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    Il falangio, come prendersi cura della “pianta ragno”

    Il Chloropytum ovvero il falangio è una pianta ricca di fogliame variegato, in grado di impreziosire gli ambienti casalinghi e donare un tocco di eleganza a qualunque stanza o ufficio. Questa sempreverde, che simboleggia la giovinezza perenne, per crescere al meglio deve essere coltivata correttamente.

    La coltivazione in casa del falangio o pianta ragno
    Prendersi cura in casa del falangio non è così complicato, specie se si fa attenzione ad alcuni aspetti. Il primo fra tutti riguarda proprio la posizione in cui sistemare la pianta. L’esposizione della pianta ragno non deve mai essere al sole diretto (specie durante i mesi più caldi), ma è importante selezionare delle aree luminose. In primavera ed estate si può anche decidere di spostare la pianta dalla casa all’esterno, facendo molta attenzione alla posizione che si sceglie. La pianta fiorisce con fiorellini di colore bianco e piccoli, mentre lungo gli steli si sviluppano i ciuffi verdi. Come succede per molte piante d’appartamento, anche il falangio ha la capacità di purificare l’aria. In pratica, rimuove anidride carbonica e sostanze nocive, contribuendo a un ambiente più salutare per l’uomo.

    Il terreno ideale per il falangio
    Il falangio è una pianta che si adatta molto a qualunque terreno, a patto però che sia un terriccio ben drenante, meglio ancora se ricco di humus. Il consiglio è di non preparare un terreno in vaso caratterizzato esclusivamente da un solo tipo di terriccio, bensì di creare un substrato differente, sciolto e fertile.

    L’annaffiatura corretta del falangio
    Gestire correttamente il falangio significa anche innaffiare nel modo corretto la pianta. Questa pianta necessita di annaffiature regolari per crescere rigorosamente. È importante, però, fare molta attenzione alle condizioni del terreno. Nel caso di terreno troppo secco si dovrà intensificare la somministrazione dell’acqua e, al contrario, con terreno eccessivamente umido sarà utile ridurre le annaffiature. Un segno evidente del fatto che la pianta viene annaffiata poco si potrà notare anche sulle foglie, che in punta diventano secche.

    La concimazione del falangio
    Per rendere migliore la crescita della propria pianta si può anche concimare questa sempreverde selezionando un prodotto idrosolubile oppure liquido per piante verdi. In tal caso, è utile dare il concime al falangio ogni 2-3 settimane.

    La potatura del falangio
    La potatura di questa pianta permette al sempreverde di avere maggiore spinta nello sviluppo. Proprio per questo, è importante potarle eliminando le foglie o ramificazioni che non offrono più nulla. In questo modo, il fogliame nuovo sarà stimolato nella crescita e la pianta ragno si manterrà in forma. Il momento migliore per potare la pianta è dall’inizio della primavera fino a inizio autunno. Per quanto riguarda le foglie con punte secche, invece, sconsigliamo di potarle.

    Il falangio in inverno
    Ricordiamo che il falangio, in inverno, è in grado di tollerare fino a 15-13°C, ma non deve mai andare al di sotto dei 7°C. Il rischio è di far morire la pianta o danneggiare in maniera seria il fogliame. Proprio per questo, durante la stagione più fredda dell’anno suggeriamo di tenere la pianta in casa.

    La moltiplicazione della pianta ragno
    Per moltiplicare la pianta si può ricorrere all’uso di una talea della pianta ragno: in pratica, basta tagliare degli stoloni o piccoli cespi, facendo attenzione che vi sia un po’ di fusto. A questo punto, sarà necessario sistemare la pianta direttamente nella terra un po’ umida. La talea la si può fare in primavera: in una settimana circa, la pianta avrà iniziato a sviluppare l’apparato radicale.

    Le malattie del falangio
    Il falangio è una pianta che può incorrere nel marciume fogliare: in pratica, le infezioni batteriche iniziano ad intaccare la base delle foglie. Bisogna fare attenzione a non bagnare le foglie o lasciarla all’esterno sotto la pioggia. Anche le bruciature delle foglie cioè la peronospora fogliare colpisce questa pianta, portando alla comparsa di macchie gialle e appassimento. A favorire questa malattia fungina è sempre l’eccesso d’acqua. LEGGI TUTTO

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    Dal fegato allo stomaco, microplastiche nel 66% delle gazze marine trovate morte nel Tirreno

    Le hanno raccolte ed esaminate, approfonditamente. E dalle gazze marine trovate morte nel corso della stagione invernale 2022-2023, in cui un nutrito contingente di almeno 750 individui ha svernato eccezionalmente lungo le coste italiane, è arrivata un’amara conferma: nel 66% dei casi le carcasse contenevano plastica, divisa equamente tra frammenti e fibre. Arriva da un nuovo studio, condotto dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università degli studi di Napoli Federico II e l’Istituto portoghese MARE – Centro di Scienze Marine e Ambientali/ARNET e pubblicato sulla rivista “Marine Pollution Bulletin” un quadro non troppo incoraggiante sull’inquinamento da plastica nel Tirreno centrale, potenziale concausa del decesso di molti esemplari dell’uccello marino, tipico del Nord Atlantico, nella cui dieta compare quasi esclusivamente pesce pelagico.

    Ambiente e salute

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    25 Settembre 2024

    Plastica nello stomaco e nel fegato
    L’esame delle carcasse è stato, a quanto pare, inequivocabile: la plastica era presente soprattutto nello stomaco, seguito dal muscolo pettorale, e alcune fibre plastiche sono state trovate anche nel fegato. Negli animali raccolti, il 38 % degli elementi plastici era al di sopra dei 5 millimetri, mentre il 62% rientrava nel “range” delle microplastiche. Il polimero più rappresentato è risultato essere il polietilene (comparso nel 55% dei casi), seguito dal polipropilene (24,1%). Il primo è generalmente utilizzato per la produzione di sacchetti e bottiglie, il secondo è impiegato soprattutto nella produzione di contenitori per detersivi e yogurt.

    Inquinamento

    Ogni anno bruciamo 30 milioni di tonnellate di plastica

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Settembre 2024

    Una minaccia alla biodiversità del Mediterraneo

    Anche se basati su un campione relativamente piccolo, i dati attestano la presenza ed abbondanza di plastiche in quest’area del Mediterraneo per la gazza marina, certificandone l’impatto su una specie particolare di uccello originario dei Mari del Nord, dove invece l’interazione con la cosiddetta marine litter non sarebbe così significativa: studi scientifici analoghi indicano infatti una presenza dello 0-1% su oltre 500 carcasse raccolte fra le coste dell’Inghilterra e dalla Scozia. Altre ricerche – concentrate in un’area di studio compresa tra Irlanda e Norvegia – segnalano addirittura la completa assenza di plastica nelle gazze marine trovate morte. Non è invece nuova l’evidenza per il Mar Mediterraneo, il cui bacino semichiuso rischia fatalmente di rivelarsi un hotspot per le microplastiche: qui le loro concentrazioni risultano circa quattro volte superiori, ad esempio, a quelle dell’Oceano Pacifico settentrionale.

    Inquinamento

    I solventi che purificano l’acqua dalle nanoplastiche

    di Anna Lisa Bonfanceschi

    28 Agosto 2024

    Ed è proprio sull’interazione tra marine litter e biodiversità marina – che nel Mediterraneo si traduce nella presenza di un numero prossimo alle 17 mila specie – che si gioca una partita importante per il futuro dell’intero pianeta.Qui, i primi studi sull’avifauna avevano del resto già ‘fotografato’ le dimensioni del fenomeno: una ricerca realizzata lungo le coste catalane ha evidenziato come 113 uccelli su 171 esaminati (66%) avevano ingerito plastica.

    (foto: Vincenzo Firpo)  LEGGI TUTTO

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    L’auto elettrica non tira più, in crisi la startup delle batterie

    Tempi difficili, in particolare in Europa per le aziende che si occupano di batterie per auto elettriche. Lo dimostra la vicenda Northvolt, startup svedese leader nella produzione di batterie per auto elettriche, nonché prima azienda europea a costruire una gigafactory di batterie in Svezia, che sta vivendo uno dei momenti più difficili dalla sua fondazione. Ma facciamo un passo indietro.

    Il 28 dicembre 2021 a Skellefteå, nel nord della Svezia, Northvolt annunciava la produzione della prima cella per batteria agli ioni di litio per uso automobilistico. L’impresa parlava di “un nuovo capitolo della storia industriale europea” visto che quella cella era la prima completamente disegnata, sviluppata e assemblata in una gigafactory da una compagnia europea di batterie. Il 23 settembre 2024, Northvolt ha comunicato l’avvio di una massiccia ristrutturazione che comporterà un ridimensionamento della forza lavoro con il licenziamento, di circa 1.600 lavoratori su 6mila. Anche l’azienda punta di diamante della produzione di batterie per auto elettriche made in Europe se la deve vedere con il brusco rallentamento delle vendite di veicoli elettrici e l’inarrestabile concorrenza orientale, soprattutto cinese. Il settore è, infatti, storicamente guidato dai colossi asiatici e le fabbriche di batterie già operanti in Europa si occupano principalmente di assemblare le celle per formare il pacco batteria, ma non di produrre l’elemento base.

    Storia e crisi di Northvolt
    Northvolt è stata fondata nel 2016 dall’ingegnere italiano Paolo Cerutti e dall’imprenditore svedese Peter Carlsson, attuale amministratore delegato, entrambi con un passato in Tesla. La startup nasce con l’obiettivo di produrre batterie agli ioni di litio sostenibili per veicoli elettrici, e fin da subito è stata considerata uno degli attori chiave nella sfida europea all’egemonia asiatica nel mercato delle batterie. L’azienda cresce rapidamente, tanto da ricevere una serie di finanziamenti corposi da istituzioni bancarie europee, per un totale di 15 miliardi di dollari. L’ultimo investimento a gennaio 2024. Prende 4,6 miliardi di euro per l’espansione della sua gigafactory Ett (aperta ufficialmente nel dicembre del 2021 a Skelleftea, nel nord della Svezia, principale hub minerario del paese nordico) per la produzione di catodi e celle per batterie, oltre all’ampliamento di un impianto adiacente per il riciclo delle batterie, Revolt Ett. Il recupero degli scarti di produzione e delle batterie a fine vita risulta significativo per l’azienda, che utilizza un processo di trattamento chimico multi-stadio per processare materiali critici come nichel, cobalto, manganese e litio, e così essere riutilizzati nelle sue linee di produzione. Dalla sua nascita Northvolt si conferma l’unico attore europeo attivo nella produzione di celle per batterie al litio, ottenendo anche il via libera da Bruxelles per la costruzione di un impianto in Germania con circa 1 miliardo di euro di aiuti di Stato dal governo tedesco. Partecipata al 21% da Volkswagen, la startup svedese ha inoltre la maggior parte delle forniture destinate proprio al Gruppo tedesco e a BMW.

    Mobilità green

    Northvolt avvia la produzione, dallo stabilimento svedese la prima batteria europea per auto elettriche

    di Andrea Tarquini

    30 Dicembre 2021

    Tuttavia, lo scenario muta rapidamente, e a causa della concorrenza asiatica diventata sempre più aggressiva nella produzione e del rallentamento delle vendite dei veicoli elettrici, a giugno 2024 è proprio BMW a cancellare un ordine da 2 miliardi di euro, adducendo come motivazione che Northvolt non sia stata in grado di rispettare i tempi di consegna. Da quel momento, le riflessioni interne dei vertici e la decisione dell’azienda svedese di rivedere i suoi piani strategici.

    Elettrico in crisi, Northvolt rivede le sue strategie
    Lo scorso 23 settembre Northvolt ha annunciato l’avvio di una revisione strategica che comporterà un significativo ridimensionamento delle sue attività e della sua forza lavoro. L’azienda ha comunicato in una nota come la decisione arrivi a causa del “mutato contesto macroeconomico e della necessità di nuove priorità a breve termine”. Questo cambiamento porterà a una riorganizzazione delle operazioni aziendali, che prevede il licenziamento di 1.600 unità lavorative (su un totale di circa 6000 dipendenti), la messa in manutenzione dell’impianto Northvolt Ett Upstream 1, situato in Svezia, la chiusura del programma Northvolt Fem e la vendita del sito produttivo di Kvarnsveden. Allo stesso tempo, saranno aperti tavoli con gli investitori per garantire la sostenibilità delle attività in Polonia e sarà integrata la sussidiaria americana Cuberg all’interno delle operazioni svedesi.

    Tutte queste operazioni, secondo quanto ha spiegato l’amministratore delegato Peter Carlsson, non pregiudicheranno l’impegno a lungo termine di Northvolt nella transizione globale verso l’elettrificazione, né la solidità delle prospettive future. Il presidente del consiglio Tom Johnstone ha peraltro confermato che il successo dell’azienda scandinava continuerà a dipendere dall’evoluzione del mercato dei veicoli elettrici e dal sostegno dei principali stakeholder. “Nonostante le attuali difficoltà, Northvolt non abbandona i suoi ambiziosi piani di espansione”. L’azienda ha infatti dichiarato che i progetti futuri in Svezia, Germania e Canada proseguiranno come previsto, anche se ha lasciato aperta la possibilità di modifiche alle tempistiche, in base all’evoluzione del contesto economico globale.

    Un sostegno fondamentale per il futuro dell’azienda potrebbe arrivare dalla Commissione Europea, che ha già dimostrato un forte interesse nel garantire il successo della startup svedese. Lo scorso 8 gennaio, Bruxelles aveva autorizzato la Germania a fornire un aiuto di Stato pari a 902 milioni di euro, destinati alla costruzione di una fabbrica di batterie per veicoli elettrici sul suolo tedesco. Questa misura è stata giustificata con la necessità di mantenere la produzione di batterie in Europa, evitando che Northvolt fosse attratta dalle agevolazioni fiscali offerti dagli Stati Uniti nell’ambito dell’Inflation Reduction Act, iniziativa per incentivare gli investimenti in tecnologie verdi. LEGGI TUTTO

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    Eventi meteo estremi, scattano le polizze obbligatorie per le imprese

    Eventi estremi sempre più frequenti e obbligo di polizze catastrofali in vista per le imprese, a partire dal 1° gennaio del prossimo anno. Già varato il decreto con le norme attuative. Nella manovra per il 2025 potrebbero esserci novità anche per i privati, ma al momento il governo è ancora diviso su questo, Per chi volesse assicurare la casa anche senza obbligo di legge, comunque, già oggi è prevista la detrazione del 19%. Detrazione che arriva al 90% se sono stati fatti lavori di Superbonus.

    Le regole per le imprese
    Il decreto attuativo delle norme introdotte dalla legge di Bilancio 2024, messo a punto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze d’intesa con il ministero delle Imprese e del Made in Italy, prevede l’obbligo per le imprese di stipulare polizze di assicurazione relativamente ai danni causati da calamità naturali ed eventi catastrofali (alluvioni, inondazioni, esondazioni, terremoti e frane). Dovranno essere assicurati terreni, fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature industriali e commerciali, iscritti a bilancio. Interessate tutte le imprese con sede legale o stabile organizzazione in Italia. Se le imprese non attivano la copertura assicurativa scatta la decadenza degli incentivi pubblici, tra i quali potrebbero rientrare anche le garanzie sui prestiti bancari.

    Dalle assicurazioni rimborso anticipato del 30%
    Con il ddl ricostruzione, ora all’esame del Parlamento, si introduce poi l’obbligo per le imprese assicurative di corrispondere un anticipo del 30% del danno per i sinistri legati a eventi catastrofali. Una disposizione, spiega il Mimit, volta a garantire maggiore certezza nella liquidazione dei danni alle imprese assicurate, permettendo loro di accedere immediatamente a risorse fondamentali per una rapida ripresa delle attività.

    I premi saranno proporzionali al rischio, tenendo conto delle caratteristiche del territorio e della vulnerabilità dei beni assicurati. Le compagnie hanno l’obbligo di contrarre le polizze: la Sace, il Gruppo assicurativo-finanziario direttamente controllato dal Mef, potrà riassicurare il rischio assunto dalle compagnie mediante la sottoscrizione di apposite convenzioni, a condizioni di mercato.
    Le assicurazioni sulle case
    Per quel che riguarda eventuali obblighi per i privati al momento nel governo prevale la cautela, dopo lo scontro dei giorni scorsi tra il ministro della Protezione civile Nello Musumeci che aveva ventilato la possibilità di un “obbligo” e la netta contrarietà espressa dalla Lega. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha mostrato prudenza sulla possibilità di un obbligo assicurativo per le case, mentre parla di “riflessioni in corso” il sottosegretario al Mef Federico Freni, secondo cui “è ovvio che non si possa imporre al cittadino” la sottoscrizione.

    Il bonus sugli immobili abitativi
    Per chi sceglie di mettersi al riparo dai questi rischi, comunque, già oggi ha la possibilità di detrarre il 19% della spesa, come accade per le polizze vita. Ai fini del bonus l’assicurazione deve avere espressamente per oggetto il rischio di eventi calamitosi, ossia si deve trattare di una polizza dedicata e non di una assicurazione per rischi generica. La detrazione è riconosciuta su un importo massimo di spesa di 530 euro l’anno. Le polizze sono detraibili anche quando si tratta di assicurazioni condominiali, in questo caso per la quota millesimale pagata. Nel caso di interventi di Superbonus realizzati su immobili che si trovano in zone ad alta pericolosità (zone sismiche 1, 2 e 3), è invece riconosciuta una detrazione con aliquota maggiorata al 90%. LEGGI TUTTO

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    Ispra e gli ecosistemi urbani da ripristinare: ecco la mappa

    C’è la mappa per ripristinare il tesoro. Quest’estate, a giugno, l’Europa dopo un lunghissimo e incerto iter ha approvato la Nature Restoration Law, la legge che impone di ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030.
    Significa che, in maniera vincolante, i vari Paesi devono attuare misure per recuperare i nostri tesori naturali degradati: gli ecosistemi terrestri, costieri e d’acqua dolce, forestali, agricoli e urbani, comprese le zone umide, le praterie, le foreste, i fiumi e i laghi. Per gli habitat ritenuti in “cattive condizioni” gli Stati dovranno attuare misure per ripristinarne “almeno il 30% entro il 2030, almeno il 60% entro il 2040 e almeno il 90% entro il 2050”.

    Per riuscire in questa impresa non semplice è però fondamentale sapersi orientare, capire come e dove – già dal 2024 – attuare politiche di ripresa per la natura. Uno strumento utile per questa sfida lo mette ora a disposizione l’Ispra: l’Atlante ambientale italiano è stato infatti aggiornato e indica tutti quegli ecosistemi urbani che avranno bisogno di essere curati. LEGGI TUTTO

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    Per il cioccolato del futuro senza cacao, la startup pugliese Foreverland raccoglie 3,4 milioni

    Fondata a Conversano, in provincia di Bari, a maggio 2023 da Massimo Sabatini, Riccardo Bottiroli, Giuseppe D’Alessandro e Massimo Brochetta, Foreverlandè la startup impegnata nel democratizzare il cioccolato creando alternative sostenibili e rispettose del pianeta, senza alcun compromesso sul gusto. Ha infatti creato Choruba, ex Freecao, un ingrediente rivoluzionario a base di carrube italiane, che offre un’alternativa eco-consapevole al cioccolato tradizionale e protetta da due brevetti. Choruba viene venduta in gocce o liquido, in diverse varianti ed applicazioni, ad aziende del settore alimentare e già nei prossimi mesi saranno in commercio prodotti che utilizzano l’ingrediente innovativo. LEGGI TUTTO

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    Green Deal, potrebbe ridurre le emissioni in Europa ma aumentarle altrove

    È il classico caso della coperta troppo corta, che se tirata troppo in qua lascia scoperto di là. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Gröningen e di altri istituti di ricerca ha analizzato i possibili effetti dell’implementazione del Green Deal, il pacchetto di politiche europee per contrastare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, scoprendo che la cosa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, che farà diminuire le emissioni di gas serra nel nostro continente, ma raddoppiarle fuori dai confini. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Sustainability.

    Unione Europea

    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    di  Cristina Bellon

    24 Settembre 2024

    Obiettivo importante
    L’obiettivo principale del Green Deal europeo è la decarbonizzazione totale dell’Europa entro il 2050, da raggiungersi attraverso passaggi intermedi (la riduzione delle emissioni nette a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990) e attraverso l’implementazione di misure specifiche in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità. Un obiettivo certamente nobile e condivisibile, ma che, secondo lo studio appena pubblicato, potrebbe rivelarsi anche pericoloso.
    Il rovescio della medaglia
    Gli autori del lavoro, coordinati da Klaus Hubacek, professore di scienza, tecnologia e società nell’ateneo olandese, analizzando le azioni previste del Green Deal hanno stimato che, nella forma attuale, il progetto porterà sì a una riduzione delle emissioni sul suolo europeo, ma contemporaneamente anche ad un aumento delle emissioni nei paesi extra-Ue del 244% circa. Ovvero che, sostanzialmente, non si farà altro che spostare altrove il problema, il che non risolverà la questione dei cambiamenti climatici, che riguarda naturalmente tutto il pianeta.

    L’analisi

    Von der Leyen punta ancora sul Green Deal: lo rivelano gli incarichi dati ai commissari

    di  Luca Fraioli

    19 Settembre 2024

    Restrizioni facilmente aggirabili
    Uno dei settori presi in considerazione dai ricercatori, per esempio, è quello della biodiversità, per il quale il Green Deal prevede di piantare tre miliardi di alberi. “Piantare alberi vuol dire cambiare la destinazione d’uso di grandi porzioni di suolo”, ha detto Hubacek, “che non potranno più esseri usati per la produzione di cibo. Il cibo, quindi, andrà prodotto altrove, il che comporta, a sua volta, la trasformazione di grandi porzioni di suolo in terreni coltivabili e quindi un aumento delle emissioni e una riduzione della biodiversità. In altre parole, in questo modo l’Unione Europea ‘esporterebbe’ le emissioni di carbonio e la perdita di biodiversità nei paesi da cui importerà il cibo, principalmente in Africa e in Sud America”.

    Possibili scenari
    In verità, il Green Deal contiene un paragrafo in cui si proibisce l’importazione di prodotti (per esempio carne o mangime animale) ottenuti convertendo terreni boschivi in terreni agricoli, ma Hubacek e colleghi sono scettici sull’applicazione della norma, che potrebbe essere facilmente aggirata: “I Paesi extra-Ue”, commenta ancora lo scienziato, “potrebbero semplicemente destinare all’esportazione i prodotti ottenuti da terreni agricoli già esistenti e abbattere le foreste per soddisfare la richiesta interna”. Il Green Deal, tra l’altro, prevede anche un aumento dell’agricoltura biologica, il che richiederebbe un aumento dei terreni agricoli in Europa, e “non c’è alcuna informazione sull’impatto che questo potrebbe avere sull’uso del suolo”.

    Il personaggio

    Teresa Ribera, chi è la nuova responsabile dell’ambiente della Commissione Ue

    di  Luca Fraioli

    17 Settembre 2024

    Siamo ancora in tempo
    Oltre a delineare lo scenario appena presentato, gli autori del lavoro hanno presentato anche delle contromisure per rendere efficaci a livello globale, e non solo locale, le politiche di riduzione delle emissioni. La più efficace riguarda l’alimentazione: “Abbiamo mostrato che l’adozione di una dieta più ‘salutare’ sia per l’essere umano che per il Pianeta”, continuano gli esperti, “ossia un’alimentazione basata principalmente sui vegetali, consentirebbe di ‘risparmiare’ un’enorme quantità di anidride carbonica”.
    I biocarburanti
    Un altro punto su cui si può lavorare è l’eliminazione dei biocarburanti a base alimentare all’interno dei confini europei, il che, secondo l’analisi degli scienziati, ridurrebbe la quantità di terreni agricoli necessari alla soddisfazione della domanda e arresterebbe la perdita della biodiversità. Ma anche l’adozione di misure volte ad aiutare le regioni in via di sviluppo ad aumentare la loro efficienza agricola, per ottimizzare l’uso del suolo.Ma prima di tutto questo è necessario fissarsi bene in testa un concetto fondamentale: “Dubitiamo fortemente una ‘crescita verde’ sia realmente possibile”, concludono gli esperti, “perché produrre qualcosa, in qualsiasi modo lo si faccia, comporta l’utilizzo di risorse. Quindi, ancor prima di produrre meglio, dobbiamo deciderci a consumare di meno. Questa è l’unica strada per contenere i cambiamenti climatici, ed è tempo di cominciare a percorrerla”. LEGGI TUTTO

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    Le piante grasse da esterno: resistenti al freddo e al sole

    Ecco le migliori piante grasse da esterno che possiamo coltivare nei nostri giardini per creare un’oasi dai tratti esotici: sono rustiche e ideali anche per la messa a dimora in piena terra.

    Il graptopetalum paraguayense
    Il graptopetalum paraguayense appartiene alla famiglia delle crassulacee e proviene dal Messico. Tra le piante grasse pendenti e con fiori, si contraddistingue per raggiungere delle dimensioni modeste, da alcune decine di centimetro a circa un metro. I suoi rami tendono ad essere curvi e le foglie, raggruppate in rosette, hanno un colore che sfuma tra il grigio e il violetto chiaro. Il graptopetalum regala una bella fioritura, con steli allungati e fiori a forma di stella di colore bianco e giallo. Questa pianta predilige l’esposizione in ambienti luminosi, anche con il soleggiamento diretto per alcune ore al giorno, e può sopportare temperature fino a -10 gradi. Il terreno ideale per la coltivazione è ben drenante e non pesante, idealmente una miscela tra terra per cactacee, torba e un po’ di sabbia. Il graptopetalum richiede annaffiature piuttosto abbondanti, sebbene sia necessario attendere sempre che il terreno asciughi bene tra un’innaffiatura e l’altra. Durante la primavera e l’estate, possiamo concimare la pianta ogni quindici giorni, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. Per riprodurre il graptopetalum, possiamo staccarne una foglia e piantarla semplicemente in terra. Non è necessario potare la pianta, ma è buona regola rimuovere le foglie danneggiate per prevenire attacchi da parte di parassiti. Tra le avversità che toccano il graptopetalum, segnaliamo il marciume radicale (eccesso di irrigazione), nonché le foglie e gli steli sbiaditi e stentati (scarsità di luce).

    L’aloe striatula
    L’aloe striatula – nota anche come aloiampelos striatula – è una pianta grassa che fa parte della famiglia delle asfodelacee, originaria delle aree semidesertiche del Sudafrica, che in condizioni ideali di coltivazione crea cespugli alti fino a 2 metri. La pianta si distingue per le sue foglie ricurve di tonalità verde brillante, con screziature scure, con una leggera dentatura bianca sui bordi. Tra le piante grasse senza spine, l’aloe striatula produce una caratteristica infiorescenza con racemo che raggiunge i 50 centimetri, alla cui sommità si trovano dei fiori giallo-arancioni. L’esposizione ideale è in luoghi ben soleggiati e ventilati, in un terreno ben asciutto e drenante, che può essere una miscela di terra per cactacee e sabbia. L’aloe striatula è nota per la sua rusticità: può sopportare infatti le gelate senza particolari problemi, con temperature fino a -10 gradi ma mal sopporta gli eccessi di acqua e i ristagni idrici: bisogna quindi attendere che il terreno sia ben asciutto prima di innaffiarla, per evitare che possa soffrire di marciume radicale. Possiamo concimare l’aloe striatula nel corso della stagione vegetativa, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua di annaffiatura. La pianta non ha bisogno di potatura, ma dobbiamo tagliare le foglie e i racemi secchi per evitare che i parassiti possano attaccarla.

    L’agave americana
    L’agave americana è probabilmente una delle specie più famose di piante grasse e cactus, appartenente alla famiglia delle asparagacee. Questa succulenta è originaria delle zone desertiche statunitensi, in modo particolare degli stati centro-meridionali, e del Messico. L’agave americana spicca per la rosetta di foglie, dal caratteristico colore verde argentato, che negli esemplari più adulti possono raggiungere anche i due metri di lunghezza. La pianta è particolarmente longeva e rientra a pieno titolo tra le piante grasse perenni, poiché può vivere alcuni decenni. Produce una notevole quantità di polloni basali, ma una sola fioritura nella sua vita, che coincide anche con la successiva morte della pianta. L’agave americana predilige l’esposizione al sole diretto ed è mediamente rustica, poiché sopporta temperature minime attorno ai -10 gradi. Il terreno ideale è ben drenante e leggero, meglio ancora se arricchito con un po’ di sabbia. Se il nostro giardino ha una terra troppo compatta, prepariamo la messa a dimora scavando una buca sufficientemente ampia, mettendo della terra per cactacee e ghiaietto. In questo modo, eviteremo che si possa verificare il ristagno idrico a livello radicale. Le annaffiature non devono essere abbondanti e, soprattutto, è importante attendere che il terreno asciughi prima di bagnarlo nuovamente. Per quanto riguarda la concimazione, possiamo aggiungere mensilmente del fertilizzante liquido all’acqua durante la primavera e l’estate. L’agave americana non dev’essere potata, ma le foglie basali che sono secche vanno eliminate per non favorire l’attacco di parassiti. La pianta può essere colpita dalla cocciniglia, che causa la comparsa di macchie marroni: possiamo rimuoverla con dell’ovatta imbevuta di alcool o con un insetticida specifico. LEGGI TUTTO