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Un progetto italiano punta a produrre carne dal legno, non solo da mangiare

Plant-based, insetti commestibili, fermentazione microbica: sono tutte espressioni diventate ormai familiari da quando è iniziata la caccia alle proteine alternative. Parliamo di un mercato in costante crescita a livello globale che, secondo Boston Consulting Group, entro il 2035 raggiungerà il valore di 290 miliardi di dollari. Del resto, le proteine sono componenti indispensabili della nostra alimentazione e assicurarsi delle alternative a ridotto impatto ambientale rispetto a quelle di origine animale è diventato un aspetto di primo piano per le aziende e i consumatori più attenti alla sostenibilità.

Su questo fronte anche in Italia la ricerca è molto attiva. Lo dimostra il progetto Meat from Wood, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Il team è guidato dal professor Marco Vanoni dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e comprende un’unità di ricerca coordinata da Elena Rosini del laboratorio The Protein Factory 2.0 dell’Università dell’Insubria, diretto dal professor Loredano Pollegioni

Restituire valore a materiali di scarto

Parole d’ordine del progetto sono sostenibilità e innovazione. L’obiettivo dei ricercatori è infatti quello di sviluppare nuovi processi biotecnologici che permettano di utilizzare in maniera efficiente biomasse rinnovabili e materiali di scarto disponibili a poco prezzo e in grandi quantità in Italia. In particolare, il progetto si propone di valorizzare la lignina, un sottoprodotto dell’industria cartaria poco utilizzato che viene solitamente bruciato per essere smaltito, e la crusca di frumento, un sottoprodotto della lavorazione agricola. 

L’intento, come spiega Elena Rosini, è quello di sviluppare “una piattaforma di conversione sostenibile (enzimatica, che non richiede composti tossici e che avviene a temperatura ambiente) che, partendo da materiali di scarto, permetta di ottenere prodotti di alto valore come gli amminoacidi, ovvero i componenti base delle proteine”. In altre parole, gli scienziati vogliono sviluppare cellule batteriche contenenti tutti gli enzimi necessari per comportarsi come una sorta di “fabbrica” in cui la vanillina ottenuta dalla lignina o dalla crusca di frumento viene convertita in amminoacidi. 

Per raggiungere tale obiettivo non si può prescindere da un approccio multidisciplinare ed è dunque necessaria l’integrazione di competenze tecnico-scientifiche diverse. “Il progetto Meat from Wood”, prosegue la ricercatrice di The Protein Factory 2.0, “prevede la sinergia tra il nostro gruppo di ricerca e quello coordinato dal professor Marco Vanoni dell’Università di Milano-Bicocca, combinando le rispettive competenze nell’ambito della biocatalisi e ingegneria delle proteine, e nell’ingegnerizzazione metabolica e nelle tecnologie di fermentazione. In particolare, verranno utilizzati strumenti bioinformatici per progettare e modificare specifiche vie metaboliche del ceppo batterico in fase di sviluppo, allo scopo di aumentare la produttività degli amminoacidi di nostro interesse”. 

Non solo carne

Dunque è davvero possibile produrre carne dal legno come suggerisce il nome del progetto? È vero, il risultato finale che si vuole ottenere sono sostanze biochimiche molto importanti ed estremamente utili come gli amminoacidi, che sono gli elementi costituitivi delle proteine (che a loro volta sono i componenti fondamentali della carne). Ma in realtà lo scopo del progetto non è rivolto specificamente alla produzione di carne. “Gli amminoacidi ottenuti con il nostro progetto, partendo da biomasse rinnovabili, potranno essere utilizzati (con gli adeguati controlli) nella preparazione di alimenti, ma si pensa in particolare a usi diversi, quali per esempio additivi ed esaltatori di sapidità”, precisa Elena Rosini. 

L’ambito di applicazione non si limiterebbe soltanto all’uso alimentare. Nell’intenzione dei ricercatori, gli amminoacidi prodotti attraverso i processi messi a punto con Meat from Wood potranno essere utilizzati come ingredienti in diversi settori industriali (prodotti cosmetici, farmaceutici e medici), evitando di andare a recuperarli da materiali che sono invece adatti all’alimentazione umana e animale o, peggio, di produrli da materiali non rinnovabili.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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