Scuola, tra circolari e insulti: è la disfida per gli studenti in canottiera
Nei giorni scorsi è arrivato l’anticiclone Hannibal, direttamente dall’Africa. Il suo alito rovente ci ha catapultati in una torrida estate. Si suda, non si respira. Presto, spogliamoci. Dove sono le canottiere, i calzoncini, i prendisole, le ciabatte, l’armamentario che, da rispettabili cittadini, ci trasforma in sciatti bagnanti?
Richiamo legittimo o ingerenza moralista?
Ma è solo maggio e Hannibal, senza alcun riguardo, ha soffiato anche nelle aule di scuole senza aria condizionata né ventilatori, gremite di corpi bambini e adolescenti, accaldati e sofferenti come i nostri, con l’aggravante della mascherina Ffp2, ultimo tenace baluardo di una società ormai affrancata da ogni restrizione pandemica. E l’annoso tiro alla fune tra i tutori del decoro e i libertari è ricominciato. In un liceo scientifico di Lecce la preside si è appellata alle “regole minime di continenza” tra i banchi. “La scuola è un ambiente educativo, nonché un luogo istituzionale che merita adeguato rispetto e ciò implica che ciascuno lo frequenti con un abbigliamento sobrio e decoroso, consono all’ambiente scolastico”, recita la sua circolare. Richiamo legittimo o ingerenza moralista?
Genitori infuriati
In un istituto comprensivo a Castellanza, in provincia di Varese, è in corso una sollevazione dei genitori degli alunni di elementari e medie contro il monito del dirigente: “Andranno evitati bermuda, pantaloni corti, canotte e ogni altro tipo di abbigliamento adatto a contesti non scolastici”. È una scuola, non una spiaggia, era il messaggio implicito che comunque non è stato apprezzato.
L’epiteto corre sul web
A Roma, in un liceo classico, una docente ha richiamato una studentessa per una canotta ritenuta non conforme al regolamento. La ragazza ha chiesto un confronto dal preside. Questa storia, raccontata sui social, sarebbe finita qui se un insegnante di Genova, estraneo alla vicenda ma posseduto dall’interventismo becero di un leone da tastiera, non si fosse affrettato a vergare il suo ignobile commento sessista: “Questa zoccoletta avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa”.
La norma (nazionale) assente
Manca una norma nazionale sul dress code scolastico. Il legislatore non ci si è mai dedicato. Forse era distratto da questioni più pressanti o forse ha colto la spinosa delicatezza della questione e ha preferito delegare ai singoli dirigenti. Spulciando in rete qualche regolamento, ricorrono, tra gli outfit invisi ai presidi, pantaloni corti, bermuda, abbigliamento balneare, magliette corte, scollate e trasparenti. Sgraditi anche jeans e pantaloni troppo stretti o strappati, top e reggiseni in palestra. Vita grama anche per le “stravaganze nel colore dei capelli”.
I ragazzi in kilt
In generale si richiama a due capisaldi etici, oltre che estetici, tanto altisonanti quanto labili: dignità e decoro. Dov’è l’omino competente, armato di righello, capace di tracciare una linea universale davanti a cui arrestarsi o adeguarsi? Nella scuola dei miei figli, un liceo classico milanese, un professore ha dichiarato ai ragazzi insofferenti al divieto di indossare pantaloni corti: “Piuttosto mettetevi la gonna”. Il mio primogenito l’ha preso in parola e si è presentato in classe in kilt. Nessuno ha battuto ciglio. Eppure lo scorso novembre, in un altro liceo milanese, un docente si era rifiutato di fare lezione a tre studenti che indossavano la gonna per un’iniziativa contro la violenza sulle donne. Scuola che vai, regolamento che trovi.
Se a lezione si va in boxer
“La scuola è un’istituzione e i docenti sono pubblici ufficiali”. Per Daniele Grassucci, fondatore del portale per gli studenti, Skuola.net, “è legittimo, in un contesto educativo quale è la scuola, un codice di comportamento”. Tuttavia, sottolinea, limitarsi a vietare non basta. “Bisogna concertare le regole e motivarle affinché siano condivise e accettate”. E se arriva Hannibal e rende la scuola una graticola, “bene il decoro, ma occorre tolleranza”, conclude. Non esiste un principio assoluto che giustifichi gli strali puritani di un preside o avalli il diritto di uno studente di presentarsi a lezione in boxer.
Deficit di buon senso
La scuola deve educare, oltre che istruire e le sue regole vanno rispettate. Tuttavia se resta, come succede in questi tempi, l’estremo e solitario avamposto del rigore, per non perdere credibilità e autorevolezza dovrebbe mostrare buon senso. Lo stesso che chiede ai ragazzi richiamandoli al decoro. Nella consapevolezza, da parte dell’una e degli altri, che in tempo di Covid, di penuria di cibo e di energia, di guerra e di vaiolo delle scimmie, le priorità sono altrove. E un Paese che può occuparsi di bermuda e canottiere è un luogo molto fortunato. LEGGI TUTTO