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    Cop28, Meloni a Dubai: “Dall’Italia 100 milioni al fondo per i Paesi vulnerabili”

    A sorpresa, e con un annuncio che francamente ha stupito molti dei presenti alla Cop28, l’Italia ha  annunciato che contribuirà con 100 milioni di euro di finanziamenti al fondo Loss and Damage. Una cifra altissima per il nostro Paese, se si pensa che lo stesso importo – il massimo promosso per ora dai singoli Stati – è pari a quello annunciato dagli Emirati Arabi e dalla Germania, mentre la Gran Bretagna mette sul piatto 60 milioni di sterline e gli Usa “solo” 17,5 milioni di dollari. Per dare la notizia Giorgia Meloni, che è arrivata alla Cop di Dubai ieri e terrà il suo discorso ufficiale nella plenaria di domani, ha aspettato l’importante palco del “Climate Action Summit – Transforming Food Systems in the face of Climate Change”, una sessione con un focus sull’agricoltura in cui la premier ha parlato dopo Bill Gates e il premier indiano Narendra Modi, fra gli altri. 

    E da papa Francesco, che ha dovuto rinunciare al viaggio negli Emirati Arabi Uniti per una forte infiammazione alle vie respiratorie dove lo attendeva un fitto programma di incontri diplomatici, è arrivato un nuovo monito. Ha affidato al social X le sue  parole: “In questo momento storico ci viene chiesta responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo. Se non reagiamo ora, il cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di milioni di persone”, queste le parole del Papa rivolto ai potenti del mondo riuniti a Dubai.

    In questo momento storico ci viene chiesta responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo. Se non reagiamo ora, il cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di milioni di persone. #COP28— Papa Francesco (@Pontifex_it) December 1, 2023

    https://x.com/Pontifex_it/status/1730564906901238003?s=20Dalla sessione è arrivata un’altra importante notizia per il clima, che segue di poche ora l’accordo per il Loss and Damage, il fondo perdite e danni da dedicare ai paesi più vulnerabili. Oggi è infatti stata siglata da oltre 100 Paesi firmatari una dichiarazione sull’agricoltura sostenibile che impegna i Paesi a sostenere i sistemi alimentari resilienti e includere il cibo e l’uso del suolo nei famosi Piani nazionali climatici, gli Ndc, entro la Cop30 nel 2025 che si terrà in Amazzonia. Si tratta di una seconda vittoria anche per il sultano Al Jaber, che si sta dimostrando in queste prime ore un astuto stratega.Perché è importante questa dichiarazione? Perché a livello globale i sistemi alimentari rappresentano circa un terzo di tutte le emissioni di gas serra: lavorare per un cibo più sostenibile e meno basato sull’agricoltura industrializzata o gli allevamenti intensivi significa aiutare a migliorare quel clima che oggi sta impattando sulla sicurezza alimentare di tutto il mondo. L’idea che oltre 100 Paesi si impegnino a rinnovare i loro sistemi alimentari e agricoli potrebbe risultare un passo davvero significativo in termini di mitigazione. Un impegno che andrà oltretutto a favore dei piccoli agricoltori, le comunità indigene o gli allevatori che si impegnano davvero a preservare le terre. Anche l’Italia, nelle parole di Meloni, applaude a questo intento e nel sottolineare come l’Italia ha fra “i più avanzati sistemi agricoli” oppure è la casa della “dieta mediterranea” Meloni ricorda che la “sicurezza alimentare è una delle nostre priorità strategiche. La sfida non è assicurare solo cibo per tutti, ma cibo sano per tutti”. Spazio poi al racconto, da parte di Meloni, del “Mattei plan for Africa” in cui l’Italia si impegna sostenere il continente africano su più fronti e dove con l’Italian Climate Fund indirizzerà diverse risorse economiche (su 4 milioni di euro almeno il 70% è diretto all’Africa).
    Ma oltre ai finanziamenti e agli impegni dall’importante palco della Cop28 la premier si è tolta anche un sassolino dalla scarpa, offrendo un assist e parole di sostegno al ministro-cognato Francesco Lollobrigida e ad associazioni come Coldiretti: “Nell’agricoltura – ha detto la presidente del Consiglio – il ruolo della ricerca è essenziale… ma non per produrre cibo in laboratorio” afferma con un messaggio che sembra rafforzare la scelta italiana di divieto alla carne coltivata.Prima di Meloni, in giornata c’è stato poi un altro importante annuncio a livello di contributi per il settore agroalimentare: in collaborazione con gli Emirati la Fondazione di Bill Gates ha infatti definito i dettagli di una donazione da 200 milioni di dollari per “accelerare l’azione sul clima e rafforzare i sistemi alimentari attraverso investimenti nell’innovazione agricola”.Notizie positive e importanti, giunte nel secondo giorno della grande Conferenza sul clima, che potrebbero dare una reale spinta all’azione climatica. Quella spinta invocata anche da re Carlo che dal palco di Dubai, dopo aver parlato anche alla Cop21 di Parigi, torna a ribadire un concetto: “La Terra non ci appartiene, noi apparteniamo alla Terra. Prego con tutto il cuore che la Cop28 sia un altro punto di svolta fondamentale verso un’autentica azione di trasformazione in questo momento in cui stiamo assistendo al raggiungimento di punti critici allarmanti per il Pianeta”. LEGGI TUTTO

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    “L’agroecologia ci aiuterà a tagliare le emissioni”

    Dall’agricoltura possono arrivare risposte importanti per il pianeta, ed è un’opportunità che l’Italia non può perdere. La riduzione delle emissioni di CO2 e la cattura e stoccaggio del carbonio nel suolo, con lo scopo di togliere dall’atmosfera l’anidride carbonica, sono obiettivi a cui tendere nell’immediato futuro, approfittando dello sviluppo delle tecnologie e, puntando sull’agricoltura rigenerativa, lontana dal paradigma delle monoculture, che impoveriscono il suolo e richiedono un utilizzo pervasivo di pesticidi, in primis il glifosato”.Paolo Bàrberi insegna Agronomia e Coltivazioni Erbacee al Centro di Scienze delle Piante della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: è tra i massimi esperti in Italia di agroecologia. Il suo approccio si distingue per la ricerca partecipativa: “Scendiamo in campo con gli agricoltori, dialoghiamo con loro, comprendiamo esigenze e difficoltà e individuiamo soluzioni ad hoc per ciascuna realtà, lontani dalle logiche della standardizzazione agricola, che ha generato importanti criticità”.Una su tutte: tra fertilizzanti, combustibili fossili, liquami e deiezioni dei ruminanti, il settore agricolo è responsabile del 20% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea.  “Ma c’è un percorso di miglioramento, ancorché lento, nel nostro Paese. Che ha compreso come una maggiore copertura del terreno, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse, e una crescente diversificazione delle colture favoriscano la decarbonizzazione. Si ragiona sempre più in chiave ecosistemica: l’obiettivo è coltivare il più possibile senza input esterni”.Parliamo di stoccaggio di CO2 nel suolo.”Per favorire l’accumulo degli stock di carbonio e aiutare il Pianeta a respirare, va abbandonata la logica della coltivazione su terreno nudo. Coltivare su un suolo ricoperto da vegetazione naturale, o impiantata ad hoc, è un modo intelligente per consentire lo stoccaggio del carbonio e, contemporaneamente, arginare gli effetti dei fenomeni climatici estremi. La Natura ci aiuta a proteggere la Natura, basta avere a cuore l’equilibrio del suolo e non considerare infestanti tutte le piante non coltivate”.

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    Nel giardinaggio naturale non esistono “erbacce”

    di Gaetano Zoccali

    06 Maggio 2023

    E funziona?”In due vigneti nel Chianti abbiamo misurato l’eventuale competizione per l’acqua tra vegetazione spontanea o impiantata e la vigna verificando che lo stress, che si registra solo in brevi periodi estivi, non incide sulla resa in uva e risulta addirittura vantaggioso per la qualità del vino. Questa evidenza smentisce la credenza comune che d’estate si debba lasciare il terreno nudo per evitare la competizione tra vite ed erbe spontanee. Nelle colline pisane abbiamo affiancato un agricoltore che produce frumento duro e girasole: nella fase intermedia tra le due colture abbiamo seminato la veccia vellutata, una leguminosa, la cui biomassa favorisce lo stoccaggio di carbonio in un periodo in cui il terreno sarebbe rimasto inutilizzato, con relativo spreco della radiazione solare, fornendo in più azoto a beneficio della coltivazione che le succederà, quella del girasole. E non serve neanche più arare il terreno”.A che punto siamo sulle cosiddette agroenergie in Italia?”Un buon punto. Ci sono processi molto energivori, come l’essicazione del fieno, per i quali alcune aziende attingono ormai solo al fotovoltaico, in un’ottica di economia circolare. Il PNRR prevede importanti incentivi, che ci auguriamo saranno sfruttati, alla conversione dei tetti dei capannoni agricoli ancora coperti da eternit in superfici bonificate ricoperte da pannelli fotovoltaici. Non credo invece nei parchi fotovoltaici su larga scala, che sottraggono superfici potenzialmente coltivabili, e anche l’utilizzo delle colture dedicate da bioenergia ha costi energetici di produzione significativi, spesso superiori all’energia prodotta. Molto meglio l’utilizzazione a fini energetici di scarti di produzione, biomasse legnose o ramaglie di potatura”.Si parla sempre più anche di agricoltura urbana.”Ci sono diversi progetti di conversione in chiave green di aree industriali e periferiche delle nostre città, dove va sviluppandosi un modello di agricoltura verticale, che non vedo antitetico a quella tradizionale. Non a caso c’è una grande richiesta di orti urbani, spazi riqualificati e offerti ai cittadini a titolo gratuito per coltivare ortaggi, favorendo un avvicinamento della gente all’agricoltura con vantaggi ambientali evidenti”.Quanto incidono le scelte dei consumatori sull’impatto ambientale della filiera dell’agrifood?”Molto. Si deve investire sulla consapevolezza del ruolo dei cittadini nell’indirizzare le strategie della grande distribuzione e dei produttori. Se il prezzo al dettaglio di un prodotto agricolo è troppo basso è giusto che ci si ponga delle domande sulla sostenibilità, in termini socio-ambientali, della sua filiera. E poi c’è la questione della stagionalità: sa che costi ambientali, in termini di emissioni, produce un frutto fuori stagione sugli scaffali dei nostri supermercati?”.Molto alti, naturalmente.”Ecco. Con una serie di paradossi: l’Italia è tra i principali produttori di kiwi al mondo, eppure anche in autunno – periodo di raccolta – c’è al supermercato la concorrenza dei kiwi della Nuova Zelanda, che arrivano percorrendo più di 18 mila chilometri, con costi rilevanti in termini di emissioni, e dopo aver trascorso sei mesi in frigorifero, con notevole dispendio energetico per lo stoccaggio. Sono le storture del mercato globale: io vieterei la commercializzazione di prodotti che arrivano da così lontano, indirizzando le scelte dei consumatori su quel che produciamo in Italia. E sulla opportunità di consumarlo seguendo la sua stagionalità”. LEGGI TUTTO

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    “L’Italia in cantiere”: la mappa della transizione ecologica in atto

    C’è un futuro che è già presente e che aiuterà l’Italia a diventare sempre più verde, innovativa e inclusiva. È quello della transizione ecologica che si sta concretizzando già in molti territori della Penisola, e dove in alcuni casi è già realtà. Lo raccontano i ben 112 cantieri della transizione ecologica made in Italy mappati da Legambiente, da maggio a fine novembre, con la sua campagna itinerante “I cantieri della transizione ecologica”, riassunti nell’omonimo report finale e nella mappa interattiva presentati oggi in apertura del suo XII Congresso nazionale dal titolo L’Italia in cantiere, in programma a Roma dal 1° al 3 dicembre all’Auditorium del Massimo. LEGGI TUTTO

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    L’acero rosso in versione bonsai: quello che c’è da sapere

    L’acero rosso, anche detto acero scarlatto, è una pianta appartenente alla famiglia delle Sapindacee ed è diffusa soprattutto in America. Da questo albero imponente è possibile ricavare il bonsai di acero rosso che, con le sue foglie delicate e il suo tronco elegante, è una scelta popolare tra i molti appassionati di bonsai. 

    La cura del bonsai di acero rosso

    Il bonsai di acero è caratterizzato da piccole foglie caduche e di colore rosso intenso. Risulta essere una pianta abbastanza resistente e facilmente riproducibile; per lo più si diffonde tramite talee prelevate dall’albero madre. Una volta interrato un rametto si attende che si sviluppino le radici e poi si procede al travaso. Da quel momento in poi le attenzioni da rivolgere al bonsai non sono molte, ma alcune risultano essenziali.In primis, il bonsai di acero rosso dovrebbe essere trapiantato ogni due o tre anni, preferibilmente in primavera, potando le radici e sostituendo il terriccio precedente con del terreno ben drenato e ricco di nutrienti. Oltre alla coltivazione corretta e alla potatura regolare, il bonsai di acero rosso richiede alcune cure, necessarie per preservare la sua forza e il suo benessere.Prima di tutto, è fondamentale mantenere un’irrigazione adeguata: il terreno del bonsai dovrebbe essere mantenuto umido, ma mai completamente bagnato. Per questo è consigliabile controllare la superficie del terreno prima di innaffiare, assicurandosi che nel frattempo sia asciugata. In linea generale è consigliato annaffiare quasi tutti i giorni in estate, circa quattro volte al mese in inverno e una o due volte a settimana durante le stagioni di transizione.Per quanto riguarda la concimazione, invece, la pianta beneficia di dosi periodiche di fertilizzante. Il concime specifico per bonsai è consigliato per lo più durante la stagione di crescita attiva, al fine di garantire i nutrienti adeguati; per la quantità e la frequenza delle applicazioni bisogna seguire le istruzioni indicate sulla confezione.In alcune regioni con un clima particolarmente rigido, il bonsai di acero rosso può richiedere una protezione in più durante i mesi invernali. Infatti, alcuni esperti consigliano di coprire la pianta con una specie di tessuto traspirante o posizionarla in un luogo protetto per preservarla il più possibile dal freddo.Questo particolare bonsai resiste molto bene a malattie e parassiti. Tuttavia, può essere attaccato da ragni e afidi: per sopperire all’insidia degli insetti è possibile ricorrere a rimedi naturali o ad antiparassitari professionali. Spesso sono proprio le foglie della pianta ad essere più delicate, occorre allora spazzolarle per togliere le incrostazioni che via via si vanno a formare. 

    L’esposizione del bonsai acero rosso

    La corretta esposizione è fondamentale per la salute e la vitalità del bonsai di acero rosso. È possibile collocare il bonsai in un luogo soleggiato all’interno dell’appartamento, ma durante il periodo estivo va posizionato in zone più ombreggiate, poiché l’eccessiva luminosità può provocare bruciature alle foglie.Inoltre, il bonsai di acero rosso richiede una ventilazione adeguata per evitare l’accumulo di umidità e prevenire l’insorgere di malattie fungine. Pertanto, bisogna sempre assicurarsi che la pianta goda di una buona circolazione d’aria. 

    Potatura del bonsai acero rosso

    La potatura è una pratica essenziale per mantenere le dimensioni e la forma desiderate del bonsai di acero rosso. A seconda dell’intento e delle caratteristiche intrinseche della potatura si possono distinguere due tipologie differenti:

    Potatura di formazione: viene eseguita prima della stagione di crescita attiva, di solito nei mesi di marzo o aprile. Durante questa fase, si eliminano i rami indesiderati, le foglie grandi e i germogli non necessari, per definire la forma del bonsai. Ci si concentra quindi sui rami troppo sviluppati in altezza o in orizzontale, recidendo solitamente i rami contrapposti tra loro e quelli che stanno crescendo alla base del tronco. È importante utilizzare attrezzi appositi da potatura, affilati e puliti, per evitare lesioni alla pianta. 
    Potatura di mantenimento: si tratta di piccoli interventi, eseguiti durante tutto l’anno, per mantenere la forma e le dimensioni desiderate del bonsai di acero rosso. Attraverso questa tipologia di potatura si eliminano i rami e i germogli indesiderati: l’equilibrio della pianta e la scelta estetica di chi pratica l’operazione sono i due fattori che solitamente prevalgono. La precisione è una caratteristica essenziale per questo tipo di operazioni, è quindi consigliabile dotarsi di forbici, pinzette per bonsai e tronchesine di varia misura, a seconda della dimensione dei rami da recidere. 

    Il bonsai di acero rosso richiede cure e attenzioni specifiche ma non eccessivamente impegnative: il risultato finale può essere estremamente gratificante. Attraverso una corretta esposizione, una potatura certosina e un’attenzione generale per la cura della pianta è possibile creare e mantenere il bonsai di acero rosso, attirando l’attenzione di tutti gli appassionati di bonsai. LEGGI TUTTO

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    Acciaio sì, ma con un polimero al posto del carbone

    Decarbonizzare l’industria dell’acciaio, fino a qualche anno fa, sarebbe apparsa come una chimera. Un mostro mitologico, che com’è risaputo, fu sconfitto in punta di lancia e che forse oggi analogamente possiamo almeno iniziare a ferire con l’innovazione.

    In edicola

    L’obiettivo del Net Zero

    01 Novembre 2023

    Il tema centrale è che l’industria metallurgica italiana – la seconda per volumi dopo la Germania – lo scorso anno, in base ai dati di Federacciai, ha prodotto 21,6 milioni tonnellate di acciaio grazie ai 34 siti basati su forni elettrici ad arco e gli altoforni di Taranto. I primi (circa l’80% della produzione nazionale) generano 300-400 grammi di CO2 per singolo chilogrammo di acciaio, mentre i secondi a parità di produzione, moltiplicano per quattro le emissioni.Ed ecco spiegato il valore dell’accordo siglato tra I.Blu, la società del Gruppo Iren che si occupa di sviluppare e ottimizzare nuovi processi industriali per il riciclo delle materie plastiche, e Acciaierie d’Italia. Se Bellerofonte si giocò una cuspide di piombo su chimera, I.Blu punta su un polimero. Si chiama Bluair e verrà impiegato presso l’impianto siderurgico di Taranto per sostituire 50mila e potenzialmente 100mila tonnellate l’anno del comune polverino di carbone, usato nel processo di lavorazione.

    Le idee

    Nuovi materiali, leggi e incentivi per la casa green

    di Angelica Crystle Donati*

    16 Novembre 2023

    “Abbiamo sviluppato Bluair negli ultimi 10 anni ed è una soluzione che può essere impiegata immediatamente, a differenza di altre promettenti che però richiederanno tempo. Un impianto a pieno regime che normalmente usa 6mila tonnellate di polverino all’anno, passando totalmente al Bluair potrebbe abbattere la CO2  di eguali 6mila tonnellate. Nell’impianto Feralpi di Lonato del Garda il rapporto infatti è 1:1. Inoltre Bluair consente di ridurre del 5% le emissioni dell’intero processo”, spiega Roberto Conte, ad di I.Blu e Iren Smart Solutions. Un risultato notevole soprattutto se si considera che l’Ue ha imposto come obiettivo la riduzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità entro il 2050. L’unica possibilità è accelerare nell’adozione di sistemi innovativi e adottare un approccio diverso. O comunque avviare almeno un percorso come quello intrapreso dal Gruppo Arvedi che lo scorso anno ha ottenuto la certificazione internazionale net zero emissions, grazie alla fornitura di energia da fonti rinnovabili, la compensazione tramite crediti di carbonio e impianti all’avanguardia.”Il Bluair contribuisce al processo di riduzione (la fissazione del carbonio nel metallo) e si interpone tra le lance elettriche e il bagno infusorio. A seconda gli impianti può sostituire totalmente o parzialmente il polverino tradizionale con conseguenti effetti benefici sulla riduzione della produzione di CO2. E poi costa leggermente meno rispetto al polverino” aggiunge Conte. Bisogna ricordare che l’uso di Bluair consente di ridurre la spesa per i certificati di compensazione ambientale (ETS) tra i 70 e i 90 euro per tonnellata di prodotto utilizzato, proprio grazie alla riduzione della CO2  prodotta. E questo valore è destinato a crescere ulteriormente. Ci sono vantaggi anche in relazione al ciclo virtuoso che si nasconde dietro alla creazione del polimero.Il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) oggi recupera circa 1,5 milioni di tonnellate, ma la metà non è riciclabile perché si tratta di plastiche complesse, spesso multistrato (le buste delle insalate, le pellicole, etc.). “Utilizziamo il materiale non-riciclabile, detto Plasmix, lo trasformiamo per creare il nostro tecnopolimero sottraendolo a termovalorizzatori e in generale a processi di combustione”, spiega Conte.La trasformazione delle plastiche in Blueair avviene attraverso un processo di lavorazione correlato a 14 brevetti. Il risultato è un granulato di polimero che poi viene inviata ai partner, come appunto Acciaierie d’Italia, Voestalpine a Linz, Feralpi Group e ABS-Gruppo Danieli in Lombardia e Veneto, e tanti altri in Italia e all’estero. La produzione del granulato avviene negli stabilimenti di San Giorgio di Nogaro (UD), Rovigo e tra poco a Scarlino (GR): l’obiettivo è passare da una capacità produttiva totale di 115mila a circa 160mila tonnellate l’anno. “Siamo già riusciti a riciclare 50mila di quelle 800mila tonnellate di plastica non-riciclabile in un anno, e siamo in costante crescita perché la domanda italiana ed europea è in costante crescita” sottolinea il manager.Da ricordare poi che l’Italia è costretta a pagare all’Unione Europea 800 euro per tonnellata di plastica non riciclata e, stando alle attuali stime, vuol dire circa 800 milioni di euro; con Bluair la cifra potrebbe essere ridotta notevolmente perché è considerato un riciclo, una “materia prima seconda”.Il presidente del Gruppo Iren, Luca Dal Fabbro conclude: “Iren crede in questi progetti di simbiosi industriale, ovvero mettere insieme sistemi industriali differenti, come la raccolta, la trasformazione dei rifiuti e il metallurgico per dar vita a una vera economica circolare. In questo ambito non si vince mai da soli e l’Italia, contrariamente a quanto molti credono, dispone di eccellenze assolute a livello mondiale in ambito di recupero e valorizzazione dei materiali”. LEGGI TUTTO

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    Pere, castagne e uva: la frutta che soffre il meteo estremo

    Nei campi, nei frutteti, nelle vigne c’è aria di crisi. Le bizze del clima hanno, infatti, danneggiato molti prodotti ortofrutticoli autunnali, generando preoccupazione e sconforto nel settore agricolo. Allarme rosso per le pere, che quest’anno hanno registrato un crollo del 70% circa, a causa di gelate, alluvioni, siccità, cui si è aggiunta l’invasione della cimice asiatica.”In alcuni casi, purtroppo, la perdita è stata pressoché totale perché grandine e trombe d’aria non hanno lasciato scampo ai frutti”, lamenta Pier Paolo Morselli, presidente della Cooperativa ortofrutticola mantovana (Corma). A risentire della congiuntura è stata soprattutto l’Emilia Romagna, dove la pericoltura coinvolge circa 5mila imprese per un totale di 15mila addetti. La situazione si è rivelata talmente negativa che il Consorzio di tutela della pera dell’Emilia Romagna Igp, UnaPera e l’Organizzazione interprofessionale di riferimento hanno deciso di non prendere parte a Futurpera, l’importante fiera di settore programmata a Ferrara a fine novembre e ora posticipata a marzo del 2024. “Vista la drammatica contingenza, non ha senso partecipare”, hanno annunciato all’unisono i presidenti delle tre associazioni in un lapidario comunicato.  

    Ma non tutto il male viene per nuocere: la minore quantità di frutti per albero ha, infatti, favorito la qualità, per quanto riguarda il grado zuccherino.

    Agricoltura

    Il clima estremo minaccia le 200 varietà di riso italiano: i rimedi dei coltivatori

    di Paola Arosio

    01 Novembre 2023

    Poche caldarroste e marron glacé

    In ginocchio anche il settore delle castagne. “Dal punto di vista produttivo, l’annata è stata deludente, specialmente al Centro e al Sud della penisola, dove sono state registrate perdite del 40-60%”, quantifica Ivo Poli, presidente dell’associazione nazionale Città del castagno. “Un calo causato da molteplici fattori: in primavera le piogge abbondanti hanno compromesso l’allegagione, in estate la siccità prolungata ha bloccato lo sviluppo dei frutti, in autunno l’eccessivo caldo ha ritardato la maturazione, favorendo l’ammuffimento”. 

    Le criticità hanno attanagliato in particolare alcune zone della Toscana, come Caprese Michelangelo (Arezzo), Monte Amiata (Siena), Mugello (Firenze), da cui originano prodotti Igp e Dop. “Abbiamo registrato una contrazione del 75% circa, che ci ha impedito di soddisfare le richieste di rifornimento da parte dei distributori”, rende noto Rossana Suh, che gestisce, insieme al marito, l’azienda agricola Amiata Bio, mentre Letizia Cesani, presidente di Coldiretti Toscana, dichiara: “L’impatto dei cambiamenti climatici riguarda il nostro presente e ci impone un’accelerazione degli investimenti in ricerca, tecnologia, infrastrutture, oltre a una selezione delle varietà di castagne più resistenti”.

    Le idee

    Perché salvare la diversità alimentare è importante per il nostro futuro e per quello del Pianeta

    di Dan Saladino

    07 Ottobre 2023

    Non va meglio in Puglia, dove Coldiretti annuncia, in una nota, che “il clima pazzo ha sconvolto i cicli naturali e, per le elevate temperature, gli alberi non fanno cadere i ricci, impedendone la raccolta”. Unica nota positiva la qualità delle castagne, che si conferma in tutta la penisola di altissimo livello. 

    Produzione di vino in calo

    In tilt pure il comparto delle zucche italiane, come la Cappello del prete, la Berretta piacentina, la Mini moscata, la Violina, la Trombetta, la Delica. Secondo Coldiretti, la produzione di questo frutto è diminuita del 10-20%, sempre a causa delle anomalie climatiche, tra cui i repentini nubifragi. 

    Tempi duri anche per il vino, con l’Italia che si ritrova a fare le spese delle calamità atmosferiche. La produzione, che si attesta a circa 43,9 milioni di ettolitri, risulta, infatti, in calo del 12% rispetto al 2022. Il risultato è che il nostro Paese ha perso, dopo sette anni di primato, la leadership come produttore in Europa e nel mondo, scalzato dalla Francia, che si è aggiudicata la prima posizione con 45 milioni di ettolitri prodotti, in aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente.Tra le regioni italiane in cui la filiera vitivinicola è più importante si annovera senz’altro il Piemonte, che conta 14mila imprese, 42mila addetti, 43mila ettari coltivati e vanta 42 etichette Doc e 17 Docg. “Gli effetti del cambiamento climatico sono stati determinanti”, ribadisce Roberto Moncalvo, presidente regionale di Coldiretti. “E il vino rappresenta un patrimonio del made in Italy che va difeso”.Se, da un lato, le piogge che si sono abbattute sul territorio piemontese tra maggio e giugno sono state utili per irrigare i vigneti, dall’altro hanno favorito lo sviluppo di alcune patologie fungine, come la peronospora e l’oidio. “Per fare fronte a questi problemi, sono stati necessari interventi costosi”, spiega Claudio Conterno, presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia) di Cuneo. “Nel complesso, siamo riusciti a gestire le difficoltà, anche se i fenomeni meteorologici incontrollati rappresentano una questione con la quale dovremo confrontarci sempre di più in futuro”.

    Agricoltura

    Tutto un altro vino: il clima è in crisi e cambia la mappa dell’enologia

    di Fiammetta Cupellaro

    11 Novembre 2023

    Il maltempo non ha risparmiato i vigneti in Toscana, dove sono stati registrati otto eventi estremi ad agosto e chicchi di grandine di ben nove centimetri. Alcuni produttori hanno installato reti anti-grandine o attivato specifiche polizze assicurative, ma ciò non ha comunque evitato un calo della produzione. 

    Ora, a vendemmia conclusa, mentre in cantina vengono portate avanti le operazioni di affinamento del vino, gli agricoltori stanno preparando i filari e i terreni per la prossima annata. Auspicando che possa essere migliore di quella in corso.  LEGGI TUTTO

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    Cop28, che cos’è l’Accordo di Parigi

    La Cop28, che si apre oggi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, punta a rendere concretamente effettivo l’Accordo di Parigi, siglato nel 2015 durante la Cop21, che ha segnato le tappe fondamentali dell’azione multilaterale sul clima guidata dalle Nazioni Unite. L’accordo ha mobilitato l’azione collettiva globale per proseguire gli sforzi volti a limitare l’aumento della […] LEGGI TUTTO

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    Quale cibo sarà al centro della Cop28?

    È cominciata proprio in queste ore la Cop28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e fino al 12 dicembre saranno tante le occasioni in cui si parlerà di sistemi agricoli e alimentari e delle risorse naturali sulle quali insistono, acqua e suolo in primis, biodiversità vegetale e animale. È senza dubbio un passo importante analizzare […] LEGGI TUTTO