11 Aprile 2024

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    Dal km zero alla doggy bag: 52 ristoranti sostenibili secondo TheFork

    “Il nostro sogno è riuscire a calcolare in tempo reale l’impatto ambientale prodotto da ogni singolo piatto o ristorante che appare su TheFork. Un calcolo che si può fare utilizzando gli strumenti messi a disposizione dall’Intelligenza artificiale, ma siamo ancora nella fase dei test. Ci arriveremo”. Elena Collini, brand manager dell’azienda che gestisce la popolare piattaforma di prenotazioni riservata alla ristorazione, è convinta che l’impegno di sostenere utenti e ristoratori verso la sostenibilità sia utile non solo all’ambiente, ma anche agli affari.”Fino a pochi anni fa termini come biologico e sostenibile erano una rarità: oggi invece l’attenzione all’ambiente da parte degli italiani è cresciuta notevolmente, soprattutto nell’ambito dell’alimentazione. Proprio per questo, TheFork, in occasione del Mese della Terra (in vista della Giornata della Terra, il 22 aprile) ha condotto un’indagine per comprendere come la tutela dell’ambiente e la sicurezza alimentare siano sempre più centrali nella ristorazione, sia per i clienti sia per i ristoratori”.Sì, perché analizzando le scelte di chi utilizza l’app, si è scoperto che negli ultimi due anni soprattutto la sostenibilità sta diventando un valore che fa preferire una struttura ad un’altra. Una scelta consapevole, considerando anche che quasi la metà degli utenti che hanno partecipato ad un sondaggio (44,2%) ha ammesso di leggere più di cinque recensioni prima di scegliere un ristorante “dimostrando un desiderio di avere informazioni dettagliate sulle pratiche green dei locali”, spiega ancora Elena Collini.

    Elena Collini, brand manager di TheFork durante la presentazione dei risultati del sondaggio  LEGGI TUTTO

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    Il nucleare italiano nella sfida al cambiamento climatico

    Il nucleare italiano scalda i reattori. Le condizioni per un ritorno in auge dell’energia atomica nel nostro Paese sembrano esserci tutte: un governo favorevole, la crisi del gas innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, l’urgenza di decarbonizzare la nostra economia entro il 2050, rinunciando il prima possibile ai combustibili fossili. Ed ecco allora che un mondo di business e competenze che si riteneva scomparso, dopo i due referendum “no nuke” del 1987 e del 2011, riemerge e prova a preparare la “rivincita”. Il prossimo appuntamento è a Pavia, lunedì 15 aprile: presso il Polo didattico del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università andrà in scena una giornata dal titolo “Il nucleare italiano nella sfida al cambiamento climatico”, promossa da iWeek.Con scienziati e aziende del settore si parlerà dello stato dell’arte della ricerca nel nostro Paese, tra reattori di IV generazione, piccoli reattori modulari, microreattori “ultrasicuri”, fusione a confinamento magnetico e fusione fredda. Ben sapendo però che in Italia gli ostacoli, più che tecnologici, sono di consenso sociale. Sempre più spesso i sondaggi (l’ultimissimo sarà presentato proprio lunedì a Pavia) indicano che un percentuale crescente di italiani si dice favorevole al nucleare. Resta da vedere se quegli stessi intervistati sarebbero poi pronti ad accogliere una vera centrale a pochi chilometri da casa. E così la vera sfida per i paladini dell’atomo rimane trasformare l’acronimo Nimby da “non nel mio giardino” a “nucleare nel mio giardino”. Se ne discuterà appunto nella giornata pavese, dove oltre alla tavola rotonda sulla ricerca scientifica ce ne saranno altre dedicate all'”impatto sull’economia e sulla società italiana del nucleare sostenibile”, alla “filiera italiana per il nucleare sicuro” e agli “scenari geopolitici”. Il sostegno del governo si materializzerà con gli interventi dei ministri Gilberto Pichetto Fratin e Matteo Salvini. 

    Parallelamente si muove anche l’Associazione italiana per il nucleare (Ain), guidata da Stefano Monti, ex dirigente dell’Agenzia atomica internazionale. Pochi giorni fa lo stesso Monti, nel corso di una audizione davanti alle Commissioni riunite Attività produttive e Ambiente della Camera, ha ricordato che “l’Ain da un anno ha proposto un paio di misure che darebbero benefici immediati rispetto alla decarbonizzazione entro il 2030: vale a dire partecipare ai programmi europei per lo sviluppo nucleare e abilitare le nostre industrie a partecipare alla costruzione di impianti all’estero”. Visto che “l’Italia fa ricorso all’energia elettrica da fonte nucleare, per il 16,5% della domanda totale nel 2023”, Monti sostiene la proposta di Federacciai, secondo cui l’Italia potrebbe “partecipare finanziariamente alla costruzione di impianti nucleari all’estero in cambio di energia carbon free a prezzi stabili”. 

    La politica, in cerca di soluzioni energetico-climatiche, resta in ascolto, anche se è difficile perfino per gli addetti ai lavori valutare le ricette proposte dai diversi protagonisti. Martedì scorso la responsabile dell’Eni per la fusione Francesca Ferrazza, nel corso di una audizione alla Commissione ambiente del Senato, ha annunciato che la stessa Eni prevede di realizzare la prima centrale nucleare a fusione industriale già nei primi anni Trenta. Un progetto ambizioso e risolutivo, ma sulla cui reale fattibilità in tempi così rapidi perfino molti fisici e ingegneri nucleari nutrono dubbi. 

    L’unica certezza è che parlare di nucleare in Italia non è più un tabù. Ed è forse proprio questo il primo obiettivo che i proatomo volevano centrare. LEGGI TUTTO

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    “I vestiti di Zara e H&M fatti con cotone che aumenta la deforestazione”, la denuncia di una ong contro il fast fashion

    Una moda sempre più dannosa per l’ambiente. Dopo una serie di accuse all’ultra fast fashion, settore della moda “usa e getta” che impatta profondamente a livello ambientale tanto che la Francia, per prima, ha deciso di imporre limiti e tasse, ora arrivano da parte di una organizzazione no profit anche pesanti accuse dirette a marchi del fast fashion come Zara e H&M. Un recente rapporto dell’ong britannica Earthsight chiamato “Fashion Crimes” ha infatti messo in luce soprattutto gli impatti legati alla deforestazione e l’accaparramento delle terre da parte dei grandi marchi. Secondo l’associazione tutti quei jeans, le felpe, i calzini, i pantaloncini e via dicendo che compriamo da H&M e Zara anche in Italia sarebbero infatti “collegati alla deforestazione illegale su larga scala, all’accaparramento di terre, alla violenza e alla corruzione” spiegano da Earthsight dopo un anno di investigazione relativa in particolare alla produzione brasiliana di cotone per l’esportazione.Per oltre dodici mesi i membri dell’organizzazione hanno analizzato immagini satellitari, registri di spedizione e sentenze dei tribunali, ma sono anche andati sotto copertura alle fiere commerciali globali con lo scopo di tenere traccia di “quasi un milione di tonnellate di cotone contaminato da alcune delle tenute più famose del Brasile fino ai produttori di abbigliamento in Asia che sono i fornitori dei due più grandi rivenditori di moda del mondo”.

    Inquinamento

    Nel deserto più arido del mondo c’è un’enorme discarica di vestiti usati

    di Matteo Grittani

    30 Novembre 2021

    Dal report ottenuto grazie alle informazioni raccolte è emerso come siano circa “800.000 le tonnellate di cotone contaminato riconducibili ad aziende produttrici di capi di abbigliamento popolari venduti anche in Italia”. Queste tonnellate di cotone sono per lo più provenienti da aziende, con sede nel Cerrado brasiliano, destinato poi ad industrie asiatiche che hanno prodotto 10 milioni di capi finiti in un anno nei principali negozi italiani di H&M (oltre 160 negozi in Italia) e Zara (oltre 330), ma anche in quelli di Bershka o Pull&Bear.Il cotone che Earthsight ha rintracciato “è stato certificato come sostenibile da Better Cotton (BC) e la maggior parte dei prodotti H&M e Zara sono realizzati con cotone BC.  Quasi la metà di tutta la BC proviene dal Brasile, più di qualsiasi altro Paese. BC è stata accusata più volte in passato di greenwashing, segretezza e mancata protezione dei diritti umani” spiegano dall’Ong. 

    Longform

    L’industria della moda può diventare sostenibile?

    di Vittorio Emanuele Orlando

    10 Marzo 2023

    Secondo l’associazione “BC ha avviato un’indagine in risposta ai risultati di Earthsight. Per coincidenza, le sue regole sono state aggiornate il 1° marzo, ma rimangono piene di lacune, conflitti di interessi e scarsa applicazione. Il cotone proveniente da terreni deforestati illegalmente prima del 2020 può ancora qualificarsi come ‘migliore’, anche se è stato rubato alle comunità locali” accusa il gruppo.Nel dettaglio l’indagine mostra come due gruppi brasiliani – Horita e SLC Agrícola – abbiano esportato migliaia di tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Quel cotone grezzo è stato lavorato da 8 produttori asiatici che hanno poi rifornito i grandi marchi che a loro volta si erano affidati, come certificazione etica, al sistema chiamato Better Cotton.  LEGGI TUTTO

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    Cozze e pesci d’allevamento monitorati da occhi hi-tech

    Le acque del golfo di Follonica saranno presto le più connesse e hi tech d’Italia: in questo tratto di mare da tremila ettari l’Ispra sta per installare nove sensori collegati a una wifi sottomarina. I ripetitori di questa rete saranno dei modem acustici collegati a una boa, che trasferirà a sua volta il segnale a terra. Perché un tale concentrato di tecnologia? E perché proprio qui? Il golfo di Follonica ospita uno dei più importanti poli di acquacoltura in Italia e l’Ispra, nell’ambito del progetto Mer (Marine ecosystem restoration) finanziato da fondi Pnrr, intende sperimentare proprio qui un sistema di monitoraggio che ha l’ambizione di diventare lo standard in tutta Italia nei prossimi anni.L’acquacoltura, cioè l’allevamento di pesci o molluschi in grandi gabbie o vasche in mare, è un settore in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano: secondo i dati Eurostat 2020 il nostro Paese produce il 94% delle vongole veraci, due terzi dei mitili e la metà degli storioni di provenienza europea. Tuttavia l’acquacoltura, che ha il pregio di diminuire la pressione sugli stock ittici nel mar Mediterraneo, è un settore che da una parte ha un impatto ambientale non trascurabile, dall’altro subisce – più della pesca in mare aperto – le conseguenze dell’inquinamento marino.

    L’intervista

    “Until the end of the world”, il lato oscuro dell’industria ittica. “Negli allevamenti di pesce c’è poco di green”

    di Marino Midena

    16 Febbraio 2024

    E proprio a questo serviranno i sensori che Ispra sta installando e che misureranno ossigeno, temperatura, torbidità, attività batterica, clorofilla e corrente: per misurare l’impatto degli allevamenti sulla qualità dell’acqua, ma anche per fare esattamente il contrario, cioè per capire se la qualità dell’acqua del mare può mettere a rischio la qualità della produzione, con potenziali conseguenze per la salute umana. I dati saranno a disposizione sia degli allevatori sia delle autorità di controllo. LEGGI TUTTO

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    Il libro ambientalista che ha ispirato la serie tv apocalittica “Il problema dei 3 corpi”

    Quanto rumore fa la Primavera silenziosa. Uscito nel 1962 e a sessant’anni dalla morte dell’autrice Rachel Carson (14 aprile 1964) il libro che è stato di ispirazione per il movimento ecologista globale sta oggi vivendo una nuova e inaspettata primavera: complice la serie di Netflix “Il problema dei tre corpi” tratta a sua volta dal romanzo di Cixin Liu, il libro della biologa statunitense al centro della serie tv sta oggi nuovamente scalando le classifiche. Nelle vendite online di qualche settimana fa era addirittura risultato tra i best seller più venduti a livello mondiale e primo in assoluto nelle categorie ambiente ed ecologia. Sarà perché nella serie televisiva quel tomo viene visto (nella Cina degli anni Sessanta) come “occidentale” e pericoloso, per quelle sue frasi come “in natura nulla esiste da solo” e le altre che ci mettono in guardia sui danni che gli esseri umani possono fare al Pianeta, ma in un anno di elezioni americane ed europee in cui la partita “green” e della transizione ecologica saranno fondamentali il ritorno prepotente di un libro che racconta (tra le tante cose) l’impatto dei DTT e dei pesticidi tanto da azzerare il canto degli uccelli e rendere silente la primavera, appare come uno squarcio di luce per i movimenti ambientalisti e in difesa degli animali.  LEGGI TUTTO