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    Lo Zimbabwe dichiara lo stato di calamità per la siccità devastante

    Lo Zimbabwe ha dichiarato lo stato di calamità a causa della devastante siccità che sta colpendo gran parte dell’Africa meridionale, il presidente del Paese, Emmerson Mnangagwa, ha dichiarato che ha bisogno di 2 miliardi di dollari per l’assistenza umanitaria. La dichiarazione era ampiamente attesa dopo le azioni simili intraprese dai vicini Zambia e Malawi, dove […] LEGGI TUTTO

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    La crisi del clima cambia le tradizioni: in Marocco hammam chiusi per la siccità

    In quel rito tradizionale fatto di profumi d’olio di argan e chiodi di garofano, di vapori e sospiri rilassanti, spesso ci si dimentica che l’elemento centrale è l’acqua. Senza acqua – come sta accadendo in un Marocco colpito ormai da una siccità che dura da quasi sei anni – è difficile pensare che il rituale dell’hammam, i bagni pubblici amati dai marocchini, possa continuare a lungo. Per questo il ministro degli Interni Abdelouafi Laftit già a fine gennaio ha ordinato un giro di vite, che oggi i walis (prefetti) di varie regioni hanno ormai ampliato a diversi territori, per limitare l’uso degli hammam: resteranno chiusi tre giorni a settimana, di solito lunedì, martedì e mercoledì.

    Lo scopo è ovviamente quello di non sprecare acqua: in questo rito per purificare corpo e mente infatti, di cui solitamente le donne usufruiscono durante il giorno mentre gli uomini la mattina presto o la sera, vengono consumati enormi quantitativi di risorse idriche. Secondo il ministero si parla in media di 140 litri per un uomo e  250 per una donna. Un hammam femminile equivarrebbe in pratica al consumo settimanale di otto famiglie nei villaggi più remoti del Marocco. Numeri che hanno costretto il governo a rivedere le politiche dei 12mila bagni del Marocco, così come a imporre misure simili a quelle ordinate nella vicina Spagna: limitazioni sul lavaggio auto, stop all’irrigazione degli spazi verdi o il riempimento delle piscine. La chiusura degli hammam, seppur solo per determinati giorni, in Marocco però ha un significato più profondo: la crisi del clima che ha portato a una perdurata siccità in varie zone dell’Africa sta infatti compromettendo quello che è un vero e proprio modo di socializzare, un luogo di incontri. Non solo: rappresenta anche una economia importante, con 200mila posti di lavoro diretti e indiretti, già messi alla prova in passato dalla pandemia.

    Crisi climatica

    Sicilia, Messico, Tenerife: è già emergenza idrica. Le misure e i rischi

    di Giacomo Talignani

    01 Marzo 2024

    Anche per questo le associazioni di proprietari e gestori di hammam hanno chiesto al ministro dell’Interno di riconsiderare quella che hanno definito una “ingiusta decisione” e a Casablanca, riportano le cronache locali, alcuni gestori stanno già sfidando i divieti. Altri invece propongono soluzioni: come vietare solo le docce, limitare gli orari, oppure far fare ai clienti la doccia a casa. Attualmente si stima che le acque di falda del Marocco possano coprire solo il 20% del fabbisogno e la speranza è che in primavera arrivino piogge adeguate per scongiurare un’ulteriore siccità. Come in Catalogna si stanno realizzando impianti di dissalazione dell’acqua, ma potrebbe non essere sufficiente ad affrontare una crisi che oggi tocca nel concreto soprattutto l’agricoltura.

    Tecnologia

    Pannelli solari per creare nuvole e portare la pioggia nel deserto: uno studio

    di Paolo Travisi

    23 Febbraio 2024

    Nel frattempo però la chiusura di tre giorni settimanali ha già in parte sconvolto la tradizione dell’hammam. Come racconta all’Ap una dipendente di un bagno pubblico di Rabat, Fatima Mhattar, essendo le aperture possibili solo nella parte finale della settimana molti clienti, temendo l’affollamento, evitano di conseguenza di frequentare questi luoghi. “Anche quando è aperto dal giovedì alla domenica, la maggior parte dei clienti evita di venire perché ha paura che sia pieno di gente” spiega Mhattar. Inoltre le restrizioni imposte dalla siccità stanno anche aumentando i divari sociali. Alcuni bagni restano infatti aperti per turisti e classi più facoltose in Comuni che hanno previsto delle eccezioni. Un altro problema riguarda poi determinate zone del Paese, come le città sulle montagne dell’Atlante: qui molti residenti usano gli hammam per riscaldarsi e le chiusure stanno risultando fortemente impattanti per la popolazione.

     Dato che alcune statistiche indicano come gli hammam incidono solo per il 2% sul consumo di risorse idriche, gli abitanti si chiedono ad esempio perché anziché chiudere i bagni non fare come la vicina Tunisia dove nel 2023 sono stati chiusi i rubinetti, per alcune ore, nei quartieri dove veniva utilizzata più acqua. Eppure c’è anche chi sostiene che lo stop all’uso degli hammam in determinati giorni aiuti le persone a prendere coscienza degli impatti della siccità e della crisi del clima. “Se c’è meno acqua, preferisco bere piuttosto che andare all’hammam” ha raccontato ad esempio  la 37enne marocchina Hanane El Moussaid,  frequentatrice abituale dei bagni, intervistata dall’Associated Press. Posizioni e punti di vista diversi in un Marocco dove oggi tutti hanno lo stesso problema: gestire una risorsa carente, l’acqua, fondamentale per la vita e le tradizioni del Paese. LEGGI TUTTO

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    Lago di Albano, il livello dell’acqua è sceso di 7 metri in meno di 40 anni

    Il lago Albano, conosciuto anche con il nome di lago di Castel Gandolfo, si sta prosciugando. Ogni anno perde in media 15 centimetri d’acqua, ma negli ultimi 12 mesi il livello è sceso in modo drammatico, di oltre 50 centimetri. In 39 anni il lago di origine vulcanica, che si trova nell’area dei Castelli Romani, ha perso 40 milioni di metri cubi di acqua, quasi 7 metri di livello e la situazione è destinata a peggiorare. A lanciare l’allarme è l’associazione Grottaferrata Sostenibile, il cui responsabile Giancarlo Della Monica, dalla fine del 2022 sta monitorando il livello idrico e sulla pagina Facebook descrive in modo dettagliato cosa sta succedendo a questo specchio lacustre profondo circa 160/170 metri.Prelievi diretti, consumo intensivo del suolo, cementificazione ed eccessiva antropizzazione degli spazi naturali dell’area dei Castelli Romani – che portano alla copertura del suolo con materiali impermeabili, come cemento e asfalto – sono le cause principali di questa crisi idrica, segnale inquietante di un altro problema: l’impoverimento progressivo della falda acquifera dei Castelli Romani. A tutto questo si aggiunge il cambiamento climatico in corso che porta periodi prolungati di siccità e concentrazione di pioggia in un periodo temporale molto ristretto.”Dal 2020 i prelievi sull’emissario principale del lago eseguiti da Acea, sono arrivati a circa 300 litri al secondo e servono ad alimentare i comuni di Albano, Ariccia e Castel Gandolfo, a cui vanno aggiunto quelli diretti del Vaticano usati prevalentemente per l’irrigazione dei giardini, di una struttura collegata all’Eni e del convento di Palazzolo, senza contare le captazioni abusive”, spiega Giancarlo Della Monica di Grottaferrata Sostenibile, oltre che delegato allo Sviluppo Sostenibile del Comune di Grottaferrata, che aggiunge: “ad ottobre 2022 ho iniziato a fare queste misurazioni personalmente con un idrometro artigianale per valutare le oscillazioni, in assenza di un teleidrometro che solo dopo molte richieste è stato recentemente adottato dall’Autorità di Bacino, che ha confermato i miei dati”.Nonostante il mese di novembre sia stato particolarmente piovoso, il livello del lago Albano ha continuato ad abbassarsi come se fosse il periodo estivo. “Da giugno il livello dell’acqua non ha mai smesso di scendere. Inoltre c’è un’unica falda acquifera che serve i Castelli Romani, che da oltre 30 anni subisce un impoverimento di 15 milioni di metri cubi di acqua ogni anno, per cui l’abbassamento del lago Albano è solo la spia di una condizione che si sta aggravando”, sottolinea ancora Della Monica.La carenza di acqua, ovviamente, ha un impatto diretto sull’ambiente e sull’ecosistema, i cui effetti si sono già manifestati. “Si è verificata una perdita di biodiversità notevole, pesci e piccoli crostacei che sono spariti, piante ed alghe che non esistono più. Inoltre c’è il problema del dissesto della parte boschiva, che sarebbe interdetta al passaggio pedonale, proprio perché ci sono eventi franosi e non è sicura” osserva Grottaferrata Sostenibile.Per arginare un problema servono soluzioni, anche piuttosto urgenti. “Sul lungo periodo bisogna diminuire il consumo di suolo, quindi il carico antropico e l’urbanizzazione dei Castelli Romani, che è maggiore di 4 volte la media nazionale, aggiornare il Piano Regolatore vecchio di 40 anni per un piano moderno e sostenibile. Per il breve periodo, invece, bisogna ridurre il prelievo diretto, realizzare opere di ingegneria naturalistica per recuperare l’acqua piovana ed introdurre tecnologie per recuperare le acque scure delle case” evidenzia Della Monica.Secondo il fondatore di Grottaferrata Sostenibile, nell’immediato, l’unica possibilità per far risalire il livello idrico del Lago Albano è la “turnazione dell’acqua, interrompere il flusso idrico per una o due ore al giorno ed abbassare la pressione, servirebbero anche a dare consapevolezza alla popolazione della scarsità del bene idrico”. LEGGI TUTTO

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    Pannelli solari per creare nuvole e portare la pioggia nel deserto: uno studio

    Una distesa di migliaia di pannelli solari in grado di far nascere nuvole cariche di pioggia, anche nel pieno del deserto, dove l’acqua è ancora più preziosa. Sembra un’affermazione più fantastica, che scientifica, come ha evidenziato lo stesso autore dello studio Oliver Branch, climatologo dell’Università di Hohenheim, in Germania che sulle pagine di Nature ha affermato: “Forse non è fantascienza, perché possiamo produrre questo effetto”.L’esperto, che ha pubblicato la sua ultima ipotesi sulla rivista Earth System Dynamics, lavora in un campo pionieristico, che studia gli effetti degli impianti di energia rinnovabile (come le celle solari) sul clima, alterando i modelli meteorologici regionali. Nello specifico dello studio, il team guidato da Branch ipotizza che il calore sviluppato da grandi estensioni di pannelli solari scuri o da quelle che vengono chiamate “superfici nere artificiali” (ABS) possa dare origine a correnti ascendenti che, con le giuste condizioni climatiche, porterebbero temporali sulle lande desertiche, fornendo acqua per decine di migliaia di persone.

    Tecnologia

    Come catturare acqua dall’aria: il sistema sperimentato nella Death Valley

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    04 Settembre 2023

    Particolarmente interessati a queste ricerche, sono soprattutto i paesi ricchi di petrolio, ma poveri di acqua, come gli Emirati Arabi Uniti, in cui il problema idrico è molto sentito, tanto che il paese per soddisfare le esigenze di chi vive nel deserto, spende cifre enormi per le centrali di desalinizzazione o per le campagne di semina aerea, (ne fanno circa 300 ogni anno), usando aerei che spruzzano particelle nelle nuvole in transito per innescare precipitazioni.Branch, per comprendere l’applicabilità del progetto, ha usato un modello meteorologico, prodotto dal National Center for Atmospheric Research degli Stati Uniti, per studiare i cambiamenti climatici della superficie terrestre, avendo come riferimento centrali solari fatte con pannelli molto scuri, estese per almeno 15 km quadrati in grado di assorbire il 95% della luce del Sole; attraverso il processo di modellizzazione ha scoperto che il calore assorbito in superficie, in contrasto con la sabbia riflettente che li circondava, aumentava notevolmente le correnti ascendenti, che alimentano la formazione delle nuvole.”Naturalmente il calore da solo non basta, perché anche se la superficie del deserto rispetto a una superficie ricoperta da pannelli solari è più riflettente, per formare le nubi serve anche il vapore acqueo, che nel caso dello studio negli Emirati Arabi, è quello proveniente dal Golfo Persico, dove le masse di vapore, grazie al vento, si possono trasferire all’interno della costa. Quindi il calore prodotto dai pannelli crea dei movimenti ascendenti, cioè l’aria calda sale e su questa s’innesta il vapore, quindi la condensazione per la formazione delle nubi” spiega Vincenzo Levizzani, dell’Istituto Scienze Atmosferiche del Cnr di Bologna, che aggiunge: “Il modello utilizzato, ha simulato la copertura del suolo desertico con pannelli dalle determinate condizioni riflettenti ed assorbenti della radiazione solare e da lì hanno desunto che si potessero formare queste nubi.”

    Ricerca

    Una nuova tecnica per rendere potabile l’acqua salata producendo energia

    di Paolo Travisi

    08 Febbraio 2024

    Ed infatti, il modello ha individuato le condizioni migliori in un campo solare di 20 chilometri quadrati che avrebbe aumentato le precipitazioni di quasi 600mila metri cubi, equivalente a 1 centimetro di pioggia caduto su un’area grande quanto Manhattan. Se temporali di questa grandezza si verificassero 10 volte nell’arco di un’estate, fornirebbero abbastanza acqua per sostenere più di 30.000 persone in un anno.Lo studio tedesco di modellizzazione è stato finanziato dagli Emirati Arabi, ma secondo il climatologo, usando il loro schema la pioggia potrebbe essere indotta anche in altre aree del mondo, come la Namibia, Oman, la penisola della Bassa California, in Messico e Stati Uniti o nella zona desertica dell’Australia. 

    Il limite del progetto, oltre i costi di realizzazione o l’impatto ambientale provocato da una distesa enorme di pannelli solari, riguarda anche il materiale dei pannelli solari stessi, che devono essere molto scuri, tendenti al nero, mentre quelli attuali sono riflettenti e progettati per raffreddare l’ambiente circostante, non per scaldarlo. LEGGI TUTTO

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    Arance più piccole e campi senza grano, la Sicilia già fa i conti con la siccità

    Nella Terra dove l’acqua cade dal cielo soltanto nel momento sbagliato, le arance si stanno facendo sempre più piccole. Il grano quasi non cresce più nell’Ennese, gli alberi da frutto si seccano nel Palermitano. La Sicilia è in forte crisi idrica già ad inizio anno, ma per l’isola non ci sono i grandi piani per l’acqua come le navi cisterna che potrebbero aiutare Barcellona e la Catalogna, e nemmeno miliardi investiti nei desalinizzatori, o in politiche idriche d’emergenza come in Spagna.Qui, in Sicilia, o manca completamente o in certi invasi l’acqua addirittura c’è ancora, solo che gli impianti per utilizzarla non funzionano. Così come non riescono ad essere efficaci i piani per stoccare l’acqua o conservarla: all’inizio dello scorso anno le precipitazioni non sono mancante ma poi – come da perfetto identikit della crisi del clima – nella seconda metà del 2023 il cielo ha chiuso i rubinetti portando a sei mesi fra i più aridi da oltre un secolo. In certe province si sfiora il 100% di deficit, ora si raziona l’acqua.

    Da settembre a dicembre 2023 l’ammanco complessivo di pioggia è stato di 220 millimetri, solo a dicembre un deficit con picchi anche del 96% tra le province di Enna (-81,5% in media) e Catania (-80%). Stesso trend a gennaio e ora, a inizio febbraio e in pieno inverno, la siccità impone alla Sicilia come alla Sardegna di razionare la poca acqua che c’è. Nello strato di suolo da 0 a 100 centimetri di profondità le condizioni sono già critiche. Anche se dovesse iniziare a piovere (a partire da questo weekend) non è detto che  nelle prossime settimane e in primavera si accumulerà l’acqua necessaria a cambiare la condizione del suolo: lo scenario di stoccaggio elaborato da Copernicus, per esempio, racconta che a luglio il deficit idrico per regioni come la Sicilia potrebbe risultare drammatico.

    Il decreto

    Dal governo un commissario e un piano idrico straordinario per l’emergenza siccità

    di Cristina Nadotti

    01 Marzo 2023

     Nonostante anche il commissario italiano contro la siccità nominato dall’attuale governo, Nicola Dell’Acqua, sia intervenuto per spiegare che “l’Italia sta diventando un Paese povero di acqua”, mancano però misure concrete per rispondere a questo deficit che mette in ginocchio l’isola. La Regione, nel frattempo, sulla spinta dei tanti agricoltori siciliani che si sono uniti alla protesta dei trattori, punta a chiedere al Governo di dichiarare lo stato di calamità naturale per affrontare la siccità e quelle crisi, dal comparto vitivinicolo sino alla zootecnia, che oggi hanno bisogno di sostegno. Un sostegno che però non può essere solo economico, come ricorda chi coltiva arance. 

    Il caso delle arance sempre più piccole

    Come racconta a Green&Blue Federica Argentati, alla guida del Distretto Agrumi di Sicilia, servirebbe infatti innanzitutto “una gestione diversa e migliore dei Consorzi di bonifica che andrebbero subito riformati. Così come garantire le risorse, per tutti, di accesso alla poca acqua che c’è”. “Rispetto agli altri anni, per i coltivatori di arance – continua  Argentati – oggi il problema maggiore è non solo una produzione minore, ma il fatto che a causa di precipitazioni cadute nel momento sbagliato o dall’assenza di acqua, si ritrovano con arance più piccole. Visto che sono in abbondanza quelle di calibro piccolo, abbiamo perfino fatto una campagna di comunicazione – “per piccina che tu sia ci fai il pieno di energia” – per far capire ai consumatori che sono comunque buonissime e vanno consumate. Ma non sempre è semplice far passare il messaggio.  Ora, non piovendo da mesi, stanno aumentando i costi di produzione e alcuni quantitativi di arance sono stati indirizzati verso l’industria di trasformazione di succhi e spremute, essendo il mercato del fresco in difficoltà”.

    Fra i problemi principali nell’affrontare la siccità costante secondo Argentati ci sono “l’obsolescenza delle strutture irrigue, le problematiche di invasi dato che non raccolgono l’acqua quando arriva e ovviamente le risorse economiche”. Attualmente, mentre si è in piena campagna per la raccolta, il Distretto sta provando a puntare  sulla diffusione di “tecniche di agricoltura 4.0 con stazioni metereologiche e sensori all’interno dei terreni e delle aziende agricole che misurano l’evapotraspirazione e consentono di capire quando irrigare o meno, per evitare sprechi. Sono tutti aspetti innovativi e utili, che però non rispondono alla domanda cruciale: ma se non piove più, che si può fare?”.

    La scheda

    Cosa prevede il decreto siccità

    Cristina Nadotti

    07 Aprile 2023

    Più che agli invasi, guardare a ridurre la domanda d’acqua e migliorare i suoli

    In alcune aree del Catanese la produzione delle famose arance rosse è calata anche del 50% e i coltivatori si chiedono cosa succederà quest’estate, quando sarà tempo di irrigare. La grande difficoltà è infatti quella di riuscire a guardare al futuro: cosa accadrà in una Sicilia che per aridità, siccità e desertificazione, oggi assomiglia sempre più all’Algeria? Con invasi che non funzionano – come quello di Lentini bloccato da un guasto meccanico che non permette il sollevamento dell’acqua – e altri già all’asciutto o impattati dall’evaporazione nella calda Sicilia, e fra pompe e pozzi che non tirano su risorse idriche a sufficienza, come si manderanno avanti vita e coltivazioni?

    Se finora come sistemi di accumulo ci si è basati soprattutto su invasi e infrastrutture capaci di ridistribuire poi l’acqua piovana – in maniera non sempre efficace, ancor meno ora che di pioggia non ce n’è – per un futuro “senz’acqua” anche in Italia secondo il direttore del Cirf (Centro Italiano per la Riqualificazione) Andrea Goltara la chiave sarà quella di ridurre la domanda idrica.Goltara sèiega la sua ricetta: “Come in Catalogna, anche qui servono strategie sul lato della domanda e non solo dell’offerta. Per esempio puntando alla capacità del suolo di trattenere umidità. Lavorare per migliorare il contenuto organico del suolo, che è una delle indicazioni dei piani europei come la Nature Restoration Law, significa trattenere più acqua a parità di precipitazioni. Un suolo desertificato, come quello siciliano, perde tantissima acqua. Partire dalla sua cura, così come dall’idea di ripristinare la biodiversità in ambito agricolo, fa sì che il suolo funzioni da spugna e trattenga l’acqua”.

    Crisi climatica

    Copernicus: nel 2024 il pianeta ha vissuto il gennaio più caldo mai registrato

    di redazione Green&Blue

    08 Febbraio 2024

    Una base di partenza, dato che “questo è solo un elemento di un grande ventaglio su cui il mondo agricolo deve lavorare. Le soluzioni infrastrutturali, come gli invasi, spesso non risolvono il problema. Molto più efficace sarebbe invece il cambiamento delle colture che è imprescindibile guardando al futuro: coltivazioni che hanno meno bisogno di  consumo di acqua, come sta provando a fare il Consorzio del parmigiano reggiano all’interno della sua filiera, sono quelle necessarie ad adattarci alla crisi del clima.  Poi ovviamente, anche se non basterebbe per l’ambito agricolo, ci sono le tecnologie dei desalinizzatori, così come a livello di singoli proprietari si può lavorare per  trattenere meglio l’acqua piovana senza fare grandi dighe nei fiumi, ma magari con piccoli interventi di trattenimento”.

    Goltara fa un esempio. “Usare tecniche per aumentare la trattenuta da parte dei versanti collinari per far infiltrare l’acqua, perché i serbatoi migliori ricordiamoci sempre che sono le falde. La stessa ricarica delle falde poi, con misure basate sulla natura, è una delle migliori soluzioni risapetto a costruire dighe o strutture artificiali”.

    Tutti sistemi che, in una Sicilia senz’acqua, potrebbero essere efficaci a patto di una mentalità capace di “abbandonare i vecchi sistemi. Eppure, ed è quello che mi fa impressione – conclude Goltara –  oggi molte delle misure che servirebbero proprio per tentare di abbassare la domanda d’acqua e garantire quella che c’è nei suoli, sono contenute in leggi e strategie europee come la Nature Restoration Law o il Green Deal che per paradosso sono sotto attacco”. LEGGI TUTTO

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    Una nuova tecnica per rendere potabile l’acqua salata producendo energia

    L’acqua, bene primario per eccellenza, sta diventando una risorsa sempre più preziosa. Il cambiamento climatico in atto, infatti, sta incidendo sui livelli di siccità globale, in porzioni del pianeta Terra sempre più ampi. Entro il 2025, metà della popolazione mondiale vivrà in aree sottoposte a stress idrico, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’urgenza idrica si nota anche nella quantità crescente di ricerche internazionali, che cercano una soluzione al problema, proponendo metodi sempre più efficienti di desalinizzazione, cioè riducendo o eliminando il livello di salinità dell’acqua del mare, per usarla in agricoltura o per renderla potabile, quindi adatta ad un uso umano. 

    Come viene desalinizzata l’acqua

    Attualmente i principali i metodi per desalinizzare l’acqua sono la distillazione solare multistadio – in cui l’acqua marina entra in vani posti in sequenza ed evapora attraverso i vari stadi, lasciando dietro di sé il sale – e l’osmosi inversa – processo alimentato solo dal calore solare, ma il problema principale è che il sale si accumula rapidamente all’interno del dispositivo sotto forma di cristalli che intasano il sistema.

    A fare la differenza, oltre all’efficienza, è l’economicità dell’intero processo. In questo senso sembra promettente uno studio condotto dai ricercatori della Tandon School of Engineering, New York University, che hanno compiuto un importante passo avanti nel processo di desalinizzazione, denominato Redox Flow (RFD) o batterie a flusso Redox, una tecnica elettrochimica emergente, che oltre a trasformare l’acqua di mare in acqua potabile, consente anche di immagazzinare l’energia rinnovabile prodotta dal flusso dell’acqua a prezzi accessibili.

    Lo studio, pubblicato su Cell Reports Physical Science, dimostra che tramite il sistema RFD si può ridurre il tasso di rimozione del sale di circa il 20%, diminuendo allo stesso tempo la domanda di energia, ottimizzando le portate dei fluidi. “Questo tipo di sistema è ancora applicato su bassa scala perché richiede l’ottimizzazione di una serie di componenti, tra cui le membrane, ovvero i filtri che agiscono sull’acqua salata e la forza spingente che si applica per far avvenire la separazione. Il problema principale del flusso Redox è che il costo delle membrane a scambio ionico è elevato per un’applicazione su larga scala, al contrario di quanto avviene per il procedimento ad osmosi inversa” spiega Enrica Fontanova dell’Istituto per le tecnologie delle membrane del Cnr.

    Questa tecnica permette sia di usare energia elettrica come forza spingente per separare il sale dall’acqua, che sfruttare l’energia chimica sprigionata in modo spontaneo dal mescolamento di due soluzioni e convertita in energia elettrica. L’innovazione importante dell’esperimento americano è che “ottimizzato ed aumentato la produttività di una tecnica già nota. Hanno sfruttato il mescolamento di due soluzioni di acqua a diversa concentrazione, usando le membrane che separano gli ioni, liberando l’energia chimica che ne scaturisce, che può essere catturata e trasferita agli elettrodi della batteria ricaricabile. Il sistema a flusso Redox, infatti, può essere usato sia per desanilizzare l’acqua che per produrre energia”, considera Fontanova del Cnr. Ma c’è di più. Il gruppo di ricerca alla Tandon School,  guidato da André Taylor, professore di ingegneria chimica e biomolecolare, è riuscito ad ottimizzare il processo di desalinizzazione fino a circa 700 litro/ora per metro quadrato, numeri molto elevati rispetto ai 15 litro/ora dell’osmosi inversa.”Integrando perfettamente lo stoccaggio dell’energia e la desalinizzazione, la nostra visione è quella di creare una soluzione sostenibile ed efficiente che non solo soddisfi la crescente domanda di acqua dolce, ma sostenga anche la conservazione ambientale e l’integrazione delle energie rinnovabili”, ha evidenziato il professor Taylor.Il procedimento Redox Flow, dunque, permetterebbe l’utilizzo efficiente di fonti energetiche rinnovabili intermittenti, come il solare e l’eolico la cui energia sarebbe immagazzinata nelle batterie a flusso Redox, e rilasciata su richiesta, fornendo un’integrazione  di energia elettrica quando necessario. L’impiego di questa tecnologia ridurrebbe la dipendenza dalle reti elettriche convenzionali, favorendo la transizione verso un processo di desalinizzazione dell’acqua a zero emissioni di carbonio ed ecologico. LEGGI TUTTO

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    Le acque sotterranee stanno diminuendo, ma possiamo fare qualcosa per evitarlo

    C’è sempre meno acqua anche sotto terra. Uno dei più grossi studi mai portati a termine sui dati di monitoraggio delle acque sotterranee, appena pubblicato dalla rivista Nature, è arrivato alla conclusione che in buona parte del mondo il tasso di esaurimento è aumentato nel corso degli ultimi decenni, soprattutto nelle regioni aride coltivate come la California e l’India. Ci sono però anche delle buone notizie: in diversi casi la tendenza si è invertita ed è anche merito dell’essere umano. Buoni esempi da imitare, sostengono gli autori dell’indagine. 

    Lo sfruttamento delle acque sotterranee

    Le acque sotterranee sono una risorsa preziosissima per il Pianeta e per la nostra sopravvivenza, ma lo sfruttamento umano e i cambiamenti ambientali e climatici di origine antropica le stanno mettendo a rischio. Basti pensare che circa il 70% delle riserve viene utilizzato per sostenere l’irrigazione dei campi coltivati – un ritmo che difficilmente riesce a bilanciarsi naturalmente, col rischio concreto di un progressivo svuotamento di questi serbatoi naturali con conseguenze che vanno dalla contaminazione delle falde con acqua marina allo sprofondamento (subsidenza) di aree continentali, alla secca dei fiumi. 

    Ma come stanno davvero le falde acquifere della Terra? È la domanda a cui un team di scienziati della UC Santa Barbara ha cercato di rispondere. 

    Dai pozzi e dai satelliti

    Lo studio è davvero mastodontico. In tre anni gli scienziati hanno recuperato, pulito e ordinato i dati di monitoraggio dei livelli delle acque sotterranee degli ultimi decenni di 170mila pozzi. Non solo, per ricostruire i confini delle falde acquifere nelle regioni coinvolte nell’indagine (circa 40 Paesi, quelli per cui è stato possibile reperire abbastanza dati) hanno analizzato oltre 1.200 pubblicazioni e integrato con i dati satellitari del progetto Grace (Gravity Recovery and Climate Experiment). Con tutta questa mole di dati sono riusciti a valutare le tendenze nel livello delle acque sotterranee in 1.693 falde acquifere, realizzando l’analisi più completa ad oggi.

    Dall’indagine è emerso che nella maggior parte delle falde acquifere considerate il livello dell’acqua è diminuito tra il XX e il XXI secolo e che, oltretutto, nel 30% il tasso di esaurimento ha subito un’accelerazione negli ultimi 40 anni. Le falde messe peggio sono quelle delle regioni coltivate con il clima più secco, perché richiedono più acqua per il mantenimento dell’attività agricola.

    Buoni esempi

    La situazione, comunque, non è compromessa ovunque allo stesso modo. Nel 20% dei sistemi acquiferi il declino ha rallentato e nel 16% la tendenza si è invertita, mentre in un 13% il livello delle acque sotterranee è aumentato in modo costante – un risultato che è frutto anche degli sforzi dell’essere umano. Il bacino di Bangkok in Thailandia, per esempio, è stato tutelato grazie a efficaci interventi di policy, che, attraverso l’introduzione di limiti stringenti, di tariffe e la richiesta di permessi per il prelievo di acque sotterranee, hanno ridotto la domanda.Un altro esempio di intervento che ha permesso alla falda di rigenerarsi è quello messo in atto ad Albuquerque nell’ovest degli Stati Uniti, dove per soddisfare il fabbisogno di acqua si è fatto ricorso a bacini di superficie. Ancora, un terzo tipo di intervento è stato praticato nell’Avra Valley in Arizona: qui i livelli di acqua sotterranea sono stati rimpinguati appositamente dirottando l’acqua dal fiume Colorado, usando le falde come serbatoio naturale da usare in caso di necessità – una strategia che, riferiscono i ricercatori, porta vantaggi all’ecosistema e ha un rapporto costo-efficacia migliore dei serbatoi artificiali di superficie.

    “L’esaurimento delle falde acquifere non è inevitabile”, ha commentato Scott Jasechko, che ha condotto lo studio, sottolineando che l’indagine costituisce uno strumento per capire meglio le dinamiche che coinvolgono le falde acquifere, compreso l’effetto dei cambiamenti climatici, fare previsioni su quali serbatoi si stanno esaurendo, sulla sicurezza delle acque e sviluppare strategie per tutelare questa inestimabile ricchezza sotterranea. LEGGI TUTTO