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I piani verdi dell’Europa rischiano di fermarsi con le prossime elezioni?

Che clima ci sarà in Europa dopo il voto per il rinnovo del Parlamento di Bruxelles e Strasburgo? Le elezioni che si terranno in tutto il Continente tra il 6 e il 9 giugno affosseranno o consolideranno il Green deal, l’insieme di iniziative varate con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica? Sono interrogativi più che leciti, dopo le proteste degli agricoltori in molti Paesi Ue, dopo le perplessità sulla transizione ecologica di una parte del mondo imprenditoriale, e soprattutto dopo che in alcuni schieramenti politici cresce la tentazione di cavalcare a fini elettorali i movimenti contro l’Europa “verde”. Anche le manovre per la rielezione di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea hanno alimentato il timore che la tornata elettorale possa segnare un dietrofront sugli ambiziosi piani di tagli alle emissioni di gas serra.

Nel presentare la sua candidatura per un secondo mandato, l’attuale presidente, espressione della Cdu tedesca e quindi del Partito popolare europeo, ha strizzato l’occhio all’ala destra del suo partito: “Ci siederemo al tavolo con ogni settore, per conciliare le ragioni ambientali con quelle dell’industria”. Ma ha aggiunto che “l’obiettivo resta quello della decarbonizzazione”.

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La Von der Leyen in questi cinque anni è stata accusata da parte del suo schieramento di aver implementato politiche di sinistra, di essersi quasi lasciata guidare dal gruppo socialista che aveva il suo massimo rappresentante in Frans Timmermans, a lungo vicepresidente esecutivo della Commissione e anima del Green deal europeo, prima di lasciare l’incarico per candidarsi premier in Olanda. Non a caso, il leader della Cdu Friedrich Merz ha fatto notare che “dopo che un vicepresidente ha lasciato il suo posto, abbiamo osservato cambiamenti essenziali”. In caso di rielezione della Von der Leyen, e ancor più se ci dovesse essere uno spostamento a destra del baricentro politico europeo, assisteremmo a cambiamenti ancor più essenziali nelle strategie climatiche di Bruxelles?

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“Bisogna uscire da questo schema in cui il Green deal diventa argomento di campagna elettorale”, risponde Luca Bergamaschi, cofondatore di Ecco, il Think tank italiano sul clima. “Tutti sanno, perfino il governo italiano, che il solco tracciato in Europa, ma anche in Cina o negli Usa, non ci permette di tornare indietro. Lo chiedono sia i cittadini che l’industria. Chiunque vincerà le europee, che sia di destra o di sinistra, dovrà rispondere a quella esigenza”. Concorda Enrico Giovannini, economista, ex ministro e ora direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. “Giorni fa abbiamo consegnato al presidente Mattarella il Quaderno Asvis che raccogli i diversi atti Ue in tema di sostenibilità. Se solo attuassimo tutto quello che è stato approvato da Bruxelles negli ultimi 5 anni sarebbe fantastico: la spinta è stata così forte che pensare di tornare indietro mi sembra complicato. Vorrebbe dire riaprire i dossier e andare in Parlamento a ricambiare tutto”.

E i movimenti di protesta, come quelli degli agricoltori? “Chi li cavalca fa solo propaganda”, risponde Giovannini. “Mettiamoci invece dal punto di vista dell’Europa e chiediamoci: il mondo, rispetto a quattro anni fa, ha fatto passi nella direzione della transizione ecologica come modello di sviluppo oppure ha fatto passi indietro? Secondo me ha fatto passi avanti, tanto che Cop28 ha sposato, estendendola al mondo, la scelta che l’Europa ha fatto per prima. Il mondo non è tornato indietro e quindi le nostre imprese non possono pensare di competere a livello globale adottando i vecchi modelli”. Eppure una fetta dell’industria europea vuole porre un freno alle politiche green, magari affidando al futuro vicepresidente esecutivo della Commissione (l’erede di Timmermans) una delega alle attività produttive, anziché al clima. “Il tema è certamente all’ordine del giorno”, conferma Giovannini, “ma in questi anni abbiamo capito che le due cose, industria e clima, sono due facce della stessa medaglia. Se nella scorsa legislatura europea ci si è concentrati sulla regolamentazione e la riduzione delle emissioni, e ora non si decide di tornare indietro, nei prossimi cinque anni ci si potrebbe dedicare a definire politiche industriali che consentano alle imprese europee di produrre qui in modo sostenibile. Ma servono sostegni e incentivi”.

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Molto naturalmente dipenderà dall’esito del voto. I sondaggi disponibili sembrano indicare che attualmente non ci sono maggioranze possibili senza il coinvolgimento di socialisti e liberali. E la Von der Leyen dovrà tenerne conto. La sua rielezione a presidente priverebbe la coalizione “semaforo” che governa a Berlino di un rappresentante della sua maggioranza: a maggior ragione Ursula dovrebbe farsi portatrice di istanze di socialisti e verdi tedeschi a Bruxelles. Non solo: tra i suoi sponsor c’è il premier polacco Donald Tusk, che non vuole scivolamenti a destra, dopo aver relegato all’opposizione in patria i Pis di Mateusz Morawiecki.

“Ma aldilà della nomina del presidente, il vero momento cruciale ci sarà quando, a settembre, i candidati commissari verrano auditi dal Parlamento europeo, che li potrà bocciare”, spiega Bergamaschi. “Lì si vedrà la direzione che prenderà l’Europa”. Le manovre sono iniziate da tempo: il premier spagnolo Sanchez, per esempio, pare vorrebbe sostituire l’attuale Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Josep Borrell, con Teresa Ribera nella posizione che era stata di Timmermans. D’altra parte, alla Cop28 di Dubai del dicembre scorso la ministra spagnola per la Transizione ecologica aveva già abbondantemente rubato la scena all’Inviato speciale Ue per il clima Wopke Hoekstra.

Può darsi, come auspica Enrico Giovannini, che gli eccessi anti-Green deal della campagna elettorale siano solo propaganda e che una volta chiusi i seggi si continuerà nel solco tracciato. Tuttavia la preoccupazione per un dietrofront o anche solo per una frenata nelle politiche climatica preoccupa gli scienziati. “Vogliamo inviare una lettera aperta alle famiglie politiche europee in vista delle prossime elezioni”, spiega Antonello Pasini, fisico dell’atmosfera al Cnr e promotore dell’iniziativa che coinvolge le principali società scientifiche europee sul clima, a cominciare dalla European Climate Research Alliance (Ecra). “Invitiamo tutta la politica a prestare attenzione alla crisi climatica: se non la si affronta non ci saranno poi le risorse per attuare le diverse visioni del mondo di cui ciascun partito si fa portatore”, continua Pasini. “Noi scienziati non vogliamo sostituirci ai politici, ma dar loro strumenti quantitativi ed efficaci per affrontare seriamente il cambiamento climatico. Poi ciascuna forza politica potrà scegliere quello che meglio si adatta al suo sistema di valori. Il clima non ha colore politico, ma ogni sistema valoriale sarà danneggiato dall’inazione: dalle disuguaglianze sociali alle dinamiche del mercato”.

“Non mi aspetto un passo indietro sulla decarbonizzazione”, conclude Bergamaschi, “Ma si può discutere sulla direzione da prendere. Per esempio: è giusto puntare sul nucleare? Meglio una agricoltura sostenibile con tante piccole aziende o favorire le grandi aziende? Questo tipo di confronto politico sulla direzione da prendere lo trovo interessante. Resta però un problema di tempi: la scienza ci dice che dobbiamo agire in fretta. Ed è per questo che dopo il voto, chiunque sia al vertice dell’Europa dovrà dire chiaramente qual è la sua visione per i prossimi 5 anni”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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