerea, (ne fanno circa 300 ogni anno), usando aerei che spruzzano particelle nelle nuvole in transito per innescare precipitazioni.Branch, per comprendere l’applicabilità del progetto, ha usato un modello meteorologico, prodotto dal National Center for Atmospheric Research degli Stati Uniti, per studiare i cambiamenti climatici della superficie terrestre, avendo come riferimento centrali solari fatte con pannelli molto scuri, estese per almeno 15 km quadrati in grado di assorbire il 95% della luce del Sole; attraverso il processo di modellizzazione ha scoperto che il calore assorbito in superficie, in contrasto con la sabbia riflettente che li circondava, aumentava notevolmente le correnti ascendenti, che alimentano la formazione delle nuvole.”Naturalmente il calore da solo non basta, perché anche se la superficie del deserto rispetto a una superficie ricoperta da pannelli solari è più riflettente, per formare le nubi serve anche il vapore acqueo, che nel caso dello studio negli Emirati Arabi, è quello proveniente dal Golfo Persico, dove le masse di vapore, grazie al vento, si possono trasferire all’interno della costa. Quindi il calore prodotto dai pannelli crea dei movimenti ascendenti, cioè l’aria calda sale e su questa s’innesta il vapore, quindi la condensazione per la formazione delle nubi” spiega Vincenzo Levizzani, dell’Istituto Scienze Atmosferiche del Cnr di Bologna, che aggiunge: “Il modello utilizzato, ha simulato la copertura del suolo desertico con pannelli dalle determinate condizioni riflettenti ed assorbenti della radiazione solare e da lì hanno desunto che si potessero formare queste nubi.”

    Ricerca

    Una nuova tecnica per rendere potabile l’acqua salata producendo energia

    di Paolo Travisi

    08 Febbraio 2024

    Ed infatti, il modello ha individuato le condizioni migliori in un campo solare di 20 chilometri quadrati che avrebbe aumentato le precipitazioni di quasi 600mila metri cubi, equivalente a 1 centimetro di pioggia caduto su un’area grande quanto Manhattan. Se temporali di questa grandezza si verificassero 10 volte nell’arco di un’estate, fornirebbero abbastanza acqua per sostenere più di 30.000 persone in un anno.Lo studio tedesco di modellizzazione è stato finanziato dagli Emirati Arabi, ma secondo il climatologo, usando il loro schema la pioggia potrebbe essere indotta anche in altre aree del mondo, come la Namibia, Oman, la penisola della Bassa California, in Messico e Stati Uniti o nella zona desertica dell’Australia. 

    Il limite del progetto, oltre i costi di realizzazione o l’impatto ambientale provocato da una distesa enorme di pannelli solari, riguarda anche il materiale dei pannelli solari stessi, che devono essere molto scuri, tendenti al nero, mentre quelli attuali sono riflettenti e progettati per raffreddare l’ambiente circostante, non per scaldarlo. LEGGI TUTTO

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    La foresta fossile ricostruita in 3D svela com’erano le piante 300 milioni di anni fa

    È rotolato in un lago del Canada orientale 350 milioni di anni fa. Con ogni probabilità a causa di un violento terremoto. Rispetto ad altri alberi di quella foresta non si è sbriciolato o sedimentato sul fondo ma ha conservato, anche una volta diventato fossile, la sua forma tridimensionale. Questo esemplare di Sanfordiacaulis densifolia proviene da un periodo la cui botanica è ancora in parte poco conosciuta: il Mississippiano. È un intervallo tra i 359 e 313 milioni di anni fa durante il quale iniziano a evolversi le Cordaites, un genere di gimnosperme antenato delle attuali conifere come il pino e il larice, e una nuova flora gigante con felci ed equiseti arborei alti oltre venti metri. In questo ambiente le dimensioni di Sanfordiacaulis densifolia fanno pensare a una mosca bianca perché non si tratta di una pianta monumentale. Al contrario, potrebbe essere una delle prime rappresentanti del sottobosco. 

    Botanica

    L’isoete di Malinverni, il fossile vivente che dopo l’estinzione torna in Pianura Padana

    di Fabio Marzano

    07 Dicembre 2023

    Il fossile di questa specie enigmatica è stato ritrovato sette anni fa da un gruppo di geologi in un lago estinto del New Brunswick in Canada e per certi versi è stata una scoperta straordinaria perché la struttura tridimensionale della chioma è ancora intatta. Con un programma di computer grafica open source, i ricercatori ora hanno ricostruito una copia digitale 3D della sua morfologia. I risultati dello studio e la descrizione della pianta sono stati pubblicati sul numero di febbraio della rivista scientifica internazionale Current Biology.Sanfordiacaulis densifolia ricorda da lontano felci e palme come molta di questa flora primitiva: alta poco più di cinque metri contava oltre 250 foglie di tre metri disposte lungo un esile tronco di poco più di 15 centimetri di diametro mentre la chioma superava i cinque metri. Questa forma a ombrello rovesciato, secondo i ricercatori, era una strategia per sopravvivere in un habitat ombroso. “Con ogni probabilità queste foglie colossali servivano a ottimizzare la fotosintesi agendo come un grande pannello solare. – spiega Patricia Gensel, biologa della North Carolina University a Chapel Hill che ha partecipato allo studio – Questo può significare che la pianta occupasse una posizione svantaggiata nell’ecosistema, sotto la chioma di altri alberi più alti che filtravano la luce”. Non è ancora chiaro se il fossile sia di un individuo adulto o più giovane ma i ricercatori escludono che avesse ulteriori opportunità di crescita.

    L’evento

    Giorgio Vacchiano, perché ci accorgiamo delle foreste solo quando bruciano

    dalla nostra inviata Gaia Scorza Barcellona

    06 Ottobre 2023

    Negli ultimi sette anni, i ricercatori hanno trovato altri cinque fossili di questa specie provenienti da quello che un tempo era un grande lago in questa regione atlantica del Canada ma nessuno è integro come il primo esemplare di Sanfordiacaulis densifolia. L’anatomia di questo albero potrebbe riscrivere la storia ecologica del Mississippiano in cui, fino a poco tempo fa, si riteneva ci fossero solo piante oltre una certa altezza. “La presenza di questi e altri alberi più piccoli ha probabilmente alterato l’ecosistema vicino aumentando la biodiversità della foresta. – aggiunge il geologo Robert Gestaldo del Colby College che ha coordinato la ricerca  – Il sottobosco, intrappolando l’evaporazione delle acque sotterranee, offriva un ambiente umido e un riparo sicuro per altri organismi”.I fossili più antichi di piante mai ritrovati sono quelli del giacimento di Rhynie Chert sulle highlands scozzesi. In questo deposito, un autentico santuario delle flora estinta, sono stati scoperti esemplari risalenti a 410 milioni di anni fa di Aglaophyton major, uno degli organismi vegetali più antichi che si conoscano. I resti hanno rivelato che questa specie formava simbiosi con i funghi sotterranei molto simili a quelle delle piante moderne. Gli scienziati ritengono che questa coevoluzione abbia avuto un ruolo fondamentale nella transizione della vita dall’acqua alla terra. LEGGI TUTTO