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Il ghiaccio marino artico si sta riducendo a una velocità senza precedenti

“Il ghiaccio marino artico si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità che non ha precedenti, riducendo l’estensione dello schermo bianco in grado di riflettere energia termica nello spazio. La fusione del permafrost terrestre e subacqueo causa una drammatica accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera”. L’allarme arriva dal Cnr, durante il meeting annuale del Programma Ricerche in Artico, organizzato a Roma, un’occasione per fare il punto sulla gravità della crisi climatica e della distruzione di biodiversità in atto nella calotta polare artica, oltre che per valutare gli scenari di ulteriore impatto antropogenico sull’area.

“La jet stream atmosferica che circonda l’Artico sta perdendo velocità, portando occasionalmente aria fredda alle medie latitudini ma causando ulteriore riscaldamento in Artico. La calotta di ghiaccio della Groenlandia è destabilizzata e destinata a causare un innalzamento del livello del mare globale senza precedenti negli ultimi 10.000 anni”, spiega Fabio Trincardi, direttore del Dipartimento di scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Dsstta), e rappresentante uscente dell’Ente nel Comitato Scientifico Artico del PRA.

Biodiversità

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I più recenti rilevamenti confermano che l’aumento della temperatura in Artico è drammaticamente superiore alla media mondiale, con alcune regioni che presentano un aumento fino a 2.7 C ogni dieci anni, corrispondente addirittura a 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura.

L’atmosfera polare, chiarisce Lucilla Alfonsi di INGV parlando dell’interazione tra attività solare e magnetosfera terrestre, è continuamente esposta alle variazioni dall’attività solare, a causa della conformazione del campo magnetico terrestre che, di fatto, invita le particelle cariche trasportate dal vento solare ad entrare nella nostra atmosfera dando luogo anche a meravigliose manifestazioni naturali come le aurore. Possiamo quindi considerare le regioni polari come sentinelle delle condizioni dello spazio che circonda la Terra. Questa caratteristica rende l’atmosfera polare un formidabile laboratorio naturale per lo studio delle relazioni Sole-Terra anche nell’ambito della meteorologia spaziale, disciplina che ambisce a prevedere e a mitigare gli effetti dannosi delle perturbazioni solari su tecnologie largamente usate (quali, ad esempio, quelle che utilizzano i satelliti GPS).

Lo studio

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La riduzione del ghiaccio marino sta anche favorendo un incremento del traffico navale nella regione, con conseguente aumento dei rifiuti in mare e soprattutto con un aumento delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa.

Studi recenti confermano come anche gli incendi nella zona boreale – soprattutto nelle regioni siberiane come la Yakutia – stiano pericolosamente aumentando a causa della crisi climatica in atto. Si osservano anche importanti variazioni nella struttura e nella circolazione dell’oceano e dell’atmosfera, e impatti importanti sull’ecosistema

Nell’ambito delle attività finanziate attraverso il Programma di Ricerca in Artico, i progetti Past-Heat e Sentinel, coordinati rispettivamente da Tommaso Tesi e Andrea Spolaor dell’Istituto di scienze polari del Cnr, hanno complessivamente dimostrato l’instabilità della criosfera artica, come ghiaccio marino e permafrost, a seguito di rapidi eventi climatici.

L’emergenza

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Past-Heat ha dimostrato come eventi caldi nel recente passato (circa 15.000 anni fa) caratterizzati da un rapido innalzamento del livello marino abbiano generato contestualmente un improvviso e massivo collasso del permafrost costiero in Siberia“. Sentinel, invece ha dimostrato che, durante l’ultima deglaciazione (tra 15000 e 9000 anni anni fa), le variazioni di ghiaccio marino e la maggior esposizione di superfice marina abbiano influenzato le emissioni di mercurio in Artico oltre a dimostrare la rapida diminuzione attuale del ghiaccio marino sul ciclo del vapor d’acqua.

“Uno dei risultati più rilevanti riguarda la fusione del permafrost che si traduce nel rilascio di gas climalteranti, soprattutto metano, in atmosfera ma anche di virus, come l’Antrace, e di enormi quantità di sostanza organica in oceano”, documenta il progetto di Tommaso Tesi (Cnr-Isp) che, prima della difficile situazione politica in Europa, ha studiato l’area siberiana e il mare di Laptev.  “Tutte queste variazioni influenzano processi che si estendono su scala globale. Quello che succede in Artico, non resta in Artico, ma impatta anche le medie latitudini“, ricorda Andrea Spolaor (Cnr-Isp).

Tecnologia e ambiente

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L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza da recenti studi anche di ricercatori italiani e rappresentano un esempio immediato di interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini. 

L’Artico si conferma quindi una regione chiave per lo studio dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono sempre più evidenti a tutte le latitudini. Per queste ragioni il PRA si è focalizzato sul fenomeno della cosiddetta “amplificazione artica”, sugli ecosistemi artici, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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