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Cozze e pesci d’allevamento monitorati da occhi hi-tech

Le acque del golfo di Follonica saranno presto le più connesse e hi tech d’Italia: in questo tratto di mare da tremila ettari l’Ispra sta per installare nove sensori collegati a una wifi sottomarina. I ripetitori di questa rete saranno dei modem acustici collegati a una boa, che trasferirà a sua volta il segnale a terra. Perché un tale concentrato di tecnologia? E perché proprio qui? Il golfo di Follonica ospita uno dei più importanti poli di acquacoltura in Italia e l’Ispra, nell’ambito del progetto Mer (Marine ecosystem restoration) finanziato da fondi Pnrr, intende sperimentare proprio qui un sistema di monitoraggio che ha l’ambizione di diventare lo standard in tutta Italia nei prossimi anni.

L’acquacoltura, cioè l’allevamento di pesci o molluschi in grandi gabbie o vasche in mare, è un settore in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano: secondo i dati Eurostat 2020 il nostro Paese produce il 94% delle vongole veraci, due terzi dei mitili e la metà degli storioni di provenienza europea. Tuttavia l’acquacoltura, che ha il pregio di diminuire la pressione sugli stock ittici nel mar Mediterraneo, è un settore che da una parte ha un impatto ambientale non trascurabile, dall’altro subisce – più della pesca in mare aperto – le conseguenze dell’inquinamento marino.

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E proprio a questo serviranno i sensori che Ispra sta installando e che misureranno ossigeno, temperatura, torbidità, attività batterica, clorofilla e corrente: per misurare l’impatto degli allevamenti sulla qualità dell’acqua, ma anche per fare esattamente il contrario, cioè per capire se la qualità dell’acqua del mare può mettere a rischio la qualità della produzione, con potenziali conseguenze per la salute umana. I dati saranno a disposizione sia degli allevatori sia delle autorità di controllo.

“Se ad esempio viene fornito troppo mangime, i sensori avvisano l’allevatore, il quale può intervenire subito per ridurlo” spiega Giordano Giorgi, ricercatore di Ispra e coordinatore del progetto Mer. L’eccesso di mangime non è tanto un problema per la linea di pesci e molluschi ma per l’ambiente: troppi nutrienti concentrati in una porzione d’acqua relativamente piccola “possono creare uno sbilanciamento del sistema che, tra le varie conseguenze, può favorire un’eccessiva crescita di alghe“. Lo stesso discorso vale per gli escrementi dei pesci, la cui quantità è legata alla quantità di cibo che consumano: “È comunque un inquinamento organico, che in mare aperto non crea alcun problema ma con decine di migliaia di esemplari in un’area circoscritta sì”, continua Giorgi.

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Poi ci sono i vantaggi per gli allevatori e, di conseguenza, per i consumatori che portano in tavola cozze, mitili, orate o spigole di allevamento. Giorgi fa un altro esempio: “Se nelle vicinanze dello stabilimento c’è uno sversamento di sostanze potenzialmente pericolose, i sensori lo rilevano e l’allevatore può, ad esempio, spostare in una vasca a terra i lotti di cozze più esposti, facendoli depurare”.

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Le cozze e in generale tutti i molluschi hanno un’innata capacità di depurare l’acqua: ogni singolo esemplare di ostrica pulisce 200 litri d’acqua al giorno, una cozza almeno 50 litri e una vongola almeno 20 litri al giorno. Questa dote, però, è un’arma a doppio taglio perché depurando l’acqua, soprattutto le cozze assorbono le sostanze sgradite. Bisogna trovare il compromesso: gli allevatori cercano di ottenere esemplari di grandi dimensioni, che si sono nutriti in abbondanza filtrando molta acqua, ma dall’altra parte i molluschi devono rispettare tutti i parametri sanitari per escludere il passaggio di parassiti all’uomo. “Nel caso dei molluschi, anche spostare una gabbia di 100-200 metri può fare la differenza” continua il ricercatore di Ispra, ma per farlo occorrono analisi precise e circoscritte. L’obiettivo del progetto è trasferire questa tecnologia agli stabilimenti di tutta Italia.

I costi, secondo Giorgi, sono un problema relativo: “Anzitutto si tratta di una tecnologia che, con l’avanzare degli anni, diventa sempre più matura e meno costosa. Poi ogni allevatore farà i suoi calcoli: del resto non è detto che effettuare ogni volta i prelievi di persona, con una barca, sia un metodo più economico”.

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Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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