21 Marzo 2024

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    Il Nobel per l’acqua Andrea Rinaldo: “Il mondo muore di sete, ma a fine secolo Venezia sarà sommersa dal mare”

    Non basta quello che stiamo vivendo: lo stato di emergenza per le falde idriche esaurite in Spagna, la Sicilia che decreta il riutilizzo degli scarichi di fogna per irrigare i campi, il canale di Panama semichiuso da sei mesi per siccità, l’Emilia Romagna ancora alle prese con le ferite dell’alluvione della scorsa primavera, la stagione […] LEGGI TUTTO

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    Nelle Marche nasce l’acquedotto antisismico: “Progetto apripista per colmare gravi lacune”

    Per preservare una risorsa essenziale come l’acqua c’è bisogno di infrastrutture efficienti. E in Italia, territorio dove i terremoti sono frequenti e diffusi, la realizzazione di acquedotti antisismici è un tassello indispensabile per assicurare al Paese una distribuzione capillare e senza sprechi delle risorse idriche. È con questa premessa che la presentazione del nuovo “Anello Acquedottistico Antisismico dei Sibillini”, fatta oggi a Roma con un convegno che si è tenuto all’università La Sapienza, è diventata occasione per riflettere sulla prevenzione in generale e su quanto si sta realizzando nei Sibillini. 

    L’opera servirà il territorio delle province di Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e una porzione di quella di Ancona. Si tratta del rifacimento dell’acquedotto del Pescara, fatto a pezzi in più riprese nel corso dei terremoti del 2016-2017, oltre che nei precedenti, e sempre rifatto alla meglio, con interconnessioni in altre aree. L’acquedotto servirà 134 comuni marchigiani in 4 delle 5 province coprendo una superficie di quasi 5mila km2 per un bacino di 778mila cittadini, poco meno di metà popolazione regionale. I finanziamenti arrivano inizialmente dalla norma sugli invasi e gli acquedotti in Legge di Bilancio 2018, a carico del Ministero delle Infrastrutture nel dopo terremoto del 2016, e ora beneficia anche di risorse dal PNRR e dal “Fondo per l’avvio di opere indifferibili”. 

    Al convegno di presentazione dell’opera hanno partecipato alcuni tra i maggiori esperti del settore, insieme a Fabrizio Curcio, capo Dipartimento Protezione Civiledetto. Erasmo D’Angelis, presidente della Fondazione Earth Water Agenda, sottolinea: “C’è un vuoto da colmare: quello della sicurezza delle infrastrutture idriche in zone sismiche. È un vuoto legislativo assurdo in un Paese sismico con le aree più rischiose, la Zona 1 a sismicità alta che comprendono 708 comuni, e la zona 2 a sismicità medio-alta che ne comprende altri 2.345, e con il resto dell’Italia che subisce i contraccolpi degli scivolamenti a valle di frane e smottamenti, che fanno rotolare anche reti di acquedotto e impianti di sollevamento e spinta che sono le prime ad essere colpite da un terremoto, e le ultime ad essere ricostruite”.

    A proposito dell'”Anello Acquedottistico Antisismico dei Sibillini”, D’Angelis osserva che si tratta di “un progetto apripista in Italia, dal valore di circa 500 milioni di euro, per un totale di estensione di reti tra completamento di schemi e interconnessioni tra i sistemi idrici del centro-sud della regione per quasi 300 km. Per la prima volta in Italia – dice il presidente di Ewa – le progettazioni della rete idrica in una zona sismica sono sorrette dall’inserimento di materiali, di tecniche di costruzione e di tecnologie di monitoraggio che permetteranno di far fronte a botte sismiche future in territori dove i terremoti provocarono anche sconvolgimenti idrologici, con scomparse di falde sotterranee e portate dei corsi d’acqua deviate o ridotte drasticamente – in alcuni casi, anche da 350 litri al secondo ad appena 85 o anche a zero – , e dove oggi la crisi climatica, che colpisce con l’assenza di neve e corsi d’acqua la cui portata sembra quella estiva, impone sistemi di interconnessione e razionalizzazione delle risorse idriche, permettendo scambi di risorsa tra aree nei momenti di crisi e l’individuazione di nuove fonti di approvvigionamento anche dal riuso. Tutta le rete di condotte sarà digitalizzata e un sistema di controllo avanzato e a distanza permetterà il suo controllo attraverso piattaforme con sistemi informatici, sensori, la topografica di precisione con laser scanner e georadar. Un bel messaggio per l’intero Paese”. LEGGI TUTTO

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    Un milione di ettari di bosco certificato, la metà è in Trentino-Alto Adige

    Le foreste non sono tutte uguali. Quelle italiane, dicono i dati del Corpo forestale dello Stato, continuano a crescere: ormai occupano oltre un terzo di tutta la superficie italiana, un bel segnale in termini di ripresa della natura. Però non tutti i boschi, in un rapporto di convivenza uomo-natura, ci danno le stesse garanzie: quelle che crescono senza una gestione, prive di controllo, sono più vulnerabili, ad esempio, ad incendi e frane e allo stesso tempo meno sostenibili per esempio in termini di filiera del legno.Ecco perché è importante che sempre più foreste italiane siano certificate e la buona notizia è che anche quelle con il “bollino” stanno aumentando sempre di più, arrivando ormai intorno a un milione di ettari. 

    Italy for climate

    In Toscana le foreste affondano le radici nella storia

    di Cristina Nadotti

    21 Marzo 2024

    Lo dice il nuovo rapporto Pefc 2024 che Green&Blue ha visto in anteprima: dai dati dell’ente certificatore delle foreste risulta infatti che lo scorso anno le foreste gestite in modo sostenibile sono aumentate del 5,9%, un dato importante, tale da portarci verso appunto “un milione di ettari che cambiano il Paese” dicono da Pefc. Nel dettaglio si parla di 980.611,54 gli ettari di superficie certificata Pefc con ben 115 nuove aziende di trasformazione, per esempio del legno, che hanno ottenuto la certificazione di catena di custodia, l’8,6% in più rispetto al 2022, aumento dettato dal fatto che i consumatori chiedono maggiori garanzie in termini di sostenibilità, per esempio sulla provenienza del legno.Decisamente positivo è poi l’incremento dei certificati sui servizi ecosistemici forestali, arrivato a +47%. In totale – con prevalenza soprattutto al nord e il Trentino-Alto Adige in testa – sono 14 le regioni con almeno un bosco certificato. Come spiega Marco Bussone, presidente Pefc Italia, “la diffusione della certificazione forestale è uno strumento decisivo per il contrasto al cambiamento climatico. Un milione di ettari di foreste certificati fanno bene al Paese. Le aziende stanno imparando ad essere sempre più sostenibili, creando delle filiere virtuose intorno alle loro attività e l’incremento dei servizi ecosistemici sta promuovendo un cambio prospettico che ci riguarda tutti, dal produttore al consumatore”.Anche perché, continua Bussone, “il benessere del cittadino si misura anche sul benessere del patrimonio forestale. La crisi climatica inoltre sta modificando in maniera sostanziale l’atteggiamento di consumatori e aziende, indirizzando le scelte verso alternative sostenibili e certificate. I risultati della certificazione Pefc in Italia – conclude Bussone – confermano questo trend, motivato anche dalla spinta indotta dalle istituzioni e dai criteri ESG sempre più al centro delle politiche pubbliche e private”.Scendendo nel dettaglio delle regioni, il Trentino-Alto Adige ospita oltre la metà di tutti i boschi certificati d’Italia (579mila ettari), al secondo posto si trova il Friuli Venezia Giulia (96mila ettari) e infine sul terzo gradino del podio si trova il Piemonte (poco più di 82mila).Fra le regioni in crescita la Toscana (35mila) e l’Emilia-Romagna (quasi 7mila) dove di recente il Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano ha ottenuto la certificazione per la gestione forestale sostenibile e responsabile. Bene anche Marche e Basilicata.Se invece si osservano le categorie produttive le imprese più certificate sono quelle produttrici di pannelli (297 aziende, con un aumento del +16,93% rispetto all’anno precedente) e poco dietro si trovano  le segherie (254).Infine, un dato curioso in termini di crescita: una forte spinta, anche nel voler ottenere la certificazione, arriva dal settore degli imballaggi in legno, con un aumento del +20,56% di aziende che hanno ottenuto il “bollino” Pefc. Fatto legato sia alla necessità di un nuovo packaging eco compatibile, sia a trovare misure per essere in linea con le scelte dell’Europa. LEGGI TUTTO

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    Il Libro Bianco 2024: troppo spreco in questa Italia spaccata in due

    Il 96,5% dell’acqua è salata. L’acqua dolce disponibile sulla terra è solo il 3,5 per cento, di cui l’1 per cento è potabile. Davvero poca. Nonostante questo, però ogni giorno nel mondo se ne sprecano migliaia di litri. L’allarme arriva da tutti i fronti: preoccupazioni ci sono sia per l’approvvigionamento per uso umano, che per l’agricoltura e la produzione di energia. E il peggio deve ancora venire, quando arriverà quest’estate che secondo le prime anticipazioni viene annunciata come “difficile” dal punto di vista climatico. 

    Blue Book

    Sprechiamo il 41% dell’acqua potabile. Perché è importante investire nel sistema idrico

    di Fiammetta Cupellaro

    22 Marzo 2023

    La Giornata Mondiale dell’Acqua è stata istituita proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’acqua “linfa vitale per l’umanità” come l’ha definita Antònio Guterres Segretario generale delle Nazioni Unite, ricordando che ci sono 2 miliardi di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e 3.6 miliardi (il 46 % della popolazione mondiale) che non ha a disposizione servizi igienico-sanitari in sicurezza. Uno dei suoi obiettivi principali di questa giornata è quello di “ispirare l’azione verso lo sviluppo sostenibile” e di ottenere “l’acqua per tutti entro il 2030”. 

    La siccità in Italia non è l’unico problema

     E se le best practices sono entrate nella vita quotidiana di molti italiani, il nostro Paese resta tra i più spreconi in Europa. Ne sprechiamo così tanta di acqua che secondo l’Istituto nazionale di Statistica in un anno si potrebbe soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di persone. Colpa non solo della siccità e delle vecchie infrastrutture che solo l’anno scorso hanno perso lungo il tragitto il 42% dell’acqua potabile, ma anche della burocrazia e di una non sempre buona gestione della risorsa più importante della terra.

    I dati

    Con l’emergenza idrica a rischio il 18% del Pil

    22 Marzo 2023

    Una situazione fotografata nei dettagli come ogni anno dal Blue Book 2024, monografia completa dei dati del Servizio idrico integrato, che verrà presentata questa mattina a Roma da Utilitalia per la Giornata Mondiale dell’Acqua e realizzata dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di The European House – Ambrosetti e con Istat, Ispra, Cassa Depositi e Prestiti, il Dipartimento della Protezione Civile e le Autorità di Bacino. Dossier in cui si quantifica i diversi modelli di gestione, il gap infrastrutturale e di investimento tra Nord e Sud e il grande problema dello spreco diventato ormai insostenibile davanti alla sfide dei cambiamenti climatici. 

    Un paese spaccato in due

    Al centro dell’analisi, le differenze tra Nord e Sud e, soprattutto, tra le diverse gestioni che coordinano tutta la filiera dell’acqua. Perché se gli investimenti realizzati in Italia nel settore idrico hanno raggiunto i 64 euro annui per abitante nel 2022 – in crescita rispetto al 2019 (quando era a 49 euro), del 94% dal 2012 – il Paese è comunque ancora lontano dalla media europea (a quota 82 euro) e il miglioramento della qualità del servizio segna una netta differenza tra Nord e Sud. Un gap dovuto alla diversa capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali, dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico.

    I dati

    Ogni anno sprechiamo 151 miliardi di litri di acqua con il cibo

    di redazione Green&Blue

    19 Marzo 2024

    Alcuni Comuni infatti gestiscono ‘in economia’ il servizio idrico, spesso restando a capo almeno di una delle attività di acquedotto, fognatura e depurazione (oppure di tutte, dove il servizio è integrato). Un sistema applicato in 1.465 Comuni (il 20 per cento rispetto al dato nazionale) pari a circa 7,6 milioni di abitanti serviti. L’80 per cento di queste gestioni in economia interessa il Sud Italia. Non senza conseguenze sul tipo di servizio che viene offerte ai cittadini. Nel Nord la gestione industriale risulta più efficace.  

    La filiera idrica estesa vale quasi il 20% del PIL

     L’acqua è una risorsa sempre più preziosa per la vita dei cittadini così come per l’economia italiana: la filiera idrica estesa genera valore per 367,5 miliardi di euro, pari al 19 per cento dell’intero PIL nazionale, in crescita dell’8,7 per cento rispetto al 2021. Secondo gli ultimi dati del Libro Bianco 2024 “Valore Acqua per l’Italia”  oltre 341 miliardi di euro (+9,1 per cento sul 2021) sono impattati direttamente dall’acqua nei settori agricolo, industriale ed energetico. La filiera estesa dell’acqua coinvolge una vasta gamma di attività economiche, dalla produzione agricola alla manifattura idrovora, al settore energetico, toccando complessivamente 1,4 milioni di imprese agricole, circa 330.000 aziende manifatturiere e 10 mila imprese energetiche. L’impatto diretto, indiretto e indotto del settore porta un valore aggiunto di 16,5 miliardi di euro, attivando oltre 150 mila posti di lavoro.

    La giornata mondiale

    Acqua: una risorsa per la pace

    di Fiammetta Cupellaro

    21 Marzo 2024

    Le tariffe e gli impatti del PNRR

     Dal Blue Book emerge che negli ultimi anni si è assistito ad una crescita delle tariffe del servizio idrico di circa più 5 per cento annuo, anche se quelle italiane rimangono tra le più basse d’Europa. Il valore degli investimenti sostenuti dalla tariffa è aumentato fino a circa 4 miliardi l’anno. Il PNRR sta dando certamente un impulso significativo, grazie anche alle risorse aggiuntive derivanti dalla recente rimodulazione del Piano, che ha permesso di stanziare circa 1 miliardo di euro aggiuntivi, destinati alla riduzione delle perdite, oggi ancora elevate e mediamente pari a circa il 42 per cento dell’acqua immessa in rete. Il fabbisogno di settore è stimato in almeno 6 miliardi l’anno: serviranno dunque risorse aggiuntive pari a circa 0,9 miliardi di euro l’anno fino al 2026, e pari ad almeno 2 miliardi di euro l’anno dopo la chiusura del PNRR, per innalzare l’indice di investimento annuo e raggiungere i 100 euro per abitante, avvicinandosi così alla media di altri Paesi europei di dimensione simile all’Italia.  

    Davanti a tutto questo, non possiamo dunque più permetterci di considerare l’acqua una risorsa scontata. Ne abbiamo sempre meno e non è neanche più tempo di chiederci come usarla meglio di quanto facciamo ogni giorno, ma di invertire la rotta. E preservare il bene più prezioso che abbiamo. LEGGI TUTTO

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    I piani verdi dell’Europa rischiano di fermarsi con le prossime elezioni?

    Che clima ci sarà in Europa dopo il voto per il rinnovo del Parlamento di Bruxelles e Strasburgo? Le elezioni che si terranno in tutto il Continente tra il 6 e il 9 giugno affosseranno o consolideranno il Green deal, l’insieme di iniziative varate con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica? Sono interrogativi più che leciti, dopo le proteste degli agricoltori in molti Paesi Ue, dopo le perplessità sulla transizione ecologica di una parte del mondo imprenditoriale, e soprattutto dopo che in alcuni schieramenti politici cresce la tentazione di cavalcare a fini elettorali i movimenti contro l’Europa “verde”. Anche le manovre per la rielezione di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea hanno alimentato il timore che la tornata elettorale possa segnare un dietrofront sugli ambiziosi piani di tagli alle emissioni di gas serra.Nel presentare la sua candidatura per un secondo mandato, l’attuale presidente, espressione della Cdu tedesca e quindi del Partito popolare europeo, ha strizzato l’occhio all’ala destra del suo partito: “Ci siederemo al tavolo con ogni settore, per conciliare le ragioni ambientali con quelle dell’industria”. Ma ha aggiunto che “l’obiettivo resta quello della decarbonizzazione”.

    Le politiche

    Net zero: le sfide dell’Europa

    di Luca Fraioli, illustrazione di Massimiliano Aurelio

    02 Novembre 2023

    La Von der Leyen in questi cinque anni è stata accusata da parte del suo schieramento di aver implementato politiche di sinistra, di essersi quasi lasciata guidare dal gruppo socialista che aveva il suo massimo rappresentante in Frans Timmermans, a lungo vicepresidente esecutivo della Commissione e anima del Green deal europeo, prima di lasciare l’incarico per candidarsi premier in Olanda. Non a caso, il leader della Cdu Friedrich Merz ha fatto notare che “dopo che un vicepresidente ha lasciato il suo posto, abbiamo osservato cambiamenti essenziali”. In caso di rielezione della Von der Leyen, e ancor più se ci dovesse essere uno spostamento a destra del baricentro politico europeo, assisteremmo a cambiamenti ancor più essenziali nelle strategie climatiche di Bruxelles?

    Lotta all’inquinamento

    Ue, dopo le auto tocca a camion e bus: taglio del 90% delle emissioni di CO2 entro il 2040

    di Fiammetta Cupellaro

    19 Gennaio 2024

    “Bisogna uscire da questo schema in cui il Green deal diventa argomento di campagna elettorale”, risponde Luca Bergamaschi, cofondatore di Ecco, il Think tank italiano sul clima. “Tutti sanno, perfino il governo italiano, che il solco tracciato in Europa, ma anche in Cina o negli Usa, non ci permette di tornare indietro. Lo chiedono sia i cittadini che l’industria. Chiunque vincerà le europee, che sia di destra o di sinistra, dovrà rispondere a quella esigenza”. Concorda Enrico Giovannini, economista, ex ministro e ora direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. “Giorni fa abbiamo consegnato al presidente Mattarella il Quaderno Asvis che raccogli i diversi atti Ue in tema di sostenibilità. Se solo attuassimo tutto quello che è stato approvato da Bruxelles negli ultimi 5 anni sarebbe fantastico: la spinta è stata così forte che pensare di tornare indietro mi sembra complicato. Vorrebbe dire riaprire i dossier e andare in Parlamento a ricambiare tutto”.

    E i movimenti di protesta, come quelli degli agricoltori? “Chi li cavalca fa solo propaganda”, risponde Giovannini. “Mettiamoci invece dal punto di vista dell’Europa e chiediamoci: il mondo, rispetto a quattro anni fa, ha fatto passi nella direzione della transizione ecologica come modello di sviluppo oppure ha fatto passi indietro? Secondo me ha fatto passi avanti, tanto che Cop28 ha sposato, estendendola al mondo, la scelta che l’Europa ha fatto per prima. Il mondo non è tornato indietro e quindi le nostre imprese non possono pensare di competere a livello globale adottando i vecchi modelli”. Eppure una fetta dell’industria europea vuole porre un freno alle politiche green, magari affidando al futuro vicepresidente esecutivo della Commissione (l’erede di Timmermans) una delega alle attività produttive, anziché al clima. “Il tema è certamente all’ordine del giorno”, conferma Giovannini, “ma in questi anni abbiamo capito che le due cose, industria e clima, sono due facce della stessa medaglia. Se nella scorsa legislatura europea ci si è concentrati sulla regolamentazione e la riduzione delle emissioni, e ora non si decide di tornare indietro, nei prossimi cinque anni ci si potrebbe dedicare a definire politiche industriali che consentano alle imprese europee di produrre qui in modo sostenibile. Ma servono sostegni e incentivi”.

    L’intervista

    Gli agricoltori sono i più esposti ai danni del riscaldamento globale, ma le politiche green dell’Europa non sono il nemico

    di Luca Fraioli

    02 Febbraio 2024

    Molto naturalmente dipenderà dall’esito del voto. I sondaggi disponibili sembrano indicare che attualmente non ci sono maggioranze possibili senza il coinvolgimento di socialisti e liberali. E la Von der Leyen dovrà tenerne conto. La sua rielezione a presidente priverebbe la coalizione “semaforo” che governa a Berlino di un rappresentante della sua maggioranza: a maggior ragione Ursula dovrebbe farsi portatrice di istanze di socialisti e verdi tedeschi a Bruxelles. Non solo: tra i suoi sponsor c’è il premier polacco Donald Tusk, che non vuole scivolamenti a destra, dopo aver relegato all’opposizione in patria i Pis di Mateusz Morawiecki.

    “Ma aldilà della nomina del presidente, il vero momento cruciale ci sarà quando, a settembre, i candidati commissari verrano auditi dal Parlamento europeo, che li potrà bocciare”, spiega Bergamaschi. “Lì si vedrà la direzione che prenderà l’Europa”. Le manovre sono iniziate da tempo: il premier spagnolo Sanchez, per esempio, pare vorrebbe sostituire l’attuale Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Josep Borrell, con Teresa Ribera nella posizione che era stata di Timmermans. D’altra parte, alla Cop28 di Dubai del dicembre scorso la ministra spagnola per la Transizione ecologica aveva già abbondantemente rubato la scena all’Inviato speciale Ue per il clima Wopke Hoekstra.

    Può darsi, come auspica Enrico Giovannini, che gli eccessi anti-Green deal della campagna elettorale siano solo propaganda e che una volta chiusi i seggi si continuerà nel solco tracciato. Tuttavia la preoccupazione per un dietrofront o anche solo per una frenata nelle politiche climatica preoccupa gli scienziati. “Vogliamo inviare una lettera aperta alle famiglie politiche europee in vista delle prossime elezioni”, spiega Antonello Pasini, fisico dell’atmosfera al Cnr e promotore dell’iniziativa che coinvolge le principali società scientifiche europee sul clima, a cominciare dalla European Climate Research Alliance (Ecra). “Invitiamo tutta la politica a prestare attenzione alla crisi climatica: se non la si affronta non ci saranno poi le risorse per attuare le diverse visioni del mondo di cui ciascun partito si fa portatore”, continua Pasini. “Noi scienziati non vogliamo sostituirci ai politici, ma dar loro strumenti quantitativi ed efficaci per affrontare seriamente il cambiamento climatico. Poi ciascuna forza politica potrà scegliere quello che meglio si adatta al suo sistema di valori. Il clima non ha colore politico, ma ogni sistema valoriale sarà danneggiato dall’inazione: dalle disuguaglianze sociali alle dinamiche del mercato”.

    “Non mi aspetto un passo indietro sulla decarbonizzazione”, conclude Bergamaschi, “Ma si può discutere sulla direzione da prendere. Per esempio: è giusto puntare sul nucleare? Meglio una agricoltura sostenibile con tante piccole aziende o favorire le grandi aziende? Questo tipo di confronto politico sulla direzione da prendere lo trovo interessante. Resta però un problema di tempi: la scienza ci dice che dobbiamo agire in fretta. Ed è per questo che dopo il voto, chiunque sia al vertice dell’Europa dovrà dire chiaramente qual è la sua visione per i prossimi 5 anni”. LEGGI TUTTO

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    In Toscana le foreste affondano le radici nella storia

    Con 1 milione e 151mila ettari di superficie boscata, la Toscana è in proporzione la regione più verde d’Italia, terza, dopo Liguria e Trentino-Alto Adige, per coefficiente di boscosità. In pratica, il 50% del suo territorio è coperto da foreste ed è straordinaria anche la varietà del miliardo e mezzo di alberi censiti, con specie tra le quali spiccano querce, castagni, faggi, lecci e tante conifere, che vanno dai pini domestici e marittimi sulla costa fino agli abeti bianchi e rossi dell’Appennino. Ogni toscano può, in pratica, contare su 2.800 ettari di foreste e, soprattutto, su uno straordinario meccanismo di compensazione di CO2?, indispensabile per contrastare il cambiamento climatico e garantire ecosistemi resilienti e ricchi di biodiversità. “Tale ricchezza ha radici lontane – spiega il colonnello Giovanni Quilghini, comandante del Reparto Carabinieri Biodiversità di Follonica ed esperto del settore – perché storicamente l’economia della regione si è basata sullo sfruttamento di prodotti legnosi e non legnosi, da cui è derivata una pianificazione dei boschi. Il paesaggio lo mostra bene, con la grande dorsale di Pratomagno, una sorta di anti Appennino; vista dall’alto, da Massa Marittima all’interno, la Toscana è un mare di bosco ininterrotto, con zone di conservazione speciale di estremo rilievo insieme a zone coltivate e copertura forestale”. LEGGI TUTTO

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    Un progetto italiano punta a produrre carne dal legno, non solo da mangiare

    Plant-based, insetti commestibili, fermentazione microbica: sono tutte espressioni diventate ormai familiari da quando è iniziata la caccia alle proteine alternative. Parliamo di un mercato in costante crescita a livello globale che, secondo Boston Consulting Group, entro il 2035 raggiungerà il valore di 290 miliardi di dollari. Del resto, le proteine sono componenti indispensabili della nostra alimentazione e assicurarsi delle alternative a ridotto impatto ambientale rispetto a quelle di origine animale è diventato un aspetto di primo piano per le aziende e i consumatori più attenti alla sostenibilità.Su questo fronte anche in Italia la ricerca è molto attiva. Lo dimostra il progetto Meat from Wood, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Il team è guidato dal professor Marco Vanoni dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e comprende un’unità di ricerca coordinata da Elena Rosini del laboratorio The Protein Factory 2.0 dell’Università dell’Insubria, diretto dal professor Loredano Pollegioni. 

    Restituire valore a materiali di scarto

    Parole d’ordine del progetto sono sostenibilità e innovazione. L’obiettivo dei ricercatori è infatti quello di sviluppare nuovi processi biotecnologici che permettano di utilizzare in maniera efficiente biomasse rinnovabili e materiali di scarto disponibili a poco prezzo e in grandi quantità in Italia. In particolare, il progetto si propone di valorizzare la lignina, un sottoprodotto dell’industria cartaria poco utilizzato che viene solitamente bruciato per essere smaltito, e la crusca di frumento, un sottoprodotto della lavorazione agricola. 

    L’intento, come spiega Elena Rosini, è quello di sviluppare “una piattaforma di conversione sostenibile (enzimatica, che non richiede composti tossici e che avviene a temperatura ambiente) che, partendo da materiali di scarto, permetta di ottenere prodotti di alto valore come gli amminoacidi, ovvero i componenti base delle proteine”. In altre parole, gli scienziati vogliono sviluppare cellule batteriche contenenti tutti gli enzimi necessari per comportarsi come una sorta di “fabbrica” in cui la vanillina ottenuta dalla lignina o dalla crusca di frumento viene convertita in amminoacidi. 

    Per raggiungere tale obiettivo non si può prescindere da un approccio multidisciplinare ed è dunque necessaria l’integrazione di competenze tecnico-scientifiche diverse. “Il progetto Meat from Wood”, prosegue la ricercatrice di The Protein Factory 2.0, “prevede la sinergia tra il nostro gruppo di ricerca e quello coordinato dal professor Marco Vanoni dell’Università di Milano-Bicocca, combinando le rispettive competenze nell’ambito della biocatalisi e ingegneria delle proteine, e nell’ingegnerizzazione metabolica e nelle tecnologie di fermentazione. In particolare, verranno utilizzati strumenti bioinformatici per progettare e modificare specifiche vie metaboliche del ceppo batterico in fase di sviluppo, allo scopo di aumentare la produttività degli amminoacidi di nostro interesse”. 

    Non solo carne

    Dunque è davvero possibile produrre carne dal legno come suggerisce il nome del progetto? È vero, il risultato finale che si vuole ottenere sono sostanze biochimiche molto importanti ed estremamente utili come gli amminoacidi, che sono gli elementi costituitivi delle proteine (che a loro volta sono i componenti fondamentali della carne). Ma in realtà lo scopo del progetto non è rivolto specificamente alla produzione di carne. “Gli amminoacidi ottenuti con il nostro progetto, partendo da biomasse rinnovabili, potranno essere utilizzati (con gli adeguati controlli) nella preparazione di alimenti, ma si pensa in particolare a usi diversi, quali per esempio additivi ed esaltatori di sapidità”, precisa Elena Rosini. 

    L’ambito di applicazione non si limiterebbe soltanto all’uso alimentare. Nell’intenzione dei ricercatori, gli amminoacidi prodotti attraverso i processi messi a punto con Meat from Wood potranno essere utilizzati come ingredienti in diversi settori industriali (prodotti cosmetici, farmaceutici e medici), evitando di andare a recuperarli da materiali che sono invece adatti all’alimentazione umana e animale o, peggio, di produrli da materiali non rinnovabili. LEGGI TUTTO