consigliato per te

  • in

    Tre amiche e una cargo bike: la spesa sfusa (e non solo) a Centocelle

    Tre donne, un cargo bike e una grande passione per l’ambiente e il proprio quartiere, Centocelle. Una città nella città, a Roma, con 60 mila abitanti dove Pier Paolo Pasolini ha girato il film Accattone e le strade si chiamano come i fiori: via dei Glicini, via delle Azalee, via degli Eucalipti. Rione outsider con i muri abbelliti dalla street art, Centocelle ha un’anima popolare, e grazie alla nuova linea della metro, inaugurata nel 2014, molti giovani hanno cominciato ad aprire negozi di tendenza e locali. 

    MANDA LA TUA STORIA 

    “Ma non vogliamo trasformarci come certi quartieri che si sono stravolti per rincorrere mode e cercare di assomigliare al ‘centro’. Centocelle rimane un punto di incontro di anime e culture, di solidarietà e di lotta per i diritti e per la tutela dell’ambiente. Un’identità che non vogliamo perdere. Per questo noi tre che siamo sempre vissute qui, abbiamo deciso di aprire proprio qui il nostro eco shop”. Claudia Clemente, Francesca Mancinelli e Valentina Gangi, quarantenni romane, a Centocelle sono conosciutissime: hanno creato una piccola realtà che si chiama Soap on the road. La gente del quartiere si è abituata a vederle girare con la loro cargo bike elettrica che trasporta detersivi, shampoo e bagnoschiuma alla spina: porti il tuo contenitore al cargo bike e lo ricarichi. Tutto qui. LEGGI TUTTO

  • in

    Lorenzo Di Ciaccio e la startup Ridaje che dà lavoro ai senzatetto

    Questa è la bella storia di un ingegnere che davanti al problema sociale dei senzatetto non si gira dall’altra parte ma cerca di risolverlo. Dando loro una possibilità di riscatto. Lui si chiama Lorenzo Di Ciaccio, romano di adozione, e la sua (seconda) startup è Ridaje, che a Roma significa appunto “seconda chance”.  Prende i senzatetto, insegna loro a diventare giardinieri urbani e poi li impiega nelle aree verdi in stato di abbandono. Li assume con un contratto regolare di 3 mesi, part-time, per 700 euro al mese. E ora lancia una campagna di equity crowdfunding.

    “Vogliamo dimostrare al mondo che si può fare impresa, facendo cose belle e massimizzando l’impatto sociale”. In una settimana hanno già raccolto 70mila euro.

    Trentotto anni, ingegnere informatico, Lorenzo 10 anni fa si è licenziato per fondare un’altra bellissima startup. Che oggi è in attivo. Si chiama Pedius. Nasce da una notizia in Tv. Di Ciaccio aveva sentito la storia di Gabriele, un ragazzo sordo che dopo aver fatto un incidente non era riuscito a telefonare per chiamare l’ambulanza. Rimane colpito. Inizia a pensare a una soluzione. Lascia un lavoro sicuro, usa la sua liquidazione e crea un software che permette ai sordi di telefonare. “Non conoscevo nessuno con questo problema. Gabriele è diventato il mio primo amico sordo”. Pedius ha raccolto capitali, fattura 700 mila euro e tra i suoi clienti ci sono grandi imprese come la Banca d’Italia, Telecom, Enel. 

    MANDA LA TUA STORIA 

    Anno 2019. “Ridaje nasce collegando i puntini di tanti incontri straordinari. Per 12 anni ho fatto volontariato per l’Emergenza Freddo alla Caritas. Da Natale a Pasqua. Di anno in anno, tornando per quel periodo, mi accorgevo che le persone erano sempre le stesse, ma sempre più annichilite. Mi chiedevo: ma allora un tetto e un pasto caldo non ti tolgono dalla strada? Cosa si può fare per questo problema che colpisce tutte le grandi città del mondo? Intanto portavo la storia di Pedius nelle università e in uno dei quegli incontri con gli studenti alla Luiss ho conosciuto il ricercatore Luca Mongelli. Stava facendo una ricerca sull’empowerment dei soggetti emarginati.

    “La teoria: una persona per riprendere in mano la sua vita ha bisogno di un lavoro, di un safe space, ossia un angolo sicuro di tranquilità e di un riconoscimento”.

    Decidono di fare qualcosa, costruiscono un modello di business, partendo proprio da un altro problema di Roma: le aree abbandonate e sporche. “Ci siamo detti: se aziende e cittadini sono disposti a smetterla di lamentarsi per il degrado e a pagare qualcosa per vedere la città più pulita, possiamo trovare la strada”. Detto fatto. L’idea piace. Funziona. “Prendendosi cura di uno spazio verde, le persone si prendono cura di se stessi”. I due stringono accordi con aziende, privati, negozi e riqualificano aree verdi. “Vogliamo dimostrare che il sociale è business. E che in un mercato capitalistico si può dare spazio all’uomo”. Infine, c’è la svolta romantica. Lorenzo incontra la donna della sua vita proprio alla Caritas, lei sta distribuendo pasti ai senza fissa dimora. Si sposano, fanno un figlio e oggi condividono il sogno di Ridaje. “Lei è molto più operativa di me”.

    Finora 50 senzatetto hanno seguito il loro corso di formazione, 40 ore tra teoria e pratica. 16 persone hanno già lavorato con Ridaje. Otto di loro hanno trovato un altro lavoro vero. “Non tutti i senzatetto sono pronti a lavorare. Un gruppo di psicologi li seleziona. Non è una porta che si apre per tutti. Seguiamo un modello preciso per mettere di salvarsi a chi è nelle condizioni di farlo. È un modello meritocratico. Scientifico. E che ci permette di non fare errori”. Si salva tra loro chi sbaglia meno, non chi lavora di più. “Uno dei nemici infatti è l’eccesso di entusiasmo. Chi parte in quarta, con un ritmo fortissimo, a un certo punto crolla”.Ridaje è entrata in un programma di accelerazione. Ha vinto il bando di open innovation di Ferrovie dello Stato. Finora ha recuperato oltre 50mila mq di verde. “Questa storia mi ha insegnato moltissimo. A livello personale mi ha fatto capire quanto sono fortunato. Sono nato dalla parte giusta del Pianeta, senza meritarlo. Ho avuto genitori che mi hanno permesso di studiare. Posso restituire un po’ di questa fortuna a chi non l’ha avuta. Quando lavori nel sociale impari anche a dire “no”. Capisci che non puoi salvare tutti. Dire di sì alle persone sbagliate è uguale a dire no a chi se lo merita. Il modello di impresa ci costringe a limitare i danni che potremmo fare con la compassione. Se un giardiniere non si presenta o commette uno sbaglio, la prima volta è ammonito, la seconda è fuori. Abbiamo regole precise, ma siamo una goccia in mezzo al mare. Ora con la campagna di crowdfunding vorremmo strutturare meglio l’azienda per gestire commesse più grandi. E soprattutto acquistare una casa. Che permetta loro quel “safe space” di cui abbiamo bisogno tutti per stare bene”. Come cambiare il mondo in meglio, un giardino alla volta. LEGGI TUTTO

  • in

    “Mollo Tutto e vivo sull’isola”, la scelta di Natalie Rossi

    “Il mio sogno è sempre stato vivere su un’isola”. Così Natalie Rossi, nata a Palermo e con un diploma dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna e una laurea magistrale in Design in tasca, ha deciso di trasferirsi a Lipari, con sua figlia di appena 4 anni. È la passione per il mare e il desiderio di proteggerlo che l’ha spinta a cambiare vita all’improvviso, dopo aver vissuto in giro per l’Italia. Da qui il brand “Mollo Tutto”, che in due parole racchiude il senso di questa scelta. 

    MANDA LA TUA STORIA

    È il 2014 quando nell’atelier di Lipari, appena aperto, inizia a realizzare le prime t-shirt dipinte a mano, con la scritta Mollo Tutto che in pochissimo tempo diventano le protagoniste dello “struscio” estivo, per le vie dell’isola, indossate da turisti e residenti. A fine estate Natalie decide che poteva diventare il suo lavoro. “C’è disegnata una barchetta di carta, simbolo di leggerezza e poesia. Perché Mollo Tutto non riguarda solo quella che è stata la mia scelta di vita: significa lasciare il passato per inseguire un sogno”. Un suggerimento che vale anche per prendere decisioni difficili ma necessarie, cambiando abitudini, guardando il mondo con altri occhi per smettere di saccheggiarlo e consumarlo.

    Il progetto di Natalie Rossi nasce anche dall’attenzione verso la sostenibilità: già nel suo atelier in Toscana, la designer realizzava le sue creazioni utilizzando i materiali di scarto delle aziende che insistevano nel distretto. Poi, il negozio di Lipari è stato totalmente arredato recuperando quello che il mare dimentica sulla spiaggia, remi in disuso, parti di gozzetti dei pescatori. “Il mondo del mare e i suoi rifiuti entrano nel negozio e diventano oggetti unici di arredo. Anche ora che abbiamo lanciato il nostro progetto di franchising, l’arredamento sarà legato a questo concetto di riuso e riciclo del mondo del mare e degli oggetti della pesca”. E il recupero dei rifiuti in mare è diventato un passo importante per le sue creazioni compiuto assieme al WWF e grazie ai progetti Ghost Gear ed EcoeFISHent per recuperare le reti dai fondali e dar loro nuova vita, aiutando l’ambiente

    (foto: C. Mantuano)  LEGGI TUTTO

  • in

    Michela Centeleghe e la passione per le sue api, insegnanti di vita

    Le api non possono che conquistare un posto nella tua anima se hai la volontà di imparare tutto ciò che sanno insegnare: con la sua azienda agricola “La Casa di Maia”, attiva dal 2012, Michela Centeleghe, 51 anni, crede profondamente nel valore delle sue arnie, e attraverso l’apicoltura, l’offerta agrituristica e la fattoria didattica, difende ogni giorno la biodiversità e la sostenibilità ambientale. 

    MANDA LA TUA STORIA”L’apicoltura – spiega Michela Centeleghe, titolare dell’azienda agricola La Casa di Maia – accompagna la mia vita fin dall’infanzia. Mio padre, Roberto, è stato un appassionato apicoltore hobbista dal 1975 e socio fondatore dell’associazione Apidolomiti”.A gennaio del 2009, con la repentina perdita del padre, Michela inizia ad occuparsi in prima persona delle arnie. “Da lì – aggiunge Michela – non ho più interrotto la loro cura. Non ero del tutto impreparata al mondo dell’apicoltura. La mia tesi, presentata nel 1997 al termine dei miei studi di laurea in Scienze e Tecnologie alimentari, titolava: “tecniche accoppiate nella valutazione di qualità degli alimenti, un metodo innovativo HS-GC-MS applicato allo studio dell’aroma dei mieli monofloreali”. Ricordo quel momento con tanta soddisfazione”.L’attività di Michela è incentrata sulla tutela dell’ambiente. “Nel 2021 – racconta Michela – ho deciso di aderire alla DOP Miele delle Dolomiti Bellunesi: certifica che la mia produzione è rispettosa dell’ambiente e della tradizione. Nel febbraio 2023 ho chiesto inoltre di aderire alla Carta Qualità del Parco delle Dolomiti Bellunesi. In questo momento le mie arnie sono a 2000 metri e sto producendo il miele di rododendro, dal fiore di alta montagna. Oltre al rododendro, creo il miele millefiori, l’acacia, il tiglio, il castagno e, a fasi alterne, il tarassaco. Ho circa 100 arnie in totale. Vendo direttamente in alcuni punti vendita del territorio e spedisco i miei prodotti ai miei clienti”.La produzione di miele non è priva di difficoltà e le quantità raccolte variano in base alle condizioni atmosferiche.

    “Considero l’apicoltura un’attività eroica con un rischio d’impresa esagerato ma la passione spinge a non mollare. Lo scorso anno ho portato 27 arnie in alta montagna e hanno prodotto 25 kg di miele. Quest’estate, con una sola casetta, ho ottenuto lo stesso quantitativo creato lo scorso anno da trenta famiglie. Le variabili ambientali incidono molto sulla produttività dell’ape. A maggio di quest’anno, ad esempio, il miele d’acacia non è arrivato a causa delle grandi piogge. Fortunatamente nelle nostre aree c’è stata una buona produzione estiva”.

    Dal 2021 l’azienda ha aperto la fattoria didattica. “Voglio presentare – illustra Michela- alle scolaresche e alle famiglie quello che faccio. Sono dei percorsi per avvicinare i bambini e i ragazzi alle api facendo crollare i muri di paura verso questi insetti. Spiego loro la fisiologia, la loro vita e come operano. I bambini le toccano, hanno un contatto fisico e reale. La reazione è di puro entusiasmo. Alcuni non avevano mai assaggiato il miele solo per timore verso le api e adesso vengono qui con le famiglie ad acquistarlo”.L’azienda è dotata di due alloggi agrituristici: due camere con angolo cottura ed ampio bagno, ciascuna con loggia e disponibilità di parcheggio. “Sono costruiti interamente – precisa Michela – con materiali naturali: legno, pietra, vetro e ferro. La struttura è stata realizzata per essere quanto più rispettosa dell’ambiente. Il sistema di riscaldamento è a caldaia a biomassa di alta prestazione e tutta la struttura è coibentata con lana di roccia e i serramenti in legno di larice sono dotati di triplo vetro per consentire un’ottimale resa termica d’inverno e sono dotati di schermature solari per il raffrescamento naturale estivo. Per la parte elettrica faremo un impianto fotovoltaico per aumentare l’efficienza energetica. Anche la colazione è fatta di prodotti locali a km zero, coerenti con ciò che ci offre il territorio”. L’edificio è dotato di un sistema di recupero dell’acqua piovana che viene utilizzata per gli scarichi dei servizi e per l’irrigazione.Per Michela le api sono una fonte di apprendimento quotidiano. “Mi hanno insegnato – conclude Michela- che ogni stagione della vita ti porta a qualcosa. L’istinto dell’ape è dare il massimo delle proprie energie per sopravvivere anche a due anni in totale carestia. Un altro insegnamento è: pensare al futuro e non solo all’oggi. Vivo questa attività con grande entusiasmo e non ho l’obiettivo di fermarmi, andrò avanti fino alla fine”. LEGGI TUTTO

  • in

    Davide e lo Smart Walking come filosofia di vita

    Dalla fine di una storia d’amore è nato l’amore per qualcosa altro, per i cammini d’Italia e  l’idea di ispirare le persone a trovare il giusto bilanciamento fra la propria vita, il lavoro e il rispetto per l’ambiente. Davide Fiz, 47 anni, qualche anno fa dopo la fine di una relazione e aver detto addio alla Sicilia dove stava vivendo, si è ritrovato a pensare. Voleva trasformare la sua quotidianità – quella di un professionista che lavora nel commerciale da remoto, gestendo il proprio tempo – in un progetto personale che fosse contemporaneamente di “working balance” e di ispirazione per un “altro stile di vita possibile”. 

    MANDA LA TUA STORIA 

    Complice l’effetto del lockdown, che ha sdoganato lo smart working in tutto il mondo, si è inventato così lo “Smart Walking”, una iniziativa per raccontare – camminando di mattina e lavorando di pomeriggio – i sentieri del nostro Paese, le storie di persone e aziende che operano in maniera sostenibile, tentando di ispirare “una comunità di persone a camminare, azione che impatta poco sulla natura, e vivere con semplicità liberandosi anche di molte cose materiali inutili” racconta. 

    Oggi “Smart Walking” narra, grazie ai social su Instagram e Linkedin, i segreti dei cammini più famosi dello Stivale, le buone pratiche per l’ambiente e le realtà – soprattutto a km zero – che Davide incontra spesso di mattina. La sua idea di “smart working” è infatti quella di camminare appena si sveglia, “anche per quattro o cinque ore, magari una ventina di chilometri” e poi lavorare il pomeriggio.”Cammino da sempre, dalla Liguria alle Apuane, dal cammino di Santiago sino ad altri in Europa e allo stesso tempo sono da anni una sorta di nomade digitale, dato che sono a partita Iva e lavoro da casa. Potrei dire che la mia passione e il mio nomadismo digitale hanno fatto “match” quando mi sono lasciato dopo una lunga relazione: sono tornato a vivere a Livorno ma sentivo che non dovevo fermarmi e dar vita all’amore per le mie passioni, così è nato Smart Walking”.In quello che è una sorta di diario dei suoi percorsi, Davide spiega sui social i segreti dei cammini (il prossimo sarà quello degli Dei, da Bologna a Firenze), i luoghi sostenibili in cui mangiare, dove rifocillarsi o riempire la propria borraccia, oppure condivide semplicemente le storie di chi lavora a basse emissioni.

    “Per esempio sono appena tornato dalla Val Taleggio, dove ho incontrato le straordinarie e poche persone che fanno un formaggio unico al mondo, un prodotto Dop basato ancora su antiche tradizioni, dall’alpeggio al rispetto per la montagna”.

    “Lo scopo del progetto è spesso dare uno stimolo, mostrare come si può combaciare un’esigenza che tutti abbiamo, il lavoro, con una passione, e contemporaneamente raccontare come questo bilanciamento non solo può coesistere, ma può avvenire anche con un occhio attento alla sostenibilità”. LEGGI TUTTO

  • in

    L’avvocato che monitora lo stato di salute del Pianeta

    Paolo è bergamasco, innamorato della sua terra, dei boschi e delle montagne che la circondano. È questa la motivazione che l’ha spinto durante la pandemia a fare qualcosa per l’ambiente. “Amo la natura e quindi il tema del cambiamento climatico mi ha colpito tantissimo. I danni che sta provocando sono sotto gli occhi di tutti e quindi spero si possa trovare una soluzione”, ci spiega Paolo Rizzi. “La creazione del sito Planet Health Check è il mio piccolo contributo da proporre a tutti per sensibilizzare sull’argomento e far conoscere la situazione”. 

    MANDA LA TUA STORIA 

    È davvero incredibile il lavoro che ha fatto in questi anni, soprattutto se si considera che nella vita non sviluppa progetti digitali ma svolge l’attività di avvocato nel campo della consulenza stragiudiziale per le imprese.

    “Mi sono fatto assistere dal mio programmatore ovviamente, ma anche da ex collaboratori che condividono la mia stessa sensibilità su questi argomenti. Siamo andati online il 28 ottobre scorso, dopo circa tre anni di lavoro”, aggiunge Rizzi.

    Planethealthcheck.com di fatto è un sito informativo – ovviamente gratuito – che mette a disposizione dati in tempo reale (ogni tre ore) sulla popolazione, l’energia, l’ambiente, i consumi e l’esposizione a sostanze tossiche su scala globale. In tal senso Rizzi assicura di impiegare esclusivamente gli open data messi a disposizione dalle principali fonti autorevoli internazionali, come ad esempio le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, Science Direct e tante altre. Ogni categoria è poi declinata in ulteriori sotto-categorie che consentono di approfondire ogni tema. Se ad esempio per l’aria è poi possibile conoscere i decessi correlati all’inquinamento o esattamente le tonnellate di CO2 emesse nell’atmosfera, sul fronte del consumo si può scoprire quanto cibo viene sprecato nell’anno, mese, settimane e quotidianamente. Insomma questo volume di dati agevola nella comprensione dello scenario globale. 

    MANDA LA TUA STORIA 

    Per di più il sito è multilingua “perché mi sono reso conto che una delle maggiori difficoltà nel rendere edotto il pubblico su questo problema è proprio la comunicazione”, sottolinea. “E infatti è localizzato in italiano, inglese, spagnolo e cinese, ma l’obiettivo è arrivare alle dieci più parlate al mondo”. In tal senso si è attivata una collaborazione con il Liceo Linguistico G. Falcone di Bergamo per dar vita a un Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) che consente agli studenti di accumulare crediti formativi impegnandosi nella traduzione in tedesco del sito. “La consegna dovrebbe avvenire a settembre e stiamo valutando anche l’ipotesi di altri due Pcto per la lingua francese e quella araba, e in futuro non escludo giapponese e russo”, conferma l’avvocato. “Durante il prossimo anno scolastico forse inseriranno nel programma didattico l’insegnamento del cambiamento climatico nelle ore di educazione civica sfruttando anche la mia piattaforma”.

    Il sito ha anche una sezione denominata Pillole che affronta diversi argomenti con piglio didascalico: come funziona il clima della Terra, le cause del cambiamento climatico, la criosfera, gli oceani, il meteo, eccetera. Nella sezione Suggerimenti invece vi sono dei consigli su come risparmiare il consumo dell’acqua, viaggiare in modo responsabile, risparmiare energia e fondamentalmente un manuale di buone prassi e consuetudini ambientaliste. Infine c’è un’utile area Calendario con tutti gli appuntamenti green globali più importanti nel mondo e una curiosa sezione Quiz per mettersi alla prova sui temi della sostenibilità. Fanno da compendio i link diretti ad altre risorse informative. Planet health check è anche disponibile su Facebook, Twitter e Instagram “e devo ammettere che ogni giorno dai social arrivano tanti giovani lettori, a dimostrazione che l’argomento probabilmente interessa a molti”, conclude Rizzi.

    “Io credo che solo informando le persone su ciò che sta avvenendo si possa far cambiare qualcosa. Può montare una sorta di preoccupazione, come quella che mi ha stimolato a reagire. E poi mi auguro che possano arrivare contributi da chi apprezza il progetto per farlo crescere ulteriormente”. LEGGI TUTTO

  • in

    Natasha Calandrino Van Kleef e gli abiti creati con la fibra di faggio

    Per fare un vestito ci vuole un faggio. Anzi fibra di polpa di faggio. La creazione di nuovi tessuti, frutto del riciclo e di buone idee, non è certo una novità, ma resta un’idea innovativa. Oggi per produrre nuove fibre ecologiche si riciclano ad esempio, gli scarti della frutta, uva e arance, ma anche duro marmo reso indossabile da una serie di operazioni tutte green. Tra gli esperimenti più originali e riusciti per la produzione di tessuti ecologici c’è quella proposta dalla stilista Natasha Calandrino Van Kleef, un’architetta e design milanese firma del brand NVK Daydoll, una collezione di moda femminile interamente sostenibile creata appunto dalla fibra di polpa di faggio. A zero emissioni di CO2. Presentata durante la due-giorni del Phygital Sustainability Expo l’evento organizzato al complesso archeologico dei Mercati di Traiano a Roma dalla Sustainable Fashion Innovation Society e dedicato alla transizione ecosostenibile dei brand di moda e di design. 

     “Dal faggio – spiega l’architetta Calandrino Van Kleef – è possibile ottenere un tessuto molto soffice e setoso. Si chiama Modal ed è la cellulosa estratta da questo albero antico e resistente. Cresce nell’Europa settentrionale e centrale, in grandi foreste. La fibra che ho scelto di utilizzare, dopo molti esperimenti, viene prodotta dall’azienda Lenzing sulle Alpi austriache dove i faggi crescono e dove avviene anche la filatura”. 

    Dal filato al capo finito

    Prodotto in Austria, il tessuto grezzo arriva a Milano nello show room di Natasha Calandrino Van Kleef dove viene tagliato, colorato e soprattutto trasformato in abiti leggeri e perfino trasparenti. Un abito da sera di colore verde della sua collezione ha sfilato davanti a Fori Imperiali e si fa fatica a pensare che abbia preso origine dal legno. Tutto avviene nello showroom a Milano. “Volevo creare una moda sostenibile e cercavo il tessuto giusto – racconta la stilista – Poi ho conosciuto la fibra di faggio che è semplicemente perfetta: molto morbida, ma anche resistente. È elastica e traspirante e si asciuga rapidamente. Infine, è antiallergica e antibatterica. Ed è la più sostenibile sul mercato”. Il faggio infatti, oltre ad essere un albero longevo, con un’età che raggiunge i 300 anni, ha bisogno di un consumo d’acqua 20 volte inferiore alla pianta del cotone. Spiega ancora la creatrice che abbiamo incontrato a Roma: 

    “Grazie all’esperienza sono riuscita a superare i limiti della struttura poco sostenuta del tencel (che tradizionalmente è sempre stato utilizzato in coppia con il cotone) e a lavorarlo in modo innovativo grazie a tagli, geometrie e raddoppi nei punti critici. Una tecnica, che è alla base di tutta la collezione di abiti NVK Daydoll, e che ha ricevuto un brevetto di utilità rilasciato dal Ministero dello Sviluppo Economico. Altro valore fondamentale alla base del brand NVK è la salute: i capi della collezione NVK Daydoll non solo riducono i danni ambientali della lavorazione tessile, ma permettono un alto grado di traspirazione della pelle. Ha un ulteriore punto di forza nella filiera etica: il team che realizza le creazioni è composto da persone che lavorano stabilmente da un decennio”.

    Un’economia circolare da sviluppare

    Vale la pena ricordare che quando si parla di moda sostenibile ci si riferisce al fatto che qualunque abito indossiamo produce un impatto (come ogni gesto che facciamo) sul pianeta. Il settore del fashion è considerato tra i principali responsabili delle emissioni di CO2e di altri gas a effetto serra a livello globale.Negli ultimi anni, molti brand hanno aumentato gli sforzi per raggiungere una maggiore sostenibilità e stiamo assistendo a diversi passi in avanti, ma il percorso è ancora molto lungo. Nel frattempo, l’Unione europea ha messo a punto la Strategy for Sustainable Textiles che entro il 2030 intende portare nei nostri armadi solo prodotti duraturi, riciclabili e a basso impatto. Se una maglietta costa poco per i clienti, significa infatti che il prezzo lo sta pagando qualcun altro.  LEGGI TUTTO

  • in

    CyclingHero, quando l’amore per la bici arriva da lontano

    Il battesimo ciclistico di Caterina risale al 2019. Quell’anno si allena seriamente, cosa che non aveva mai fatto prima, forse in nessuna disciplina sportiva, di sicuro non in sella ad una bici. Partecipa così all’Etape du Tour, una tappa del Tour de France per amatori: 135 chilometri, circa 4 mila metri di dislivello, in una unica giornata. Ci mette più o meno 11 ore, ma Caterina taglia il traguardo. “Il dado è tratto, ho pensato: pedalare fa per me”. La storia di Caterina Biffis, di CyclingHero e della sua passione per le due ruote è soprattutto una storia d’amore, per il territorio in cui è nata, Treviso, e per Bob Rogers, il suo compagno canadese appassionato di ciclismo che l’ha convinta a salire in sella. 

    MANDA LA TUA STORIAIl progetto CyclingHero, che combinando tecnologia e un’accuratissima gestione della logistica punta a trasformare luoghi ancora inesplorati in paradisi ciclabili, è la loro creatura: una piattaforma e un’app per proporre e organizzare percorsi ciclabili inediti nella provincia di Treviso, Padova, Vicenza e Belluno (dalle retrovie di Venezia alle Dolomiti).Partiamo dall’inizio: Caterina vive a Berlino, carriera accademica, ignora completamente cosa sia il ciclismo agonistico. Al massimo la bicicletta l’ha usata per spostarsi in città. Ma nel 2014 conosce Bob, canadese, appassionato e intenditore di biciclette: nel 1983, da ragazzo, con i suoi primi risparmi comprò a Vancouver  una bici Pinarello, modello Treviso. Nella vita, è evidente: nulla accade per caso.Un po’ per amore, un po’ per gioco, Caterina ci mette un po’ prima di mettersi in sella seriamente, ma poi lo fa. E la bici, durante le vacanze trevigiane, diventa un modo per scoprire il suo territorio. “Non conoscevo le colline del prosecco, Rolle, il Molinetto della Croda, il passo San Boldo. Mi accorgo di un mondo per me ancora tutto da esplorare e mi appassiono. Compro la mia prima bici da corsa e con Bob inizio a pedalare”. C’è una cosa che Bob nota fin da subito: la mancanza di una cultura della bicicletta, così come accade invece negli Stati Uniti e in Canada. “Lì”, racconta Caterina, “Non c’è la tradizione, la storia come da noi. Ma c’è una grandissima attenzione per i ciclisti: ci sono negozi di attrezzature, servizi garantiti per la messa a punto della tua due ruote, percorsi previsti anche nelle città più trafficate, i “Cycling Cafè”. Cose che qui in Italia mancano. Per questo, molti cicloturisti spesso preferiscono luoghi come Girona, Maiorca in Spagna o le Fiandre in Belgio all’Italia”.Caterina e Bob decidono di riempire questo “vuoto di mercato”: prima testano la loro idea con un po’ di amici, poi la mettono a terra. Nasce così CyclingHero: la piattaforma (e app) pensata per agevolare il turismo in bicicletta, rispettoso del territorio e delle attività e tradizioni locali. Un turismo lento, per scoprire sentieri poco battuti.”Quando viaggi, farlo con un amico del posto è sempre il modo migliore per scoprire un territorio. Ecco: noi siamo gli amici del posto”. In pratica, coloro che vogliono conoscere un po’ del Nord Est Italia in sella ad una bicicletta si possono rivolgere a CyclingHero che si occuperà della definizione del percorso, la prenotazione degli alloggi (piccoli alberghi o piccole attività locali), la mappatura di tutti i ristoranti, agriturismi e punti di ristoro che rappresentino la territorialità e prediligano prodotti a km0, addirittura delle fontanelle dove riempire la propria borraccia durante l’intero tracciato. Il team di CyclingHero, preleva gli ospiti in aeroporto, fornisce loro l’assistenza meccanica necessaria per il montaggio della bicicletta (o l’eventuale noleggio), garantisce il trasporto navetta per quei tratti di percorso non adatti ad essere affrontati in sella e trasporta i bagagli da un luogo di pernottamento ad un altro.”Gli itinerari li scegliamo noi, li pedaliamo noi. Facciamo una ricerca personalizzata. Evitiamo le strade trafficate per offrire opzioni alternative: disegniamo percorsi unici, integrati nella nostra app che dialoga con il computerino della bicicletta così che i nostri ospiti possano ricevere notifiche in tempo reale”. Caterina e Bob infatti non accompagnano i ciclisti durante l’intero percorso: sono comunque reperibili 24H e grazie alla tecnologia li localizzano costantemente, così da intervenire in maniera tempestiva in caso di problemi. L’idea è che ognuno sia l’eroe della propria esperienza. Per ogni percorso CyclingHero prevede tre opzioni che corrispondono a tre livelli di difficoltà: facile, intermedio e challenging, così da consentire anche a gruppi composti da ciclisti più o meno esperti di giungere sempre alla meta.Non solo natura e sport, anche tappe culturali: il tempio di Possagno, i territori dove si è combattuta la Prima Guerra Mondiale, la rocca di Asolo e il Ponte Vecchio di Bassano. “Il nostro sogno è invadere le città non di macchine ma di bici. Che viaggiano lente, vivono i nostri territori e contribuiscono non solo alla crescita delle attività locali ma attiva no sinergie e condivisione. Vogliamo che il modello di CyclingHero sia replicabile, non solo in Veneto, ma in ogni gemma inesplorata”. LEGGI TUTTO