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Il nucleare italiano nella sfida al cambiamento climatico

Il nucleare italiano scalda i reattori. Le condizioni per un ritorno in auge dell’energia atomica nel nostro Paese sembrano esserci tutte: un governo favorevole, la crisi del gas innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, l’urgenza di decarbonizzare la nostra economia entro il 2050, rinunciando il prima possibile ai combustibili fossili. Ed ecco allora che un mondo di business e competenze che si riteneva scomparso, dopo i due referendum “no nuke” del 1987 e del 2011, riemerge e prova a preparare la “rivincita”. Il prossimo appuntamento è a Pavia, lunedì 15 aprile: presso il Polo didattico del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università andrà in scena una giornata dal titolo “Il nucleare italiano nella sfida al cambiamento climatico”, promossa da iWeek.

Con scienziati e aziende del settore si parlerà dello stato dell’arte della ricerca nel nostro Paese, tra reattori di IV generazione, piccoli reattori modulari, microreattori “ultrasicuri”, fusione a confinamento magnetico e fusione fredda. Ben sapendo però che in Italia gli ostacoli, più che tecnologici, sono di consenso sociale. Sempre più spesso i sondaggi (l’ultimissimo sarà presentato proprio lunedì a Pavia) indicano che un percentuale crescente di italiani si dice favorevole al nucleare. Resta da vedere se quegli stessi intervistati sarebbero poi pronti ad accogliere una vera centrale a pochi chilometri da casa. E così la vera sfida per i paladini dell’atomo rimane trasformare l’acronimo Nimby da “non nel mio giardino” a “nucleare nel mio giardino”. Se ne discuterà appunto nella giornata pavese, dove oltre alla tavola rotonda sulla ricerca scientifica ce ne saranno altre dedicate all'”impatto sull’economia e sulla società italiana del nucleare sostenibile”, alla “filiera italiana per il nucleare sicuro” e agli “scenari geopolitici”. Il sostegno del governo si materializzerà con gli interventi dei ministri Gilberto Pichetto Fratin e Matteo Salvini. 

Parallelamente si muove anche l’Associazione italiana per il nucleare (Ain), guidata da Stefano Monti, ex dirigente dell’Agenzia atomica internazionale. Pochi giorni fa lo stesso Monti, nel corso di una audizione davanti alle Commissioni riunite Attività produttive e Ambiente della Camera, ha ricordato che “l’Ain da un anno ha proposto un paio di misure che darebbero benefici immediati rispetto alla decarbonizzazione entro il 2030: vale a dire partecipare ai programmi europei per lo sviluppo nucleare e abilitare le nostre industrie a partecipare alla costruzione di impianti all’estero”. Visto che “l’Italia fa ricorso all’energia elettrica da fonte nucleare, per il 16,5% della domanda totale nel 2023”, Monti sostiene la proposta di Federacciai, secondo cui l’Italia potrebbe “partecipare finanziariamente alla costruzione di impianti nucleari all’estero in cambio di energia carbon free a prezzi stabili”. 

La politica, in cerca di soluzioni energetico-climatiche, resta in ascolto, anche se è difficile perfino per gli addetti ai lavori valutare le ricette proposte dai diversi protagonisti. Martedì scorso la responsabile dell’Eni per la fusione Francesca Ferrazza, nel corso di una audizione alla Commissione ambiente del Senato, ha annunciato che la stessa Eni prevede di realizzare la prima centrale nucleare a fusione industriale già nei primi anni Trenta. Un progetto ambizioso e risolutivo, ma sulla cui reale fattibilità in tempi così rapidi perfino molti fisici e ingegneri nucleari nutrono dubbi. 

L’unica certezza è che parlare di nucleare in Italia non è più un tabù. Ed è forse proprio questo il primo obiettivo che i proatomo volevano centrare.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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