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    Sostenibilità ed emancipazione delle donne: a Cuba rinascono le piantagioni di caffè

    La salvezza di un territorio e la difesa della sua popolazione può avvenire anche grazie ad una tazzina di caffè. A Cuba la tradizione del caffè è molto antica e intrecciata alle sue vicende politiche. Raccontata ancora oggi lungo il suo paesaggio archeologico delle prime piantagioni, nel cuore della Sierra Maestra, Patrimonio dell’Umanità. Un tempo grande esportatore di miscele leggendarie, dagli anni Sessanta le coltivazioni sono state via via abbandonate. Oggi però attraverso programmi legati all’agricoltura sostenibile le piantagioni stanno rinascendo e con loro il lavoro delle donne e dei giovani della Sierra Maestra. Ad aiutarli in questo processo di sviluppo sostenibile e di emancipazione è la Fondazione Lavazza che ha restaurato le piantagioni e creato la miscela La Reserva de ¡Tierra! Cuba. 

    Le piantagioni tra Santiago e Gramna

    Un progetto portato avanti in collaborazione con l’organizzazione non governativa Oxfam e le autorità locali convinte che la salvaguardia del territorio colpito dagli effetti del cambiamento climatico sia possibile anche grazie alla ripresa dello sviluppo agricolo

    Giuseppe Lavazza  LEGGI TUTTO

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    Benetton, i capi sono ecologici se sono duraturi

    Massimo Renon, ad di Benetton, dopo la tragedia di Rana Plaza Benetton è stata tra le prime a investire sulla sostenibilità e sulla tracciabilità, cosa fate per alzare sempre di più l’asticella?”Il crollo di Rana Plaza ha aperto gli occhi a tutti, per cui oltre a investire sui processi e sui tessuti, verifichiamo la sicurezza dei posti di lavoro e a garantiamo che i nostri fornitori assicurino ai loro dipendenti salari migliori. Benetton ha istituito un comitato di sostenibilità, che dipende dal Cda, ed è l’organo preposto al controllo di tutte le certificazioni. Abbiamo una compliance rigida, e un team di persone che visitano e verificano che i nostri stabilimenti e quelli dei fornitori rispettino determinati requisiti. Mandare le nostre persone a fare una due diligence accurata è un costo, che siamo lieti di sostenere per evitare che si ripetano le tragedie del passato, e a riprova del nostro impegno verso il cambiamento climatico”.

    Quali obiettivi vi siete dati sulle emissioni?”A gennaio abbiamo ottenuto l’approvazione dei nostri obiettivi di decarbonizzazione dal Science Based Targets initiative, un programma globale promosso dalle Nazioni Unite, e uno dei più autorevoli sulla sostenibilità. Entro il 2030 ridurremo le nostre emissioni Scope1 e Scope2 del 50%, per far questo la nostra flotta azienda migrerà tutta all’ibrido o all’elettrico, ci approvvigioneremo da fonti rinnovabili e faremo importanti investimenti nei negozi, nella logistica e nei nostri siti produttivi”.

    Cosa mi dice dei materiali e del recupero degli scarti?”Già oggi il 22% delle nostre collezioni è realizzato con materiali meno impattanti, l’obiettivo è di aumentarne l’utilizzo sopra il 50%. Ma abbiamo anche investito nei processi produttivi, come il Wasatex, nello stabilimento in Croazia il 60% delle acque reflue viene riciclato per minimizzare gli sprechi”.

    Come avete declinato il concetto di sostenibilità nei negozi?”L’esempio migliore è il nostro flagship di Firenze, inaugurato dopo il Covid in una città che è simbolo anche del Rinascimento. Dalla pietra del pavimento al materiale dei tavoli, il 100% del negozio è stato realizzato con materiali riciclati. Un investimento che ci ha dato anche un positivo ritorno attirando un pubblico più  giovane, perché Benetton è un’azienda che negli ultimi tre anni si è ringiovanita è ha cambiato pelle”.

    Qual è il segreto della rinascita di Benetton?”Il più grande fattore di successo è avere un azionista innamorato e appassionato, che  ci permette di avere la giusta tensione verso il risultato, guardando sempre a un’ottica di lungo termine. Per Benetton i suoi valori, il suo impegno e il suo DNA sono sempre stati un fattore di ispirazione e di successo, anche in anni in cui la moda non aveva come obiettivo le campagne sociali e la sensibilizzazione verso l’inclusione e la diversità”.

    Qual è il nuovo messaggio delle vostre campagne?”Chi fa moda manda anche un messaggio sociale, la nostra filosofia è comprare meno, comprare meglio. Il cuore della Benetton è un prodotto basico fatto di lana, lino, cotone, velluti, denim. Puntando sulla qualità, di capi che non si deformano e non perdono colore, non abbiamo paura di perdere fatturato. Un prodotto è sostenibile quando è duraturo. Guardando le proiezioni del fast fashion al 2040, credo che la normativa dovrà intervenire per limitare il consumo di materiali e prodotti che hanno un alto impatto ambientale”. LEGGI TUTTO

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    Corepla, il boom del riciclo della plastica

    Italia leader europea dell’economia circolare, ma la filiera si sente in pericolo per le norme allo studio in Europa. Con una quota dell’83,4% sul totale dei rifiuti speciali e urbani, il riciclo tricolore supera la Germania ferma al 70% e non ha paragoni rispetto alla media Ue del 53,8%. Dal Decreto Ronchi del 1997, l’Italia si è organizzata con il sistema Conai (Consorzio nazionale imballaggi) che raccoglie da produttori e utilizzatori di imballaggi il contributo finanziario per la raccolta differenziata, organizzata poi dai Comuni attraverso le aziende locali. Dei sette consorzi che compongono Conai, quello dedicato alla plastica (Corepla) ha da poco celebrato i 25 anni di attività.

    Giorgio Quagliuolo, presidente di Corepla, quali sono i risultati più significativi raggiunti?”I risultati sono assolutamente positivi, in questi 25 anni la raccolta degli imballaggi in plastica è passata da 114.000 tonnellate a 1.500.000 tonnellate (+1.216%), ovvero da 1,9 kg a 25 kg pro capite. Per quanto riguarda il materiale avviato a riciclo, invece, l’Italia è passata da 228.000 tonnellate a oltre 1.050.000 tonnellate: un risultato brillante frutto di una rete capillare che vanta attualmente 31 impianti di selezione e 92 impianti di riciclo. Ma guardiamo anche al prossimo futuro puntando sulla tecnologia del riciclo chimico”.

    Confindustria critica la proposta di Regolamento della Commissione Ue sugli imballaggi. Il tema è favorire il riuso rispetto al riciclo. Cosa non va?”Prediligere il riuso al riciclo, laddove il riuso ha un impatto ambientale non misurabile e una difficilissima implementazione, svaluterebbe tutta la filiera italiana del riciclo che è stata costruita in 25 anni di attività e che rappresenta un’eccellenza a livello mondiale”.

    Perché l’Italia avrebbe da perdere?”Cambiando impostazione, non solo si rischia di dover ricominciare da capo, ma si eliminerebbe un elevato quantitativo di materie prime seconde dal mercato spingendo nuovamente sull’utilizzo di materie prime vergini”.

    La Ue ci pone obiettivi di raccolta e riciclo sempre più sfidanti, a partire da quelli relativi alle bottiglie in pet. Voi come vi state muovendo?”Per aumentare l’intercettazione di questi imballaggi, abbiamo dato vita a una raccolta dedicata tramite ecocompattatori basata su un sistema di premialità che, integrata al modello di raccolta differenziata già consolidato, potrà rendere gli ambiziosi obiettivi europei alla portata della filiera”.

    È pur vero che non tutta la plastica può esser riciclata…La plastica che attualmente non può essere avviata a riciclo può comunque essere impiegata per realizzare combustibile da rifiuto di alta qualità, da utilizzare nei cementifici sostituendo ben più inquinanti e costosi combustibili fossili come carbone o pet coke. Ma in Italia, purtroppo, il tasso di sostituzione calorica complessivo del comparto cementifero non supera il 20,9%, un dato molto lontano dalla media europea del 50%. Un’occasione persa per il nostro Paese che, proprio perché povero di materie prime, dovrebbe puntare su questo progresso prezioso anche in un’ottica di decarbonizzazione”. LEGGI TUTTO

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    CNH, agricoltura tecnologica e sostenibile

    Carlo Alberto Sisto, presidente Europe, Middle East & Africa CNH Industrial, fra siccità e altri disastri, come la tecnologia e l’innovazione nel campo delle macchine agricole possono limitare i danni?“In un momento come quello che stiamo vivendo, difficoltoso sia dal punto di vista degli sconvolgimenti climatici, sia per la necessità di affrontare l’enorme sfida di […] LEGGI TUTTO

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    L’Orèal, bellezza e sostenibilità vanno di pari passo

    Bellezza e futuro sostenibile procedono di pari passo. Da questo assunto parte la prima campagna globale di L’Oréal legata alla strategia ESG. “‘Creare la bellezza che muove il mondo’ è il manifesto che guida le nostre azioni e racchiude i nostri valori – commenta Emmanuel Goulin, presidente e ad di L’Oréal Italia – oggi le […] LEGGI TUTTO

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    Kpmg, essere sostenibili per competere

    Il nostro obiettivo è accompagnare i player del settore energetico nel percorso di decarbonizzazione e di transizione energetica. La sfida è quella di assistere i nostri clienti verso modelli di business e operativi che assicurino sostenibilità ambientale, l’accesso universale all’energia e la sicurezza energetica. Modelli che prevedano la centralità del cliente ai quali offrire prodotti e servizi energetici totalmente decarbonizzati, considerando tutte le emissioni generate durante il ciclo di vita”. PierMario Barzaghi è Partner & Head of Sustainability di KPMG Italia, realtà presente in 143 Paesi del mondo, con 265mila professionisti, attiva a livello globale nei servizi alle imprese. Di recente è stato nominato membro del comitato degli esperti a supporto dell’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) per fornire consulenza tecnica sugli standard di rendicontazione di sostenibilità a livello Ue. È docente di corsi di formazione in materia di sostenibilità, presso alcune università italiane (Università Cattolica del Sacro Cuore, SDA Bocconi, Università Tor Vergata di Roma, Università LIUC di Castellanza).

    Quanto è aumentata la consapevolezza in termini di impatto ambientale da parte del mondo dell’impresa?”Molto, ma è aumentata soprattutto nell’ultimo periodo. Così come è aumentata la consapevolezza della complessità delle questioni climatiche e dell’impegno necessario per raggiungere gli obiettivi. Sui risultati dell’impegno, singolo e condiviso, e degli effetti delle misure legate per esempio al Pnrr, occorre ragionare a lungo termine”.

    Quali sono, nel dettaglio, le linee d’azione più efficaci suggerite da KPMG?”Il punto di partenza è la definizione di una chiara ESG strategy rispetto alla quale avviare un programma trasformativo volto a implementare un modello operativo green, adattivo e resiliente. L’evoluzione del business passa dalla trasformazione della struttura dei processi chiave: tecnologia e digitalizzazione, allocazione del capitale, strategie commerciali, open innovation, M&A integration, per chiudere con il più importante rappresentato dal capitale umano”.

    Sottolinea spesso che l’impatto sull’economia delle innovazioni green porta a una crescita: investire conviene anche da un punto di vista economico. Le aziende non si sentono “costrette” ad essere sostenibili?”Esatto, per due ordini di motivi. Intanto perché il consumatore lo chiede e il mercato lo riconosce, così come l’investitore. Le iniziative green sono riconoscibili, purché siano concrete e non siano operazioni di puro marketing, legate dunque alla tentazione del greenwashing. Ma c’è poi un aspetto altrettanto importante: gli investimenti sull’ambiente hanno un risvolto sociale fondamentale, attraendo e trattenendo – grazie all’impulso alla ricerca – i talenti migliori. Ma non mancano i rischi”.

    Quali, per esempio?”Le aziende devono raggiungere la consapevolezza che adottare i modelli ESG, riferendosi in particolare alla più grande piattaforma regolamentare di riferimento, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) della Ue, e in generale essere sostenibili e intraprendere un percorso di transizione energetica non è solo una questione di obbligo regolamentare. Poiché il mercato e gli stakeholder sono diventati sensibili rispetto a questi temi, la sostenibilità è un fattore competitivo, in grado di determinare la sopravvivenza stessa delle imprese sul mercato”. LEGGI TUTTO

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    Illy, per un’agricoltura che diventi rigenerativa

    La sua passione per la sostenibilità è nata 40 anni fa, quando era studente a Losanna. E il grande passo lo ha compiuto nel 2018, quando ha preso un anno sabbatico per capire come decarbonizzare la propria azienda, puntando anche su quella che Andrea Illy, patron dell’omonimo gruppo che produce caffè, chiama l’agricoltura “rigenerativa”. Una sfida a cui ha dedicato una Fondazione, la Regenerative Society Foundation (RSF), nata nel 2020 con, tra gli altri, gli imprenditori Maria Paola Chiesi e Davide Bollati di Davines, e da lui presieduta insieme con l’economista Jeffrey Sachs.

    Cosa significa “rigenerativa”?”Il modello di sviluppo nato con la rivoluzione industriale è estrattivo, cioè prende sia dalla biosfera che dalla geosfera. Ed è un modello lineare che a fine vita lascia lo scarto. Il modello rigenerativo è l’opposto, è spontaneo, è circolare perché le risorse vengono riutilizzate e debella l’inquinamento perché o lo previene o lo neutralizza. L’errore secolare è stato il dualismo tra natura e cultura (intesa come scienza, tecnologia ed economia) dimenticando che siamo il frutto della biosfera e che la nostra vita dipende esclusivamente da essa. Le interazioni e interdipendenze tra tutti i fattori di un sistema rigenerativo creano un livello di complessità straordinario che, al contrario dell’approccio riduzionista generalmente applicato, richiede una visione sistemica”.

    E come avviene in agricoltura il processo rigenerativo?”Nell’agricoltura convenzionale il suolo è come il polistirolo, un supporto dove si innestano le radici, ma senza un ruolo chimico. Per quello ci sono i fertilizzanti, che col tempo però mineralizzano i suoli facendo perdere fertilità. I suoli devono invece mantenere il loro tenore di carbonio organico”.

    Cosa si dovrebbe fare allora?”Si può utilizzare il sovescio, una pratica che consiste nell’interramento di alcune piante, come le leguminose, che rilasciano azoto nel terreno nutrendolo. Oppure spargendo il compost, che possiede una straordinaria capacità di catturare il carbonio. Una tonnellata di compost può annullare oltre 100 kg di C02″.

    E per combattere le malattie delle piante?”Diversamente dall’agricoltura convenzionale, che sopprime i patogeni tramite una vasta gamma di difensivi chimici, nell’agricoltura rigenerativa la pianta convive con la malattia, contrastandola con le sue difese naturali, riuscendo a resistere, e a mantenere spesso la stessa produttività. A tal fine sono molto importanti le riserve naturali accanto ai campi, perché possono fornire microrganismi, funghi e insetti per potenziare le difese naturali”.

    In questo modo puntate sulla biodiversità?”Dobbiamo difenderla passando dall’agrochimica al microbiologico. Va preservata la biodiversità del suolo e quella aerea, con tutti i microrganismi, gli insetti e gli uccelli. Anche quella delle piante. Se per esempio in Puglia gli ulivi fossero stati diversi uno dall’altro, forse non sarebbero morti. La biodiversità agricola, la pluricoltura e l’ecosistemica a cui ho fatto riferimento”.

    Ma la nostra agricoltura si basa prevalentemente sulla monocultura.”È un problema gigantesco. La biodiversità è importante perché fornisce i servizi ecosistemici, prodotti per lo più dalle foreste tropicali. Se le deforesto per fare agricoltura e se faccio monocultura ho anche perdita di biodiversità. Il 50% delle terre abitabili oggi sono dedicate all’agricoltura, 200 anni fa erano solo il 12,5%. È un numero che raddoppia ogni 100 anni. E grano, mais e riso prendono metà delle calorie consumate. Serve riequilibrare il rapporto tra ettari coltivati ed ettari non coltivati. Oltre alla biodiversità, un bosco a margine di una piantagione permette infatti di trattenere l’acqua, abbassare la temperatura e sequestrare carbonio”.

    Come nasce il nome “rigenerativa”?”L’ho scoperto prima del boom, quando cercavo un nome per il mio modello di agricoltura virtuosa, come l’ho poi chiamata. Una storia affascinante: un editore newyorkese, Jerome Irving Rodale, allergico allo smog, aveva deciso di abbandonare la città e trasferirsi nella sua fattoria in Pennsylvania, ma dopo un breve periodo le allergie tornano e scopre che sono dovute agli agenti agrochimici. Decide di eliminare i pesticidi dai campi introducendo pratiche rigenerative che l’istituto da lui fondato perfeziona in 40 anni di attività, basate sull’intento di arricchire il suolo con carbonio organico, in grado di nutrire il microbiota che a sua volta fissa i minerali come azoto e fosforo. In questo modo diminuisce il fabbisogno di fertilizzanti e le piante producono sostanze fitochimiche che difendono le piante stesse da elementi patogeni. Sono processi naturali, che avvengono negli ecosistemi: da qui il nome rigenerativo”.

    E si hanno anche prodotti più naturali?”La pianta senza pesticidi si allena da sola per difendersi con fitochimici che produce. Quando vengono ingerite, queste sostanze naturali, dette anche ‘xenobionti’, possono essere antiossidanti e a volte antinfiammatorie. La logica dice che se queste sostanze sono benefiche dobbiamo dimostrare che coltivando in questo modo diamo benefici alla salute, oltre all’ambiente. Chi compra cibi biologici pensa di far meno male alla salute e all’ambiente. Ed è disposto a pagare un prezzo premium. Il biologico però non può arrivare al 100% dell’agricoltura, ma il rigenerativo spero di sì”. LEGGI TUTTO