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  • Scuola e Pnrr, l'allarme dei presidi: “Manca personale qualificato per gestire i fondi”

    Per gestire la valanga di denaro che sta arrivando nelle scuole dal Piano nazionale di ripresa e resilienza servirebbe un organico aggiuntivo ad hoc. Come quello per l’emergenza Covid assegnato agli istituti nel 2020/2021 e 2021/2022. È questa in sintesi la richiesta avanzata dai dirigenti scolastici che lanciano l’allarme sulla possibile paralisi delle segreterie scolastiche. In alternativa, il rischio è che tutte le attività si avviino in tempi lunghi. Vanificando almeno parzialmente i benefici dei finanziamenti del Piano che dovrebbe condurre l’Italia fuori dall’emergenza sanitaria e avviarla verso una stagione di ripresa economica e sociale.

    I presidi lanciano l’allarme: manca personale

    L’allarme sulle difficoltà da parte delle scuole nella gestione dei fondi del Pnrr arriva dall’Associazione nazionale presidi. “Per gestire i fondi messi a disposizione delle scuole è necessario assumere più personale nelle segreterie”, spiega il presidente dell’Anp, Antonello Giannelli, che aggiunge: “Le scuole, per sfruttare al meglio gli ingenti fondi erogati, devono poter disporre di personale preparato”. Quella della gestione dei fondi è in effetti una partita diversa rispetto alla normale amministrazione scolastica. Ne sanno qualcosa i comuni, e anche le istituzioni scolastiche, alle prese con i fondi europei: formulari da compilare, rendiconti da redigere e aggiornare per ottenere i finanziamenti.

    Formazione necessaria

    “Invece,” puntualizza Giannelli “le segreterie delle nostre scuole sono spesso sguarnite di Direttore dei servizi amministrativi (Dsga) e non possono contare su un sufficiente numero di assistenti amministrativi. Peraltro – continua – alle funzioni di questi ultimi è spesso adibito altro personale, magari volonteroso ma non adeguatamente formato”. Insomma, un quadro per nulla rassicurante segnalato dal basso. Da coloro che dovrebbero lavorare per dare attuazione all’ingente massa di denaro che arriverà nei prossimi mesi nelle case delle scuole di ogni ordine e grado. L’ultimo finanziamento in ordine di tempo riguarda le 100mila classi del Piano scuola 4.0, da 2,1 miliardi di euro, con gli istituti che dovranno trasformare circa un terzo delle classi attualmente esistenti in ambienti totalmente innovativi a partire dagli arredi e dalla loro stessa disposizione all’interno delle aule.

    Troppo denaro da gestire

    In totale, fanno sapere dal ministero dell’Istruzione, per il digitale sono quasi 5 i miliardi (4,9 per l’esattezza) che arriveranno nelle casse delle scuole per renderle moderne e al passo con le esigenze di alunni nati tutti nel terzo millennio. Altri 500 milioni rappresentano un acconto per la lotta alla dispersione scolastica che prevede un fondo complessivo pari a 1,5 miliardi. Mentre 2,4 miliardi andranno agli enti locali per la costruzione e/o l’ammodernamento di palestre, mense, scuole dell’infanzia e asili nido. Una enorme mole di denaro, 7,5 miliardi di euro finora, che le scuole dovrebbero gestire con lo stesso personale di sempre.

    Un problema da risolvere ora

    “Le scuole – conclude il presidente di Anp – sono strutture complesse che, per funzionare bene, hanno bisogno di personale in grado di gestire l’amministrazione e collaborare con il dirigente nell’organizzazione. L’assunzione di personale qualificato e l’aggiornamento di quello già presente non si possono più rinviare”. Giannelli ne ha parlato, fa sapere, di recente col ministro Patrizio Bianchi. “Spero che il governo, nonostante la crisi, possa intervenire concretamente”. LEGGI TUTTO

  • Scuola, il ministero non assume nuovi presidi al Sud. Tanti istituti avranno i dirigenti part-time

    I posti ci sono, ma il ministero dell’Istruzione preferisce non assumere i dirigenti scolastici che possono occuparli. Tra qualche giorno, saranno nominati 317 nuovi capi d’istituto, quelli del concorso 2017. Ma non al Sud. Perché nelle quattro principali regioni del meridione d’Italia (Campania, Sicilia, Puglia e Calabria), dopo l’incontro tra i tecnici del ministero e i sindacati, non ci saranno posti. E i relativi vincitori di concorso dovranno fare la valigia verso una delle destinazioni, quasi certamente al Nord, in cui presteranno servizio almeno per tre anni. Secondo i sindacati della scuola però le poltrone vacanti nel meridione non mancano e a settembre queste andranno ad altrettanti presidi reggenti, costretti a dividersi tra due istituti. Alimentando la precarietà della scuola in una parte del Paese che mostra ancora una dispersione scolastica da record.

    Al Sud cala la popolazione scolastica: niente nuovi presidi

    È il ministero dell’Istruzione che ha preferito non assumere in pianta stabile nuovi capi d’istituto in realtà territoriali dove la popolazione scolastica cala in modo vistoso anno dopo anno e molte istituzioni scolastiche rischiano di perdere il diritto di avere un dirigente e un capo dei servizi amministrativi titolari perché sottodimensionate. La Cisl scuola delle quattro regioni meridionali più popolose si affida a un comunicato congiunto in cui parla di penalizzazione ingiustificata dei “vincitori di concorso che, malgrado il diritto di graduatoria e nonostante la presenza di numerose scuole libere nella regione di residenza, saranno costretti a scegliere scuole ubicate in diversa regione”. Una decisione che “provocherà l’attribuzione della reggenza in tante, troppe istituzioni scolastiche pur in presenza di aspiranti dirigenti scolastici, già vincitori di concorso, pronti a prendere servizio garantendo continuità e professionalità alle scuole”.

    Dati discrepanti

    Non si danno pace in Sicilia. “Apprendiamo esterrefatti – tuonano Adriano Rizza e Katia Perna, della alla Flc Cgil regionale – che per la Sicilia non risulta alcuna disponibilità per le immissioni in ruolo dei dirigenti scolastici vincitori del concorso del 2017. Il dato ci sorprende – aggiungono – perché non coincide con quello fornito dall’Ufficio scolastico regionale in occasione delle riunioni del tavolo regionale dei mesi scorsi, quando ci è stato comunicato che delle 28 sedi disponibili, 11 sarebbero state destinate alle assunzioni. Che fine hanno fatto quegli 11 posti?”. E l’Associazione nazionale presidi siciliana snocciola altri numeri. “Da quanto appreso nei giorni scorsi – spiega Maurizio Franzò  – la disponibilità dei posti è pari a 111 mentre alla mobilità interregionale sono state attribuite solo 28 istituzioni scolastiche”. Le immissioni in ruolo potevano essere 19 invece non ce ne saranno. E 83 istituzioni scolastiche dell’Isola saranno assegnate ad altrettanti presidi reggenti. 

    Da 600 a 500 la soglia per avere un preside titolare

    Per la Uil scuola, scende in campo il neo segretario nazionale, Giuseppe D’Aprile. “Per il 2022/23, con il prospetto di ripartizione regionale che ci è stato presentato dal ministero in sede di incontro, che prevede 317 immissioni in ruolo, ancora troppe scuole resteranno senza dirigenti scolastici titolari, in particolar modo nel sud del nostro paese: Sicilia e Calabria”. Mentre in Puglia le sedi libere saranno 24. Cos’è accaduto? Con la legge di bilancio per il 2021 è stata abbassata da 600 a 500 la soglia di alunni affinché una istituzione scolastica abbia diritto ad un preside e un Dsga (l’ex segretario) titolari. Per il prossimo anno scolastico, il ministero ha considerato nel computo delle scuole disponibili le nuove 390 istituzioni normodimensionate ai fini della mobilità interregionale, dei trasferimenti tra regioni, ma non ai fini delle assunzioni.

    Dirigenti part-time

    Determinazione che neppure i dirigenti degli uffici scolastici regionali conoscevano. E che, anche in presenza di posti vacanti, determina addirittura esubero in diverse realtà meridionali. Eppure i vincitori del concorso bandito nel 2017 che potrebbero prendere servizio non mancano: ce ne sono 501 ancora in lizza. Assumendone 317, ne rimarranno in attesa 184. Mentre un numero sicuramente maggiore di istituti rimarrà senza capo d’istituto e dovrà accontentarsi di un dirigente part-time per tutto l’anno. LEGGI TUTTO

  • Scuola, cinque miliardi per le classi innovative e i laboratori digitali

    ROMA – Il quinto atto del Piano di resilienza e ripresa sulla scuola è lo stanziamento di 2,1 miliardi di euro per le classi (e i programmi) innovativi. Si chiama Piano Scuola 4.0 e proverà a trasformare 100.000 aule tradizionali in “ambienti innovativi di apprendimento” e alcune di queste, allocate negli istituti scolastici delle scuole superiori, in laboratori per le professioni digitali del futuro .

    Alle risorse del Pnrr, si aggiungono altre voci di finanziamenti europei che portano l’investimento totale a 4,9 miliardi di euro. Serviranno per cablare aule, innovare gli spazi didattici, formare docenti, portare la banda ultra larga agli studenti, sostenere la digitalizzazione delle segreterie e dei pagamenti legati alle attività scolastiche. 

    Da oggi, sul sito del Pnrr Istruzione sono pubblicate le risorse disponibili per ogni scuola, assegnate attraverso un piano di riparto nazionale dei fondi e sulla base del numero delle classi. C’è una riserva del 40 per cento a favore degli istituti scolastici delle regioni del Mezzogiorno. A disposizione di ogni plesso ci saranno strumenti di accompagnamento, come il Gruppo di supporto al Pnrr, costituito al ministero dell’Istruzione e negli Uffici scolastici regionali.

    “Si tratta di un intervento trasformativo concreto della nostra scuola”, dice il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, “il più grande di questo tipo mai realizzato, con risorse e tempi certi. Le ricerche educative ci dicono che gli ambienti influiscono sul processo di apprendimento e sulle metodologie della didattica e questo decreto mette al centro gli studenti utilizzando la tecnologia come risorsa per l’innovazione e alleata dell’apprendimento. In questi mesi abbiamo investito molto sul digitale”.

    Nuovi spazi per un nuovo studio

    Grazie alle risorse del Piano Scuola 4.0, ogni dirigente scolastico – dalle primarie alle superiori – potrà trasformare, dice il ministero, almeno la metà delle classi attuali. Un finanziamento di 1 miliardo e 296 milioni servirà a creare spazi fisici e digitali di apprendimento innovativi negli arredi e nelle attrezzature. Al ridisegno, dovrà seguire lo sviluppo di metodologie e tecniche di insegnamento per potenziare l’apprendimento e le competenze cognitive, sociali, emotive degli studenti italiani usciti dalla lunga fase di pandemia.

    Il minimo comune denominatore del progetto saranno arredi facilmente posizionabili, attrezzature digitali versatili, la rete wireless o cablata. Il preside, in collaborazione con l’animatore digitale e il team per l’innovazione, potrà costituire un gruppo interno di progettazione, con docenti e studenti, per il nuovo design degli ambienti.

    Lab per internet

    Nelle scuole secondarie di secondo grado l’obiettivo è la realizzazione di laboratori in cui gli studenti possano sviluppare competenze digitali specifiche nei diversi ambiti tecnologici avanzati (robotica, intelligenza artificiale, cybersicurezza, comunicazione digitale), anche attraverso attività autentiche e di effettiva simulazione dei luoghi, degli strumenti e dei processi legati alle nuove professioni. Un avvicinamento rapido della scuola al mondo del lavoro, contestato, peraltro, da alcuni studenti e i sindacati.

    Per questi laboratori – non viene offerto ancora un numero – Bianchi chiede il coinvolgimento di alunni e famiglie, università, istituti tecnici superiori. E anche imprese. Per il secondo asset dell’investimento 4.0 è prevista una spesa di 424,8 milioni. Ogni liceo avrà a disposizione 124.044 euro, ogni istituto tecnico o professionale 164.644 euro.

    Altri finanziamenti europei sul 4.0

    Le misure del “Piano Scuola 4.0” richiamano anche altri interventi, per un totale di 2 miliardi e 443 milioni di euro, previsti e predisposti per favorire l’innovazione del sistema di istruzione. Si parla di didattica digitale integrata (379 milioni di progetti in essere), quella che è mancata in tempo di Covid alto. E poi il potenziamento delle reti locali (445 milioni di fondi React Eu), l’installazione di schermi interattivi nelle aule (455 milioni React Eu), la creazione di ambienti cosiddetti Stem (le discilpine scientifiche, ci sono 99 milioni qui). E poi il Piano per la banda larga (600 milioni, reinterviene il Pnrr), il Piano PagoPa-Spid-Cie (60 milioni, ancora Pnrr). Sempre nell’ambito dello sviluppo del rapporto delle scuole con la tecnologia digitale, alla voce “migrazione cloud e siti internet delle scuole” ci somo 155 milioni (Pnrr in collaborazione con il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio). Infine, per “gli ambienti innovativi per la scuola dell’infanzia altri 250 milioni”.

    A queste risorse si aggiungono, infine, 800 milioni destinati alla formazione digitale del personale scolastico.

    La riforma degli Its è legge: ecco cosa cambia

    di

    Ilaria Venturi

    13 Luglio 2022

    Sono molti i decreti firmati dal ministero dell’Istruzione e finanziati dal Piano di relienza europeo. Le “aule digitali” arrivano dopo “la costruzione di nuove scuole”, il finanziamento di “asili, scuole dell’infanzia, palestre e mense”,  la “riqualificazione degli istituti”, “l’arruolamento dei docenti”. Per le cinque fasi – alcune portate avanti con bandi, altre con finanziamenti direttamente alle scuole, altre in sinergia con gi enti locali – il governo sostiene che sta rispettando le scadenze. LEGGI TUTTO

  • Docente esperto, lanciata una petizione online per abolirlo: in poche ore raccolte 7mila firme

    Il mondo della scuola si scaglia contro il “docente esperto” lanciato dal decreto Aiuti bis. In poche ore, una petizione online avviata da un docente di Caltagirone, in provincia di Catania, ha raccolto oltre 7mila firme. E sembra destinata a volare sul web. “L’introduzione del ‘docente esperto’ – scrive Salvo Amato, promotore della raccolta di firme, al presidente del consiglio Mario Draghi – è una idea aberrante”. E ne chiede lo stralcio. Amato snocciola una serie di motivazioni contro la nuova carriera del docente. In primis, un “governo che dovrebbe muoversi nel perimetro degli affari correnti, introduce un percorso formativo della durata di ben 9 anni alla fine del quale i docenti verrebbero “selezionati”. E “non si capisce come e chi” selezionerà l’unico docente della scuola al termine del lunghissimo percorso di formazione. Perché, dal 2033, saranno 8mila i docenti che potranno accedere al ruolo di “esperto”.

    I nodi da sciogliere

    Ma non solo. “Non si specifica – continua il prof – in cosa sarebbe esperto il docente in questione e l’apporto innovativo per la scuola in cui presta servizio”. “Non si capisce – aggiunge – la fretta di introdurre un simile figura, perché inserirla in un decreto Aiuti e a quanto corrisponderanno 5.650 euro nel 2033”, con l’inflazione galoppante di questi mesi. E ancora: la norma esclude una larghissima fascia di docenti che nel 2033 saranno in pensione e non avranno interesse a intraprendere i tre trienni di formazione previsti per fregiarsi del titolo; i percorsi formativi saranno tutti a carico dei docenti e da seguire in ore pomeridiane. In più, secondo l’ideatore dell’iniziativa, “la norma presenta rilievi di incostituzionalità e rappresenta l’antitesi della valutazione del merito volta a motivare l’intero corpo docente e non uno su cento”.

    Una legge controversa

    La novità prende spunto dalla legge 79 dello scorso giugno che disegna un nuovo modello di formazione iniziale e reclutamento degli insegnanti. E che il 30 maggio portò in piazza quasi 200mila docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari): il 17,5%. Ma che non faceva nessun riferimento al docente “esperto”, che sembra una evoluzione della stessa legge. Il decreto Aiuti bis non è stato ancora pubblicato in Gazzetta e non si conosce pertanto la sua formulazione finale. L’unica cosa che si sa con certezza è che la figura del docente esperto, in qualche modo, è contenuta dell’articolato che dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni. Il comunicato della Presidenza del consiglio conferma che, col decreto Aiuti bis, “è rafforzato il meccanismo di valutazione permanente dei docenti, obiettivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con particolare riferimento al riconoscimento delle risorse da destinare alla retribuzione integrativa”.

    Un percorso che esclude le parti sociali

    Il provvedimento è stato approvato dall’esecutivo lo scorso 4 agosto e deve essere convertito entro il 4 ottobre. Le elezioni si svolgeranno il 25 settembre e parecchie formazioni politiche hanno già evidenziato i loro dubbi. “La nuova qualifica di ‘docente esperto’, riconosciuta a chi beneficerà dell’incentivo, sempre dal 2032, prelude alla creazione di un sistema di presunta carriera che esclude il confronto con le parti sociali e si pone fuori dal contratto collettivo, quindi sganciata da orari di lavoro, opportunità di sviluppo professionali e funzioni strategiche dell’autonomia della scuola”, scrivono  Manuela Ghizzoni e Irene Manzi del Pd.

    “Un governo in carica solo per ordinaria amministrazione – dichiara Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) – infila in un decreto Aiuti il docente esperto, figura fuorviante. Non si inventino figure estemporanee senza nessun confronto con il mondo scuola e con i sindacati”. Anche a destra si nutrono dubbi, quantomeno sul metodo.

    A rischio la qualità dell’insegnamento

    “Stiamo invertendo – dichiara Mario Pittoni, responsabile del Dipartimento istruzione della Lega – l’ordine delle priorità: si è concentrata l’attenzione sulle strutture, considerate investimento, mentre i soldi sulle persone evidentemente sono visti come spreco. Allora si inventano operazioni quasi a costo zero per far credere che non sia così. La prima cosa da fare è garantire uno stipendio base dignitoso a tutti gli insegnanti. O chi vale sceglierà altre strade. Oggi a rischio è la qualità dell’intero corpo docente con gli effetti a catena che si possono immaginare”.

    Forza Italia, spiega Valentina Aprea, “plaude” all’introduzione del docente esperto. Ma “la logica che i commi sottendono è ancora troppo schiacciata su criteri anacronistici, corporativi e, soprattutto, centralistici, senza alcun coinvolgimento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, che, proprio per questo non introducono una vera differenziazione delle funzioni del docente esperto. Va assolutamente introdotta, poi, per il docente esperto, insieme all’insegnamento, una funzione differenziata tra quelle indicate nella legge 79/2022, dal tutoraggio a tutte le altre funzioni legate ad un vero e proprio middle management. Forza Italia – annuncia la Aprea – presenterà al Senato le proposte di modifica che andranno in questa direzione”. LEGGI TUTTO

  • Scuola, arriva il docente esperto: avrà 400 euro in più in busta paga. Critiche da sindacati e presidi: “Colpo di mano del governo Draghi”

    Nella scuola è in arrivo il docente esperto, una delle ultime riforme del governo Draghi a carico dell’istruzione italiana. Secondo quanto riporta l’Ansa, la bozza del decreto legge Aiuti bis, varato dal governo oggi, contiene una nuova figura che si piazza al di sopra di tutti gli altri insegnanti della scuola: il docente “esperto”. In base alle prime indiscrezioni, la novità partirebbe dal 2023/2024. E dopo un percorso di formazione quasi decennale l’insegnante che ricoprirà questo nuovo ruolo percepirà un assegno ad personam di 5.650 euro all’anno, pari a circa 400 euro lordi al mese. Ma fregiarsi del titolo non potranno essere più di 8mila insegnanti, uno per istituto.

    Preoccupati sindacati e presidi

    E il mondo della scuola non la prende affatto bene, per quello che appare come un revival della prima versione della Buona scuola del governo Renzi. Il coro di critiche è pressoché unanime: i sindacati sparano a zero sulla decisione dell’esecutivo e anche i dirigenti scolastici si dichiarano preoccupati. La novità prende le mosse dal decreto-legge 36 sulla formazione iniziale e sul reclutamento che lo scorso 30 maggio portò in piazza i lavoratori. Ma, dalle prime notizie, quella del docente “esperto” sembra una evoluzione di quanto stabilito dallo stesso articolato, poi diventato legge. Perché il DL 36 prevedeva corsi di durata triennale per l’aggiornamento in servizio degli insegnanti con valutazione finale e premio in denaro “una tantum”. Ma non prevedeva esplicitamente nessuna carriera per coloro che si incamminavano sulla via della formazione per tre trienni.

    ‘Colpo di mano del governo Draghi’

    Il più critico tra i sindacati è l’Anief che parla di “colpo di mano del governo Draghi”. “Dopo le dimissioni del premier – afferma il presidente Marcello Pacifico  – e lo scioglimento delle camere, il governo avrebbe dovuto svolgere solo i cosiddetti “affari correnti”, invece travalica ampiamente i suoi poteri e con il decreto legge Aiuti bis si appresta a portare modifiche importanti al Pnrr emanando una norma che introduce una nuova figura di insegnante, il docente senior”. Più prudenti, ma non meno tranchant gli altri sindacati. “Il governo (dimissionario) disegna ad agosto l’impianto della scuola nei prossimi anni”, dichiarano Francesco Sinopoli (Flc Cgil), Ivana Barbacci (Cisl Scuola), Giuseppe D’Aprile (Uil Scuola), Rino Di Meglio (Gilda) e Elvira Serafini (Snals).

    Docenti sottopagati

    “La scuola – continuano – non può andare avanti con 8.000 docenti esperti, dopo un percorso selettivo che dura 9 anni, mentre funziona quotidianamente con centinaia di migliaia di docenti sottopagati. “In questa strana, calda e mutevole campagna elettorale che stiamo vivendo – esordisce Antonello Giannelli, a capo dell’Associazione nazionale presidi – nessuno parla di scuola e delle tante parole spese negli anni scorsi, durante i momenti più terribili della pandemia, non si trova traccia. Eppure, di ragioni ce ne sarebbero molte”. Mentre il governo pensa al docente esperto, Giannelli elenca i principali problemi di cui soffre la scuola italiana: “dispersione scolastica implicita ed esplicita, esiti delle prove Invalsi e differenza con i risultati degli esami di Stato, mancata acquisizione di competenze di base in larghe fasce di alunni e risorse destinate al sistema scolastico che diminuiscono nell’indifferenza di tutti”.

    Figura divisiva

    Anche chi lavora quotidianamente rivolto agli alunni non vede di buon occhio la novità in cantiere. Patrizia Borrelli, insegna in una scuola primaria a Roma. “Quella del docente esperto – spiega – è una figura fortemente divisiva. La scuola non ha bisogno di figure superiori rispetto al resto dei colleghi: l’obiettivo del nostro lavoro è quello di fornire la migliore performance senza sentirsi inferiore. Il mondo della scuola deve in un clima collaborativo e di condivisione. E non si ottiene certo categorizzando il personale tra chi è esperto e chi non lo è che si raggiungono gli obiettivi formativi per gli alunni”. Dello stesso avviso Silvia Parroco, docente di Italiano e Latino presso un liceo classico di Palermo, che teme “un peggioramento delle relazioni all’interno delle scuole e un appesantimento del clima che si respira all’interno delle stesse”. LEGGI TUTTO

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