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    Suoni Controvento 2025: la cultura incontra la natura nel festival a impatto zero

    Certe volte la sostenibilità è solo un’etichetta buona per ogni stagione. Certe altre, è davvero il cuore di un’ispirazione e di un progetto. Dal 15 luglio al 7 settembre torna Suoni Controvento, il festival umbro concepito per avere un impatto ambientale minimo. Nato per portare musica, teatro, letteratura, gaming e incontri sui temi d’attualità nei paesaggi naturali dell’Umbria, il festival ha fatto della sostenibilità il suo tratto distintivo. La manifestazione, arrivata alla nona edizione, è promossa da Aucma (Associazione umbra della canzone e della musica d’autore), associata AssoConcerti, con il sostegno di Regione Umbria, Sviluppumbria, Fondazione Perugia e Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni.

    Spettacolo fra borghi e natura
    Il programma spazia dalla musica alla letteratura, offrendo un’esperienza immersiva che fonde cultura e natura. Tra gli ospiti musicali più attesi ci sono Brunori SAS e gli Afterhours, previsti rispettivamente l’1 e il 3 agosto ad Assisi, Serena Rossi l’8 agosto a Spoleto, la PFM il 9 agosto a Gualdo Tadino, Nada l’11 agosto a Fossato di Vico e Dardust il 31 agosto a Narni. A settembre toccherà a Raphael Gualazzi esibirsi a San Gemini. Il cartellone internazionale vede la presenza di artisti come la carismatica Nik West, in programma il 12 agosto a Sigillo, il songwriter Joseph Arthur, e proposte indie, di confine e sperimentazione come Murubutu (02/08, Trevi), Giorgio Poi (27/07, Norcia), i Selton (06/08, Corciano) e molti altri. Non mancano contaminazioni tra teatro e musica, come l’evento con Mario Tozzi ed Enzo Favata (20/07, Marsciano), né raffinati incontri musicali, tra cui quello tra Luca Ciammarughi e Jacopo Taddei (02/09, Acquasparta). A chiudere la nona edizione sarà un omaggio a Pino Daniele alla Cantina Caprai di Montefalco.

    Cultura sostenibile in movimento
    Elemento distintivo di Suoni Controvento sono però anche le passeggiate verso i “palcoscenici naturali” dove si tengono i concerti. Quest’anno le camminate, che spesso si svolgono in notturna sotto il cielo stellato, potranno essere fatte anche in bicicletta, offrendo così un’alternativa sostenibile per raggiungere i luoghi degli spettacoli. Accanto alla musica, la letteratura rimane protagonista grazie alla rassegna “Libri in cammino”, che vedrà protagonisti Giorgio Van Straten (Montone, 20/07), Valerio Aiolli (02/08, Spoleto), Viola Di Grado (09/08, Sigillo), Valerio Mieli (24/08, Marsciano) e Nicoletta Verna, vincitrice dell’European Union Prize for Literature 2025, il 30 agosto a Narni.

    Dialogo su ambiente e società
    Il festival non trascura il dibattito sociale e ambientale, con la rassegna parallela “Ripartiamo dai territori”, incontri a ingresso gratuito organizzati da Rai Umbria e Suoni Controvento. Quattro gli appuntamenti in programma su temi di grande attualità e sensibilità sociale: si parte il 15 luglio al Teatro Cucinelli di Solomeo con “Come ricostruire un’economia sociale”, si prosegue il 27 luglio in piazza San Benedetto a Norcia con “La spiritualità – confronto, ispirazione e orientamento sociale”. Il 2 settembre a Palazzo Cesi di Acquasparta ci sarà “La cultura e l’educazione al rispetto sono le basi dei diritti civili”, per chiudere il 6 settembre al Sacro Convento di Assisi con “Come comunicare nuove energie creative”, anteprima del “Cortile di Francesco” dedicato quest’anno al tema della creazione. “Suoni Controvento è un festival che ribalta il rapporto tra natura ed eventi perché negli anni è riuscito a costruire un’audience che ha percepito e protetto l’importanza dei luoghi naturali e non – spiega Lucia Fiumi, presidente di Aucma – vogliamo proporre un modo nuovo di portare la cultura nella natura, dove le logiche d’uso sono sostituite da una collaborazione mutualistica tra uomo e natura.”

    Evento a impatto zero certificato
    Alla base di Suoni Controvento c’è un’impronta ecologica attentamente misurata. Tutti gli eventi sono progettati per ridurre al minimo l’impatto ambientale, evitando installazioni invasive e utilizzando strutture leggere e temporanee. Il festival è impegnato in un percorso di certificazione della carbon footprint, in collaborazione con Regusto, che consente di calcolare e compensare le emissioni di CO? tramite crediti di impatto certificati su blockchain. Inoltre, grazie alla partnership con il Gruppo Hera, Suoni Controvento promuove l’utilizzo di energia pulita, configurandosi come un modello di evento culturale a impatto positivo.

    Una rete culturale diffusa
    Nato nei borghi del Monte Cucco, Suoni Controvento coinvolge oggi ben 24 comuni umbri, tra borghi storici e scenari naturali incontaminati. Questa espansione testimonia la capacità del festival di creare una rete culturale diffusa sul territorio, valorizzando la natura e le strepitose piazze medievali umbre grazie anche alla partecipazione attiva delle comunità locali. I luoghi scelti non fanno dunque semplicemente da cornice: dalle cime montane ai parchi naturali, dalle grotte ai borghi medievali, diventano parte integrante degli spettacoli, instaurando un dialogo armonioso tra arte e paesaggio.

    Una rete nazionale per la musica in montagna
    Suoni Controvento fa inoltre parte del circuito “KeepOn Experience” ed è tra i fondatori della Rete dei Festival Italiani di Musica in Montagna insieme a eventi prestigiosi come Suoni delle Dolomiti (Trentino), Musica sulle Apuane (Toscana), MusicaStelle Outdoor (Valle d’Aosta), Paesaggi Sonori (Abruzzo), RisorgiMarche (Marche), Suoni della Murgia (Puglia) e Time in Jazz (Sardegna). La rassegna ha infine ottenuto il riconoscimento “Umbria culture for family”. LEGGI TUTTO

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    Fuliggine sull’Artico: l’acceleratore nascosto dello scioglimento dei ghiacciai

    Assorbe calore e trasportata dal vento può raggiungere aree lontane come il Circolo Polare Artico di cui è diventato un altro nemico silenzioso: la fuliggine prodotta dagli incendi scoppiati in Canada, Siberia, Alaska e Groenlandia. Gli scienziati del clima hanno osservato che depositandosi sulla neve e annerendo la superficie del ghiaccio, il black carbon riduce la sua capacità di riflettere la luce solare aumentando invece la possibilità di incamerare calore e dunque di accelerare il processo di scioglimento. Calcolando che gli incendi, anche a causa del riscaldamento globale stanno diventando più frequenti, duraturi e intesi, si comprende la preoccupazione della comunità scientifica globale.

    Un velo nero sull’Artico
    Secondo un lungo reportage pubblicato su Bloomberg Green, gli incendi scoppiati in Canada nel 2003 hanno rilasciato enormi quantità di fumo che trasportate dai forti venti sono arrivate fino al Circolo Polare Artico. Gli effetti del black carbon sono stati due: da una parte il carbonio nero ha agito come un acceleratore climatico facendo sciogliere il ghiaccio più velocemente, dall’altra visto che il suolo ha assorbito più calore, ha contribuito ad innalzare le temperature. Un circolo vizioso che rischia ora di trasformare l’Artico in una fonte attiva di emissioni di carbonio. Ma il black carbon non danneggia solo l’ambiente anche la salute umana, visto che è collegato a malattie respiratorie e cardiovascolari.

    Preoccupati gli scienziati del clima
    Quanto di quel carbonio nero contenuto nel fumo ha raggiunto le terre artiche e che danni ha causato? I ricercatori temono che quella coltre di fuliggine apparentemente innocua possa diventare un ulteriore contributo al riscaldamento di quello che è già il luogo che si riscalda più velocemente sulla Terra. Ma le dinamiche del black carbon nell’ambiente artico non sono semplici e non sono state ancora comprese del tutto. Gli scienziati ad esempio non sanno quanto i sistemi nuovolosi che intercettano gli incendi riescono ad intrappolare il calore oppure a riflettere la luce solare, con conseguente riscaldamento o raffreddamento della massa d’aria. Oppure, visto che la potenza del carbonio nero dipende dall’altitudine, stanno cercando di capire cosa determina il livello dell’atmosfera in cui rimane sospeso. E la neve fresca che cade sopra la fuliggine può mitigarne l’impatto?

    Spazio

    Dalle foreste boliviane ai ghiacciai antartici, ecco le prime immagini del satellite Biomass

    di Sandro Iannaccone

    23 Giugno 2025

    Il fumo nero e le conseguenze invisibili
    Sarah Smith è una fisica dell’atmosfera alla Columbia University e sta studiando in che modo gli incendi del 2023 in Canada hanno influenzato la calotta glaciale della Groenlandia. “Al momento quello che sappiamo è che più l’incendio è esteso, più il black carbon riesce a sollevarsi verso l’alto ed essere trasportato dal vento. Stiamo però ancora cercando di capire quanto queste masse d’aria cariche di black carbon possono essere immesse nell’atmosfera, a che livello e quali sono i loro effetti”.

    La storia

    Il glaciologo Felix Keller: “Così possiamo salvare i ghiacciai”

    di Paola Arosio

    04 Giugno 2025

    Tra tante domande c’è però un punto fermo: la diffusione dell’inverdimento artico. Non sembra un caso che la diffusione della crescita di alberi in diverse zone dell’Artico abbia coinciso proprio con l’aumento degli incendi che ha creato condizioni più calde e secche.

    Un pericolo dimenticato
    E pensare che prima degli incendi, i livelli di black carbon in Groenlandia sembravano diminuire, non aumentare. Per averne certezza basta osservare il suo andamento rimasto intrappolato nel ghiaccio che funziona come memoria storica del clima. Partendo dalle carote risalenti al 1700 che mostrano depositi di carbonio associati a incendi boschivi avvenuti in Nord America, i livelli di black carbon cominciano a salire in modo costante all’inizio del XX secolo, quando aumenta la domanda di gasolio da riscaldamento e carbone sia in Canada, che negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale.

    I temi

    Crisi climatica, nessun ghiacciaio ormai è al sicuro

    di Giacomo Tailgnani

    31 Maggio 2025

    Ma le misure successive per migliorare la qualità dell’aria, come l’aggiunta di scrubber alle centrali a carbone, insieme al passaggio a combustibili più puliti, hanno fatto sembrare agli scienziati del clima il problema meno urgente, soprattutto se confrontato ad altri fattori del cambiamento climatico causati dall’uomo. Adesso si torna indietro. “Avevamo le prove che c’era una tendenza al declino del carbonio nero nell’Artico”, ha detto chiaramente Mark Flanner, scienziato dell’Università del Michigan che da anni studia le interazioni tra la criosfera e il clima. Il 2023 però ha cambiato le carte.

    Focus

    Ghiacciai neri, cosa sono e perché si tratta di una brutta notizia

    di Paola Arosio

    11 Luglio 2025

    Un impatto globale
    La sfida dei ricercatori adesso è districare i processi generati dagli incendi da una miriade di altri eventi sovrapposti in una regione che funge da scudo climatico per il resto del pianeta. Per capire come il carbonio nero proveniente da una nuova generazione di mega-incendi si inserisca nel mix, Sarah Smith ha iniziato osservando la profondità ottica dell’Aod (Aerosol Optical Depth), un indicatore che misura la trasparenza dell’atmosfera rispetto alla luce solare. Ciò ha permesso di valutare la quantità di radiazione solare assorbita dalle colonne di fumo degli incendi del 2023. Le misurazioni hanno mostrato un Aod da record fino all’Europa occidentale, ha spiegato, e pennacchi di fumo così densi sugli Stati Uniti nord-orientali e sul Nord Atlantico che, in media per il mese di giugno, ha attenuato di due terzi la luce solare.

    L’iniziativa

    Reinhold Messner: “Ecco il mio museo dedicato ai ghiacciai”

    di Paola Arosio

    05 Luglio 2025

    Il team della professoressa Smith però non si è fermato e questa estate spera di ampliare la ricerca grazie alla rete di sensori terrestri “Purple Air” installati in tutta la Groenlandia. Obiettivo: determinare se il particolato vicino al suolo ha avuto un’impennata nel giugno 2023 quando il fumo degli incendi si è spostato sulla Groenlandia. Se lo ha fatto – piuttosto che essere piovuto sull’oceano durante il transito – il passo successivo è collegare i punti per vedere se il carbonio nero ha portato a cambiamenti nella calotta glaciale.

    Biodiversità

    La crisi del clima trasforma la vegetazione nell’Artico

    di Simone Valesini

    09 Maggio 2025

    Le esplosioni negli impianti petroliferi
    Ma i ricercatori che devono cercare di capire come difendere il ghiaccio artico dal black carbon non devono tenere presente solo la fuliggine causata dagli incendi. Ci sono altre fonti come le esplosioni avvenute negli impianti petroliferi e del gas della Russia, oltre gli scarti della combustione del carburante per le navi. Secondo gli scienziati, proprio lo sversamento che si verifica quando le raffinerie bruciano gas infiammabili diventerà la principale fonte di black carbon nei paesi artici entro il 2030. Non solo. Le stagioni più lunghe senza ghiaccio porteranno anche ad un aumento del traffico marittimo nella regione oltre a nuove rotte commerciali aumentando l’inquinamento. “Il calore nell’Artico e la velocità con cui le cose stanno cambiando, ci sta portando oltre i confini di qualsiasi cosa abbiamo visto in migliaia di anni”, ha detto Drew Shindell, professore di scienze della Terra alla Duke University, che ha presieduto una valutazione delle Nazioni Unite sull’impatto del black carbon nella troposfera. Il rapporto ha concluso che circa 0,5°C di riscaldamento dell’Artico potrebbero essere compensati riducendo le fonti di particolato nei prossimi decenni.

    Cosa si può fare
    All’interno dell’Artico, la riduzione dello sversamento negli impianti petroliferi e del gas russi ridurrebbe significativamente le emissioni di black carbon, ha detto Shindell, e limitare il traffico marittimo aiuterebbe a evitare futuri aumenti. È più probabile che le emissioni in Europa viaggino verso l’Artico che verso l’Asia o il Nord America alle medie latitudini, quindi anche il controllo dei combustibili pesanti in termini di carbonio nero, come il diesel, il carbone residenziale e i biocarburanti, aiuterebbe. Ridurre l’uso di combustibili fossili in generale rallenterebbe il riscaldamento globale, il che potrebbe impedire che le condizioni degli incendi peggiorino.

    La ricerca sul black carbon deve essere aggiornata e questo rende ancora più importante il monitoraggio del fumo degli incendi. Gli incendi canadesi in questa stagione hanno già bruciato 4,25 milioni di ettari. Per un po’, è sembrato che le emissioni di black carbon nell’Artico potessero aver raggiunto il picco. Ora, dice Shindell, “ci sono buone ragioni per pensare che invece stiamo andando nella direzione opposta”. LEGGI TUTTO

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    Urban mining: le città diventano miniere di materie prime

    Le nostre città stanno diventando delle miniere. Solo che non tutti lo sanno. Eppure con il ritmo crescente con cui consumiamo prodotti ricchi di materie prime, sempre più rare e preziose, rischiamo di buttar via tonnellate di rifiuti che invece hanno un valore. Oro, rame, alluminio, terre rare, plastica spesso contenuti in oggetti che scartiamo e buttiamo. Si chiama urban mining, ed oggi è uno dei concetti chiave dell’economia circolare: si riferisce al recupero di materie prime e materiali preziosi dai rifiuti prodotti nelle aree urbane, invece di estrarli direttamente da giacimenti naturali. Nelle miniere metropolitane, i rifiuti elettronici, quelli solidi urbani, gli scarti da costruzione e demolizione contengono quantità importanti di metalli rari che possono (devono) essere reintrodotti nel ciclo produttivo. Su questo tema la Commissione Ue sta ragionando in modo strategico e si sta preparando ad introdurre nel 2026, la normativa europea sull’economia circolare, proprio per valorizzare queste risorse che vanno perse. E che se le scartiamo, inquinano.

    Ambiente

    Etichetta energetica anche su smartphone e tablet: cosa cambia per ricarica e riciclo

    di Dario D’Elia

    19 Giugno 2025

    L’Europa e le sfide da affrontare
    Sicuramente, le batterie agli ioni di litio dei veicoli elettrici o di qualsiasi altro dispositivo elettronico, dipendono da materie prime critiche, come litio, nichel e cobalto. Con l’aumento della domanda di queste tecnologie, cresce anche la richiesta dei loro componenti. Specialmente in Europa, che dipende fortemente da paesi esterni per la fornitura di questi materiali. Infatti il Sudafrica fornisce il 41% della domanda dell’Ue di manganese primario, mentre il Cile provvede al 79% del suo litio lavorato. Per quanto riguarda le batterie, la Cina controlla circa il 70% dell’intera catena del valore delle batterie, dalla lavorazione delle materie prime all’assemblaggio. Di conseguenza, l’UE è altamente vulnerabile a carenze.

    Il riciclo per l’UE potrebbe fornire una soluzione sia per stabilizzare l’offerta, che per minimizzare il danno ecologico. Infatti, l’estrazione delle materie prime critiche comporta costi e rischi elevati, in termini economici e ambientali. Per cominciare, le attività di esplorazione per trovare giacimenti di questi minerali possono richiedere anni, senza alcuna garanzia di successo. L’estrazione dei materiali stessi è altamente intensiva in termini di risorse: l’estrazione di 1 kg di cobalto, un componente essenziale di diverse chimiche delle batterie, consuma circa 250 kg di acqua e produce almeno 100 kg di materiale di scarto.

    Economia circolare

    Viaggio nell’impianto che estrae terre rare dai dispositivi elettronici che buttiamo

    di Luca Fraioli

    15 Aprile 2025

    I vantaggi dell’urban mining
    Ecco perché molte economie avanzate stanno considerando il riciclo dei metalli e il potenziamento dell’economia circolare come valore aggiunto per i loro piani strategici. Paesi come il Giappone e la Cina, così come molti stati degli USA, hanno approvato legislazioni relative al riciclo di elettronica e batterie, seguendo l’esempio virtuoso dell’Europa.
    Ma Secondo il rapporto Recycling of Critical Minerals dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), le prime 20 aziende al mondo per capacità di pre-trattamento e recupero di materiali sono tutte cinesi: le prime tre detengono circa il 15% del mercato globale del pre-trattamento e quasi il 20% del mercato del recupero dei materiali. In prospettiva, si prevede che il gigante asiatico manterrà oltre il 75% della capacità globale di recupero dei materiali nel 2030, con gli Usa al 10% e l’Ue al 5% della quota di mercato.
    62 milioni di tonnellate di Raee in discarica
    Ed ecco che torniamo al concetto dell’urban mining, che non riguarda solo le batterie esauste, ma anche la crescente quantità di rifiuti elettronici. Sono 62 milioni le tonnellate di RAEE che nel 2022 avrebbero potuto riempire un milione e mezzo di camion da 40 tonnellate. Invece di finire in discarica possono essere sfruttati come miniere urbane di materie prime secondarie, anche perché recuperare ciò che già possediamo manterrà queste preziose materie prime in Europa. Secondo i calcoli dell’istituto JRC, l’offerta potenziale di cobalto, componente essenziale per batterie ed elettronica, potrebbe ammontare al 42% della domanda dell’Ue entro il 2050.
    Per farlo però, occorre mantenere questi processi in casa. Infatti, anche i RAEE vengono spesso lavorati fuori dai confini europei, per abbattere i costi di manodopera o perché è più semplice farlo nelle strutture dove già sono lavorate le materie prima. Ma qui, c’è necessità di cambiare il paradigma all’interno dell’UE per costruire un’industria sostenibile e competitiva. LEGGI TUTTO

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    Un aiuto alle imprese per installare pannelli solari e impianti mini-eolici

    Nuova opportunità per le imprese che intendono installare pannelli solari e impianti mini-eolici. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha infatti riaperto i termini per il bando dedicato all’autoproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nelle piccole e medie imprese. Le domande possono essere presentate dall’8 luglio al 30 settembre 2025 attraverso […] LEGGI TUTTO

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    La “pompa marina” (e naturale) che sequestra il carbonio negli oceani

    Quando si parla di assorbimento e stoccaggio del carbonio siamo abituati a pensare alle piante terrestri, che attraverso la fotosintesi rimuovono l’anidride carbonica dall’atmosfera trasformandola in molecole più complesse. Ma anche gli oceani sono degli importanti “magazzini” di carbonio. Grazie alla cosiddetta “pompa marina del carbonio” contribuiscono infatti a sequestrare il carbonio immagazzinandolo a lungo termine negli abissi. A questo processo concorre anche lo zooplancton che vive nell’Oceano Antartico, e che stagionalmente migra dalle acque superficiali a quelle profonde. Secondo i risultati di uno studio pubblicato su “Limnology and Oceanography”, la migrazione verticale dello zooplancton trasporterebbe ogni anno 65 milioni di tonnellate di carbonio a profondità superiori ai 500 metri. Un contributo decisamente sottostimato fino ad oggi, spiegano gli autori e le autrici della ricerca.

    Cos’è la pompa marina del carbonio
    Facciamo un passo indietro. Cos’è esattamente la “pompa marina del carbonio”? Analogamente a quanto fanno le piante terrestri, anche alcuni organismi marini, come il fitoplancton, sono in grado di sintetizzare molecole complesse e ricche di carbonio a partire da anidride carbonica e acqua, utilizzando le radiazioni solari come fonte di energia per la reazione. In sostanza, sono in grado di fare la fotosintesi. Quando gli animali che costituiscono lo zooplancton (come krill e altri piccoli pesci e crostacei) o specie più grandi si cibano del fitoplancton, le molecole organiche ricche di carbonio prodotte attraverso la fotosintesi entrano nella rete trofica e, passaggio dopo passaggio, raggiungono gli abissi sotto forma di escrementi o di organismi morti. Qui possono essere riconvertite a molecole inorganiche e immagazzinate sotto forma di sedimenti.

    Lo studio
    Ora, lo zooplancton contribuisce a questo processo non solo attraverso i propri escrementi o sprofondando negli abissi dopo la morte, ma anche in modo per così dire attivo, migrando stagionalmente da uno strato all’altro dell’oceano. Quando questi piccoli abitanti dell’oceano vanno a “svernare” ad alte profondità, infatti, bruciano i grassi accumulati mangiando fitoplancton in superficie, un processo che porta al rilascio di anidride carbonica negli strati più profondi dell’oceano, dove può essere immagazzinata a lungo termine. Alcuni di questi animali, inoltre, muoiono durante il periodo di svernamento, anche in questo caso contribuendo ad accumulare il carbonio negli abissi. Gli autori dello studio hanno esaminato proprio il contributo di questo fenomeno, creando un database dello zooplancton raccolto dall’Oceano Antartico dagli anni ’20 fino ad oggi. A partire da questo database hanno poi stimato la quantità di animali che migrano stagionalmente, e, attraverso appositi modelli, la quantità di carbonio trasportata.

    Un contributo importante
    “Lo studio dimostra che la ‘pompa dei migranti stagionali’ è un’importante via di sequestro naturale del carbonio nelle regioni polari”, commenta Katrin Schmidt, coautrice dello studio e ricercatrice presso la School of Geography, Earth and Environmental Sciences dell’Università di Plymouth (Regno Unito). Tra l’altro, spiegano gli autori, rispetto ad altri processi che portano allo stoccaggio del carbonio ad alte profondità, la migrazione dello zooplancton non causerebbe la rimozione di nutrienti importanti come il ferro dagli strati superficiali, fatto che rende questo meccanismo particolarmente efficiente e “conveniente” dal punto di vista ecologico. “La protezione di questi migranti e dei loro habitat – conclude Schmidt – contribuirà a mitigare i cambiamenti climatici”. LEGGI TUTTO

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    Il riscaldamento globale modifica i valori nutrizionali dei cibi: lo dimostrano rucola e spinaci

    I cibi non sono immutabili: lo stesso alimento, a distanza di anni, può diventare diverso, più di quanto crediamo. La natura nutrizionale di alcuni cibi, infatti, può cambiare, anche per effetto dei cambiamenti climatici. Un messaggio che da qualche tempo diversi esperti nel campo hanno rilanciato: stavolta a farlo è Jiata Ugwah Ekele, studentessa di […] LEGGI TUTTO

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    Sedie e tavoli dagli scarti della birra

    “Abbiamo un disperato bisogno di ridurre gli scarti nell’industria della birra. La maggior parte delle birre che beviamo sono composte da orzo, ma il problema è che non tutti i componenti dell’orzo possono essere fermentati in birre. Tutto ciò che rimane si trasforma in un problema per l’ambiente”. Lui è Franck Grossel (ebanista, designer) fondatore insieme a Christophe Pilcher (direttore marketing) di “Instead startup” che ha sviluppato un metodo per trasformare i residui di cereali derivanti dal processo di birrificazione in un materiale solido e modellabile, impiegato per produrre mobili: sedie, tavoli e sgabelli senza legno né prodotti sintetici.

    Edilizia

    Dalle macerie del terremoto alla rinascita: la startup che stampa il futuro in 3D

    26 Giugno 2025

    Tonnellate di scarti organici
    “In Francia, solo nel 2024, sono stati consumati più di 2 miliardi di litri di birra. Questa produzione è responsabile di oltre 600 mila tonnellate di scarti che rappresentano un problema ecologico, economico e logistico per i produttori di birra”. Partendo dall’esame di questo problema, nel 2020 Grossel decide di unire la sua passione per la birra e la sua esperienza come ebanista per fondare Instead. Dopo aver avviato la startup nel nord della Francia, nel 2022 si trasferisce a Nantes dove conosce Christophe Pilcher, esperto in comunicazione, che dopo aver compreso l’impatto del progetto, diventa socio di Instead. “Abbiamo deciso di unire le nostre competenze, i nostri valori e la nostra visione imprenditoriale in un progetto d’impatto ambientale. Attualmente i residui dei cereali usati per produrre birra vengono scartati, compostati o smaltiti. Ecco perché nel 2022 ci siamo uniti per dare loro una nuova vita, rivoluzionando il modo in cui pensiamo al design e alla sostenibilità”.

    Una sedie prodotta con gli scarti della birra  LEGGI TUTTO

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    Reinhold Messner: “Ecco il mio museo dedicato ai ghiacciai”

    In Alto Adige, ai margini del paese di Solda, a circa 1.900 metri di altitudine, camminando lungo una strada sterrata, tra pini e radure alpine, si scorge un’apertura incastonata nella collina: è l’ingresso del museo Ortles, una delle sei sedi che compongono il complesso museale creato dal famoso alpinista Reinhold Messner. Il 2025, proclamato Anno internazionale della conservazione dei ghiacciai dalle Nazioni Unite, potrebbe allora essere l’occasione giusta per visitarlo, dato che il tema centrale della struttura, inaugurata nel 2004, è proprio quello delle bianche distese perenni.

    Un’esperienza immersiva
    Basta fare pochi passi su una rampa in discesa per trovarsi in un ambiente sotterraneo fresco e umido, di circa 300 metri quadrati. Qui, grazie alle installazioni sonore, si ode il rumore del ghiaccio, che vive, si muove, scorre. Gli iceberg si sciolgono, i crepacci si aprono, le valanghe corrono verso valle con un boato. Si sentono le cadute dei sassi e il soffio incessante del vento. Sembra di essere davvero sul Monte Everest a oltre 6.500 metri. Inoltre, attraverso cimeli storici, opere d’arte, reperti, lo scalatore racconta le storie delle esplorazioni ai Poli Nord e Sud, dei leggendari uomini delle nevi e soprattutto delle grandi catene montuose. Non mancano tele che mostrano la forza, la luce, gli infiniti colori dei manti ghiacciati dell’Himalaya, del Caucaso, delle Ande e delle Alpi. “Volevo parlare del ghiaccio dove il ghiacciaio c’è e, dato che non potevo portare i visitatori in vetta, ho realizzato questo museo, dove il ghiaccio si vede”, spiega l’esploratore.

    Sicurezza e Ambiente

    Ghiacciai in ritirata: come la crisi del clima sta cambiando l’alpinismo

    16 Giugno 2025

    Le iniziative di quest’anno
    Proprio per celebrare l’Anno dei ghiacciai, il museo ospita una nuova creazione realizzata dall’artista Lia Mazzari: microfoni sul ghiacciaio di Solda trasmettono in tempo reale i suoni all’interno delle sale. Inoltre, verranno proiettati estratti di “Requiem in bianco”, documentario firmato dal regista Harry Putz che ha ripreso tredici ghiacciai tra Austria, Germania, Svizzera per mostrarne il drammatico declino. Di fronte a ciò Messner lancia un ammonimento: “Il caldo globale fa sciogliere i ghiacciai, che stanno diventando sempre più sottili e instabili. La montagna sta cambiando volto a causa dell’uomo, ma purtroppo molti non se ne rendono conto”.

    Anche il museo di Castel Firmiano
    Il museo Ortles, quindi, ma non solo. Anche nella sede principale del gruppo museale, a Castel Firmiano, in provincia di Bolzano, saranno presenti l’installazione sonora in diretta e la proiezione del filmato. In più, la collezione del castello si arricchisce di “Al ghiacciaio”, nuova opera dell’artista Ondrej Drescher, che sarà esposta per tutta la stagione. Sempre nelle stanze del maniero è stata allestita “Himalaya”, mostra di Thomas Biasotto con foto di ghiacciai di alta quota. Già nel 2013 Firmiano aveva dedicato particolare attenzione alle distese ghiacciate, attraverso l’esposizione “Sulle tracce dei ghiacciai”, che confrontava scatti di oltre un secolo fa con quelli odierni, evidenziando che il bianco immacolato è stato sostituito da ghiaioni spogli, rocce e vegetazione.

    I ghiacciai sono il cuore fragile del Pianeta
    Del resto, Messner conosce i ghiacciai da vicino. Nel 1970 e nel 1978 raggiunse il Diamir, sul Nanga Parbat, in Pakistan, superando gli 8mila metri. Un legame che abbraccia anche le Dolomiti, dove ha anche aperto nuove vie sulle pareti ghiacciate. Oggi lo scalatore si impegna a raccontarli, a difenderli, a trasmetterne il valore alle nuove generazioni. E invita tutti noi a guardarli non solo come sfida o scenario spettacolare, ma come cuore fragile del Pianeta da proteggere e rispettare. LEGGI TUTTO