8 Aprile 2024

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    Davi Kopenawa, il leader degli indios dell’Amazzonia: “I cercatori d’oro sono tornati e non sappiamo più come difenderci”

    Ha lasciato la grande casa collettiva di Watoriki, ai piedi della Montagna del Vento, per incontrare ancora una volta “il popolo delle merci” e spiegare loro gli effetti devastanti degli invasori, in particolare dei garimpeiros, i cercatori d’oro. Non è il primo viaggio al di fuori dell’Amazzonia di Davi Kopenawa, sciamano e portavoce del popolo Yanomami il cui territorio, riconosciuto legalmente nel 1992 dopo estenuanti lotte, si estende tra il Brasile e il Venezuela.In questi giorni il leader della lotta per la protezione della foresta amazzonica, nato all’incirca nel 1956, è in Italia grazie all’associazione di Vittorio Veneto Il mondo di Tommaso di Claudio Corazza che ha invitato Kopenawa per tre giorni intensi di dibattiti a Venezia e cammini nel Bosco del Cansiglio. Mercoledì, grazie alla collaborazione con il vaticanista Raffaele Luise, Kopenawa andrà a Roma a incontrare Papa Francesco. “Avevamo iniziato a scriverci nel 2020 quando è scoppiata la pandemia” racconta Kopenawa, già insignito di numerosi riconoscimenti, come il Right Livelihood Award, considerato il Premio Nobel alternativo, assegnato nel 1989 a Survival International che lo ha condiviso con lo sciamano. “Se gli parlerò gli chiederò di aiutarci per fare pressione sul governo brasiliano affinché fermi gli invasori e le loro malattie come la tubercolosi e la malaria”. Lontano da casa Kopenawa indossa sempre il suo copricapo di piume colorate che rappresenta la bandiera degli sciamani e ricorda il ruolo incessante di mediatore tra il mondo del visibile e dell’invisibile.

    Biodiversità

    Il 47% della Foresta amazzonica è a rischio: entro il 2050 il punto di non ritorno

    di Luca Fraioli

    14 Febbraio 2024

    La voce di Kopenawa negli anni è diventata punto di riferimento in tutto il mondo grazie al sostegno di chi lo ha incontrato e ha condiviso le sue battaglie per la tutela dei popoli dell’Amazzonia, a partire da alcune amicizie decisive, nate quando era giovane. Ancora oggi al suo fianco ci sono la fotografa e attivista Claudia Andujar, considerata la mamma degli Yanomami per la sua tenacia e forza; l’antropologo Bruce Albert, coautore con Kopenawa dei primi libri tradotti in italiano per conoscere la storia degli Yanomami La caduta del cielo e Lo spirito della foresta, editi da nottetempo; Fiona Watson della ONG Survival International e Carlo Zacquini, missionario della Consolata, attivista per la prima campagna internazionale nel 1979 per il riconoscimento e la protezione del territorio Yanomami e ancora oggi suo braccio destro.

    L’incontro con Devi Kopenawa, sciamano e portavoce del popolo Yanomami, al Bosco del Cansiglio  LEGGI TUTTO

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    In Antartide 5.000 meteoriti all’anno persi a causa del cambiamento climatico

    In Antartide, le centinaia di migliaia di meteoriti che si stima siano sparsi nel continente e che devono ancora essere raccolti potrebbero presto andare perduti a causa del cambiamento climatico, e con loro le preziose informazioni che trasportano: lo scioglimento dei ghiacci li farà sprofondare ad un ritmo di circa 5.000 all’anno, rendendoli quindi inaccessibili. […] LEGGI TUTTO

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    Al via le celebrazioni della 54ma Giornata Mondiale della Terra delle Nazioni Unite

    In programma il 22 aprile per la 54esima Giornata mondiale della Terra centinaia di eventi tra concerti, talk show, laboratori didattici, attività sportive, concerti, street art e decine di attività dedicate all’innovazione, all’ambiente e alla cultura. Le iniziative della più importante manifestazione ambientale delle Nazioni Unite con miliardi di cittadini coinvolti nei 193 Paesi Membri, organizzata da Earth Day Italia e Movimento dei Focolari, sono state presentate in conferenza stampa a Palazzo Wedekind a Roma. 

    Le celebrazioni ufficiali dell’Earth Day si svolgeranno:

    Dal 18 al 21 aprile con il Villaggio per la Terra a Villa Borghese e sulla suggestiva Terrazza del Pincioa Roma, (inaugurato nel 2016 da Papa Francesco);  
    Dal 18 al 20 aprile si terrà il Festival dell’Innovability presso la Casa del Cinema a Roma; 
    Il 22 aprile in occasione della Giornata Mondiale della Terra si terrà #OnePeopleOnePlanet, The Multimedia Marathon, 16 ore di contenuti live dalla Nuvola di Fuksas, trasmessi in diretta su RaiPlay e Vaticannews.va. 

    Villaggio per la Terra

    Dal 18 al 21 aprile torna a Roma, a Villa Borghese, il Villaggio per la Terra  – appuntamento ormai storico di primavera che coinvolge studenti e famiglie da tutta Italia per vivere il piacere della natura, dello sport, della musica e della vita all’aria aperta. Circa 600 eventi, tutti gratuiti, organizzati da centinaia di organizzazioni della società civile e delle istituzioni, animeranno una grande festa nella splendida cornice della Terrazza del Pincio e del Galoppatoio di Villa Borghese.

    Impatta Disrupt, il Festival dell’Innovability

    Importante novità di quest’anno –  dal 18 al 20 aprile alla Casa del Cinema e sulla Terrazza del Pincio  –  Impatta Disrupt, il Festival dell’Innovability, pensato per celebrare anche la Giornata mondiale della Creatività e dell’Innovazione che le Nazioni Unite hanno voluto il giorno prima dell’Earth Day, proprio per invitare gli innovatori di tutto il pianeta a lavorare insieme per un futuro sostenibile. Al festival prenderanno parte membri del mondo delle istituzioni, della cultura e del panorama economico italiano. 

    #OnePeopleOnePlanet – The Multimedia Marathon

    Il 22 aprile sarà finalmente la Giornata Mondiale della Terra. Giunta alla 54ma edizione questa festa globale vede l’Italia in prima fila nella campagna #OnePeopleOnePlanet che dà il nome ad una maratona multimediale di 16 ore live dall’auditorium della Nuvola di Fuksas. Con lo slogan “Torna a battere il cuore per la Terra!” la maratona #OPOP giunge quest’anno alla sua quinta edizione grazie alla produzione Earth Day e alla diffusione internazionale sui canali RaiPlay e VaticanNews. A sostenere la promozione mondiale dell’evento saranno le reti social di Earth Day Networke del programma ambientale ONU Connect4Climate, organizzatore della Planet Week al G7 di Torino.  In serata dall’Auditorium della Nuvola sarà, inoltre, trasmesso in diretta su RaiPlay e su VaticanNews lo storico Concerto per la Terra di Earth Day Italia. A raccogliere il testimone lasciato dai tanti artisti che si sono battuti per un mondo più sostenibile, sarà Luca Barbarossa con la sua Social Band che dedicherà la serata al tema Pace e Ambiente insieme ad altri importanti artisti. 

    Verso il G7 di Torino

    Le celebrazioni italiane – già riconosciute dall’Earth Day Network di Washington come best case internazionale per la tutela del Pianeta e lo sviluppo di una forte coscienza ecologica – avranno quest’anno un ulteriore importante significato, diventando tappa iconica del G7 Clima, Energia e Ambiente di Torino (previsto dal 28 al 30 aprile). Nel capoluogo piemontese sono infatti in programma due eventi di alto valore simbolico dedicati al dialogo interculturale e intergenerazionale, sostenuti dalla Regione Piemonte e realizzati nello storico parco tecnologico sulle tecnologie per l’ambiente Environment Park:

    Pace e Ambiente 

    Da Gerusalemme a Torino un dialogo interculturale ed interreligioso con il coinvolgimento di leader religiosi e culturali da diverse aree del Pianeta insieme per indicare lo sviluppo sostenibile quale strada maestra per la costruzione di una pace solida e duratura. 

    Stati Generali dell’ambiente per i Giovani 

    In collaborazione con il MASE e il MIM i giovani universitari e degli ultimi anni delle scuole superiori di Roma e Torino, insieme ad una rappresentanza di loro coetanei dai 7 paesi del G7, parteciperanno a tavoli tematici per la stesura di un testo che sarà portato all’attenzione dei 7 Ministri dell’Ambiente impegnati per il G7. 

    Secondo Massimiliano Atelli, Capo di Gabinetto del ministero per lo Sport e i Giovani: “Si tratta di un evento che da molti anni catalizza l’attenzione delle nuove generazioni, in termini di idee e progettualità. Siamo molto favorevoli a eventi di questo tipo che hanno continuità nel tempo e che coinvolgono i giovani. In tal senso, è fondamentale renderli parte attiva di questo processo, per cui il Ministero intende supportare un’iniziativa che promuove l’impegno per la sostenibilità e la tutela dell’ambiente”.Per Mario Antonio Scino, Capo di Gabinetto del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica: “La Giornata della Terra sarà un prologo importantissimo al G7 che si svolgerà a Torino. Un fondamentale appuntamento per fare il tagliando al nostro pianeta e discutere di clima e energia, due elementi indissolubili che vanno di pari passo. Clima e ambiente sono al contempo un simbolo per lanciare un messaggio di pace verso la risoluzione dei conflitti”. 

    “Siamo alla 54ma edizione di una celebrazione che dovrebbe essere solo una grande festa vissuta per ricambiare insieme le infinite gioie che la natura ci dona. Ma purtroppo viviamo un tempo nel quale è diventato più urgente che mai fare delle scelte, prendere delle decisioni. Mai come oggi infatti, la sensibilità ambientale si è consolidata nell’opinione pubblica italiana e mondiale, ma stentiamo ancora a trasformare questa sensibilità in azione!  – È quanto ha spiegato Pierluigi Sassi, Presidente di Earth Day Italia  – Siamo alla vigilia del G7 Ambiente di Torino e le nostre iniziative sono state scelte come Flag Event per promuovere il dialogo tra culture e generazioni. Chiediamo a tutti gli operatori di pace di valorizzare questa importante occasione, per fare la differenza e dare il via ad una nuova stagione di comune impegno per la Pace e l’Ambiente”.

    Micaela Gelera, Commissario straordinario INPS, ha affermato che: “È un onore sostenere questo evento che è in linea con la missione dell’Istituto, ovvero raggiungere e portare avanti la coesione sociale e favorire la sostenibilità. In questo senso, l’INPS è diventato un hub di welfare unico in termini di prestazioni erogate e di dimensioni, parametrando le proprie attività sui bisogni dell’utenza e mettendo al centro le necessità dei cittadini”.

    Antonia Testa, Co-organizzatrice degli eventi celebrativi di Earth Day in Italia, ha sottolineato che: “I cardini che caratterizzano il Villaggio per la Terra sono la giustizia e la pace, la dignità e l’uguaglianza delle persone, il rispetto dell’ambiente e la capacità degli uomini di interagire per il bene comune. Assisteremo a una sinergia di centinaia di associazioni impegnate nella crescita sostenibile della società. Intendiamo soprattutto sostenere e dare voce ai giovani, ai loro sogni e alla loro determinazione. Sono certa che questi tavoli non saranno arene di parole al vento, ma piazze di incontro in cui i giovani saranno chiamati a mettersi in gioco e a sporcarsi le mani. Noi adulti siamo impegnati a fare in modo che il Villaggio per la Terra sia il loro altoparlante. Come Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, saranno presenti al Villaggio 140 studenti dei nostri corsi sanitari, in un’area denominata ‘Medicina a servizio del Pianeta’. Affinché il monito dell’enciclica Laudato sì possa realizzarsi è fondamentale mettere al centro la fraternità nelle relazioni, la condivisione e la gratuità come prassi nella vita quotidiana”. 

    “Come segretario della Fondazione Italia Digitale e ceo di Next4 siamo entusiasti di aver dato vita, insieme a Earth Day Italia, al Festival dell’Innovability. Le parole delle Nazioni Unite sottolineano in modo chiaro l’importanza di unire gli sforzi per favorire una transizione energetica e digitale del Paese. In tal senso, l’ONU ha voluto istituire la Giornata dell’Innovazione come preludio alla Giornata Mondiale della Terra come riconoscimento dell’importanza di promuovere una cultura dell’innovazione che possa guidare comportamenti e decisioni orientate verso un futuro più sostenibile”. Lo ha dichiarato Davide D’Arcangelo, Co-organizzatore del Festival Impatta Disrupt e Segretario Generale di Fondazione Italia Digitale. LEGGI TUTTO

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    Così gli ecosistemi di tundra e foresta boreale saranno stravolti tra 500 anni

    La foresta boreale, che copre gran parte del Canada e dell’Alaska, e le zone di tundra a nord di questa regione potrebbero essere tra le più colpite dai cambiamenti climatici nei prossimi 500 anni. Lo rivela uno studio, guidato da ricercatori delle università White Rose di York e Leeds, oltre che di Oxford e Montreal, e dell’ETH, in Svizzera, che ha utilizzato un modello climatico molto diffuso con diverse concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica per valutare l’impatto che i cambiamenti climatici potrebbero avere sulla distribuzione degli ecosistemi del pianeta fino all’anno 2500.La maggior parte dei modelli di previsione climatica arriva fino al 2100, ma i ricercatori sono interessati a esplorare proiezioni a più lungo termine che forniscano un quadro globale di quanto gli esseri umani, gli animali e le piante potrebbero doversi adattare ai cambiamenti climatici oltre il prossimo secolo, il che è importante in quanto gli alberi più longevi si adattano su scale di secoli piuttosto che di decenni.

    Biodiversità

    Fare pace con la natura, l’Onu premia i progetti di ripristino migliori

    di Cristina Nadotti

    13 Febbraio 2024

    La modellizzazione dei cambiamenti climatici su un periodo di 500 anni mostra che gran parte della foresta boreale, la più settentrionale della Terra e la più importante fonte di stoccaggio del carbonio e di acqua pulita, potrebbe subire un grave impatto, insieme alle regioni della tundra, arbusteti privi di alberi a nord della stessa foresta boreale che svolgono un ruolo significativo nella regolazione del clima del nostro pianeta.Le regioni della tundra hanno già visto la colonizzazione da parte di nuove piante di territori che un tempo erano troppo freddi per la loro sopravvivenza e, con il continuo riscaldamento del pianeta, si riduce la sua capacità di raffreddare il calore tropicale, respingendolo verso l’equatore. Ciò significa che se non si arresta rapidamente l’emissione di gas serra, ampie zone di alcuni dei Paesi più bollenti della Terra diventeranno troppo calde per essere facilmente abitate e si dovranno apportare notevoli cambiamenti alla vita quotidiana per potervi esistere.

    I ricercatori sottolineano che, anche se stiamo già iniziando a vedere animali e piante che migrano per cercare di adattarsi al cambiamento delle condizioni climatiche, questo fenomeno potrebbe intensificarsi in futuro. Come evidenziato dallo studio, alcune specie, come gli alberi, migrano molto più lentamente di quanto possano fare gli animali e gli esseri umani, per cui alcune specie vegetali andranno perse del tutto, minacciando la sopravvivenza degli ecosistemi attuali.

    Biodiversità

    Il 47% della Foresta amazzonica è a rischio: entro il 2050 il punto di non ritorno

    di Luca Fraioli

    14 Febbraio 2024

    Come spiega Christopher Lyon, del Dipartimento di Ambiente e Geografia dell’Università di York e del Leverhulme Centre for Anthropocene Biodiversity “è utile guardare oltre gli obiettivi delle Nazioni Unite per le emissioni di carbonio del 2030 e del 2050 e le previsioni dei modelli climatici del 2100, perché sappiamo che il cambiamento climatico non si fermerà lì”. La ricerca è pubblicata sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society B ed è finanziata in parte dal White Rose Collaboration Fund e dal Leverhulme Trust attraverso il Leverhulme Centre for Anthropocene Biodiversity. LEGGI TUTTO

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    Da sole 57 aziende sono responsabili dell’80% delle emissioni globali: la classifica

    Mentre i cittadini vengono bombardati da raccomandazioni sulle scelte sostenibili per l’ambiente, sulla necessità di impegnarsi per un mondo più green e unirsi alla lotta alla crisi climatica, c’è un dato impressionante che ci riporta con facilità alla realtà delle cose: la stragrande maggioranza delle emissioni globali di CO2, circa l’80%, è riconducibili a sole 57 società. Parliamo di Stati, entità pubbliche, oppure di partecipazioni statali e di industrie quasi tutte collegate a combustibili fossili come carbone, petrolio, gas e alla produzione di cemento.Quasi sessanta società che dall’Accordo di Parigi (2015) in poi  hanno continuato senza sosta ad emettere, alcune ampliando anche la propria produzione. Cinque dozzine di imprese – fra le quali anche l’Adnoc di cui il presidente della Cop28 è amministrato delegato, oppure l’italiana Eni – che hanno contribuito secondo i dati aggiornati del progetto Carbon Majors a impattare ulteriormente sul riscaldamento del Pianeta. 

    Economia

    Il Parlamento europeo: “Sanzioni alle aziende che fanno greenwashing”

    di Cristina Nadotti

    12 Marzo 2024

    Il rapporto pubblicato in questi giorni da InfluenceMap è un aggiornamento, rispetto agli ultimi dati del 2017, del progetto Carbon Majors, grande database di dati che tiene traccia della produzione di combustibili fossili e analizza le emissioni di 122 società considerate dei veri e propri “motori” della crisi climatica. Nell’Accordo di Parigi del 2015 i governi mondiali si erano impegnati a ridurre fortemente i gas serra attraverso politiche di decarbonizzazione eppure, dimostra il report, la maggior parte dei produttori di combustibili fossili ha aumentato sia la produzione sia le relative emissioni dal 2015 al 2022 rispetto agli anni precedenti all’Accordo.Nel dettaglio il 65% degli enti statali e il 55% delle aziende del settore privato hanno aumentato la produzione. Due le principali classifiche stilate grazie al database aggiornato. La prima riguarda la Top 10 degli “enti storici”, ovvero gli Stati e le aziende tracciati a livello di emissioni secondo i dati che vanno dal 1854 al 2022. LEGGI TUTTO

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    Copernicus: eccezionale esplosione di polvere sahariana, alte concentrazioni di PM10 in Europa

    Le previsioni sul particolato del Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) mostrano un trasporto di polveri sahariane su larga scala in Europa. L’ultimo episodio, in corso dal 6 aprile, ha portato ad alte concentrazioni di PM10 a livello del suolo nella penisola iberica e in alcune parti della Francia e della Germania. Questo evento arriva dopo […] LEGGI TUTTO

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    Quanto inquina la cremazione? Un addio insostenibile

    Sempre più diffusa, la pratica della cremazione inizia a destare preoccupazioni ambientali. A inizio 2022 ci pensò già il Consiglio di Stato a definire il forno crematorio “un’industria insalubre di prima classe” proprio come gli inceneritori di rifiuti, nell’ambito di un contenzioso tra una società privata, che voleva ampliare il numero di cremazioni annuali, e il Comune di Civitavecchia che voleva limitarle, dando ragione a quest’ultimo. Oggi è la Società italiana dei medici per l’ambiente (Isde) a pronunciarsi sul tema. Non per condannare la pratica in sé – ci tengono a sottolineare dall’associazione – ma per sollevare un problema: l’assenza di una normativa nazionale. Un’assenza pesante, in un Paese in cui ogni anno vengono cremate circa 250mila persone (oltre una su tre, dati 2021).

    Rinnovabili

    Cinquemila pannelli solari in un cimitero francese, 5 euro per far parte della CER

    di Cristina Nadotti

    14 Marzo 2024

    Come un inceneritore

    L’Isde ha espresso il suo parere in un position paper dove segnala come la combustione delle salme provochi l’emissione di monossido di carbonio, acido cloridrico, mercurio, ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili, metalli pesanti, diossine, policlorobifenili e particolato. Non solo: “Ulteriori sostanze pericolose per la salute possono derivare dalla combustione della bara e dei tessuti/abiti con i quali viene rivestita la salma”.Il paragone tra impianti di cremazione e inceneritori di rifiuti, fatto dal Consiglio di Stato nel 2022, è calzante anche secondo l’Isde. Agostino Di Ciaula, che dell’associazione è presidente del comitato scientifico, conferma infatti che “la tecnologia alla base è identica: un trattamento termico a temperature elevatissime. La differenza è che, a parità di emissioni, gli inceneritori sono molto regolamentati (e in ogni caso hanno un impatto ben documentato sulla salute e sull’ambiente), i crematori no”.

    Ambiente

    La bara bio e altri modi green per salutare il caro estinto

    di Mariella Bussolati

    30 Aprile 2022

    Leggi solo annunciate

    Di Ciaula spiega che mentre fino a pochi anni fa l’argomento era piuttosto marginale, oggi è sempre più rilevante perché è aumentato l’interesse degli italiani per la cremazione e, di conseguenza “anche le richieste di autorizzazione di nuovi impianti, oltretutto sempre più grandi. Tutto ciò in un contesto in cui manca una normativa organica a livello nazionale”.Un vulnus che, sostiene l’Isde, complica la vita a chi dovrebbe monitorare le emissioni e chiedere che vengano abbassate il più possibile. Il punto è: se non c’è una legge che le obbliga a costruire impianti più efficienti, perché le imprese – che hanno tutto l’interesse ad aumentare le cremazioni – dovrebbero investire in tecnologie green?Un dato, anzi una data, fornisce la misura esatta dell’oblio in cui è caduto l’argomento: il 2001. Risale a 23 anni fa la legge 130 “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri”, che prevedeva l’emanazione di un provvedimento interministeriale che non ha mai visto la luce. Un provvedimento che avrebbe dovuto definire le norme tecniche su come realizzare gli impianti di cremazione, stabilire dei limiti di emissione e persino quali materiali utilizzare per costruire le bare per la cremazione. 

    Pratiche ecologiche

    Cos’è l’acquamazione, l’alternativa sostenibile alla cremazione scelta da Desmond Tutu

    di Jaime D’Alessandro

    05 Gennaio 2022

    Le alternative

    L’aumento delle cremazioni è anche dovuto a un sostanziale via libera della Chiesa. Nel 2016 infatti la Congregazione per la dottrina della fede sostenne che, sebbene la sepoltura sia preferibile, in quanto il modo migliore per “esprimere la speranza nella risurrezione corporale”, la cremazione “non è di per sé contraria alla religione cristiana”. A oggi questa è l’unica alternativa alla sepoltura, almeno in Italia. All’estero infatti ci sono almeno altre due forme: una è la cosiddetta “cremazione ad acqua”, legalizzata alle isole Hawaii nel 2022, in cui il corpo viene sottoposto a una decomposizione accelerata attraverso l’immersione in un liquido alcalino per sei ore. Alla fine rimangono solo le ossa, che possono essere tritate e conservate in un’urna.

    Il caso

    Cos’è la “terramazione”, il compostaggio umano approvato in California

    21 Settembre 2022

    Poi c’è il “compostaggio umano” o “terramazione”, una diversa forma di sepoltura in cui i resti si trasformano in un terriccio fertile. L’idea è che da un cadavere possa nascere, ad esempio, un albero: nuova vita. Questo metodo, approvato anche in alcuni Stati degli Usa, prevede che il corpo venga avvolto da una miscela di materiali biologici che stimolano l’attività dei microrganismi, responsabili della decomposizione. Nel contenitore viene immesso sempre nuovo ossigeno per non far interrompere il processo. Dopo circa due mesi si tolgono le ossa e dopo qualche altra settimana il terriccio fertile è pronto. Pratiche che, però, non sono ammesse in Italia. LEGGI TUTTO

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    L’estrazione delle terre rare uccide le grandi scimmie africane

    Rame, litio, nickel, cobalto, elementi del gruppo delle terre rare: la domanda per l’estrazione di questi minerali aumenta giorno dopo giorno, data la loro funzione nel contesto della transizione energetica, come componenti fondamentali per la fabbricazione di batterie e apparecchiature elettroniche. Questa crescente domanda sta avendo un particolare impatto in Africa, continente che ospita circa il 30% delle riserve minerarie definite “critiche”, ossia dei giacimenti che contengono minerali di importanza cruciale. Ma secondo uno studio appena pubblicato su Science Advances, la continua attività di estrazione sta mettendo a rischio la sopravvivenza di almeno un terzo dei grandi primati africani: circa 180mila esemplari fra gorilla, bonobo e scimpanzé.

    “Attualmente, studi su altre specie suggeriscono che l’attività mineraria danneggia le scimmie attraverso l’inquinamento, la perdita di habitat, una maggiore pressione venatoria e la diffusione di malattie, ma si tratta di un quadro incompleto”, spiega Jessica Junker, prima autrice dello studio e ricercatrice presso l’organizzazione no-profit di conservazione Re:wild. “La mancanza di condivisione di dati da parte dei progetti minerari – prosegue – ostacola la nostra comprensione scientifica del reale impatto sulle grandi scimmie e sul loro habitat”. Secondo gli autori dello studio, infatti, l’impatto delle attività estrattive sui grandi primati potrebbe essere sottostimato a causa del fatto che le aziende minerarie al momento non hanno l’obbligo di rendere pubblicamente disponibili i dati sulla biodiversità raccolti nel corso delle attività di estrazione.Lo studio è stato condotto in 17 paesi africani e per ciascun sito di estrazione preso in esame i ricercatori hanno definito un’area di 10 chilometri e una di 50 chilometri di diametro per valutare, rispettivamente, gli impatti diretti e indiretti dell’attività mineraria sulle grandi scimmie. Fra quelli diretti ci sono ad esempio la perdita degli habitat e l’inquinamento luminoso e sonoro. Quelli indiretti includono la costruzione di nuove strade per rendere raggiungibili le miniere, spesso situate in aree prima lontane dall’attività umana, a chi troverà impiego nei progetti di estrazione. Questo avvicinamento fra esseri umani e specie selvatiche ha numerose conseguenze: gli animali vengono cacciati maggiormente e aumenta anche il rischio di trasmissione di malattie, sia dagli esseri umani verso gli animali che il contrario. 

    Biodiversità

    Buone notizie per la scimmia leonina: i “corridoi verdi” la stanno salvando

    di Sandro Iannaccone

    22 Novembre 2023

    Studiando la sovrapposizione geografica fra i siti di estrazione e le aree densamente popolate dalle grandi scimmie, i ricercatori hanno concluso che i paesi dell’Africa occidentale (Liberia, Sierra Leone, Mali, e Guinea) sono quelli maggiormente interessati dal fenomeno. In Guinea, in particolare, più di 23mila scimpanzé (circa l’83% della popolazione locale) potrebbero subire l’impatto diretto o indiretto delle attività di estrazione dei minerali. Inoltre, secondo i risultati dello studio circa il 20% delle aree dedicate all’attività di estrazione si troverebbe in corrispondenza dei cosiddetti “habitat critici”, ossia zone di cruciale importanza dal punto di vista della biodiversità, anche indipendentemente dalle grandi scimmie.

    “Le aziende che operano in queste aree dovrebbero disporre di adeguati schemi di mitigazione e compensazione per ridurre al minimo il loro impatto, cosa che sembra improbabile, dato che la maggior parte delle aziende non dispone di solidi dati di base sulle specie, necessari per informare queste azioni”, spiega Tenekwetche Sop, fra i responsabili del Database A.P.E.S. della IUCN SSC (International Union for Conservation of Nature – Species Survival Commission), un grande archivio di dati sulle popolazioni di grandi scimmie. “Incoraggiare queste aziende a condividere i loro preziosissimi dati sulle scimmie con il nostro database è un passo fondamentale verso la trasparenza delle loro attività. Solo attraverso questi sforzi di collaborazione possiamo valutare in modo completo la reale portata degli effetti delle attività minerarie sulle grandi scimmie e sui loro habitat”.Altro aspetto fondamentale, spiegano gli autori dello studio, è che l’impatto delle attività di estrazione si estende spesso ben oltre la durata del singolo progetto. Fatto, però, che non viene adeguatamente preso in considerazione. Le azioni di mitigazione e compensazione verrebbero infatti attualmente progettate per durare solo finché i progetti minerari sono attivi, mentre le conseguenze delle attività estrattive sulle grandi scimmie è spesso permanente. “L’abbandono dei combustibili fossili è positivo per il clima, ma deve essere messo in atto in un modo che non comprometta la biodiversità. Nella sua attuale versione potrebbe addirittura andare contro gli stessi obiettivi ambientali a cui miriamo”, conclude Junker: “Le aziende, i finanziatori e le nazioni devono riconoscere che a volte può essere più utile lasciare indisturbate alcune regioni per mitigare il cambiamento climatico e aiutare a prevenire future epidemie”. LEGGI TUTTO