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Davi Kopenawa, il leader degli indios dell’Amazzonia: “I cercatori d’oro sono tornati e non sappiamo più come difenderci”

Ha lasciato la grande casa collettiva di Watoriki, ai piedi della Montagna del Vento, per incontrare ancora una volta “il popolo delle merci” e spiegare loro gli effetti devastanti degli invasori, in particolare dei garimpeiros, i cercatori d’oro. Non è il primo viaggio al di fuori dell’Amazzonia di Davi Kopenawa, sciamano e portavoce del popolo Yanomami il cui territorio, riconosciuto legalmente nel 1992 dopo estenuanti lotte, si estende tra il Brasile e il Venezuela.

In questi giorni il leader della lotta per la protezione della foresta amazzonica, nato all’incirca nel 1956, è in Italia grazie all’associazione di Vittorio Veneto Il mondo di Tommaso di Claudio Corazza che ha invitato Kopenawa per tre giorni intensi di dibattiti a Venezia e cammini nel Bosco del Cansiglio. Mercoledì, grazie alla collaborazione con il vaticanista Raffaele Luise, Kopenawa andrà a Roma a incontrare Papa Francesco. “Avevamo iniziato a scriverci nel 2020 quando è scoppiata la pandemia” racconta Kopenawa, già insignito di numerosi riconoscimenti, come il Right Livelihood Award, considerato il Premio Nobel alternativo, assegnato nel 1989 a Survival International che lo ha condiviso con lo sciamano. “Se gli parlerò gli chiederò di aiutarci per fare pressione sul governo brasiliano affinché fermi gli invasori e le loro malattie come la tubercolosi e la malaria”. Lontano da casa Kopenawa indossa sempre il suo copricapo di piume colorate che rappresenta la bandiera degli sciamani e ricorda il ruolo incessante di mediatore tra il mondo del visibile e dell’invisibile.

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La voce di Kopenawa negli anni è diventata punto di riferimento in tutto il mondo grazie al sostegno di chi lo ha incontrato e ha condiviso le sue battaglie per la tutela dei popoli dell’Amazzonia, a partire da alcune amicizie decisive, nate quando era giovane. Ancora oggi al suo fianco ci sono la fotografa e attivista Claudia Andujar, considerata la mamma degli Yanomami per la sua tenacia e forza; l’antropologo Bruce Albert, coautore con Kopenawa dei primi libri tradotti in italiano per conoscere la storia degli Yanomami La caduta del cielo e Lo spirito della foresta, editi da nottetempo; Fiona Watson della ONG Survival International e Carlo Zacquini, missionario della Consolata, attivista per la prima campagna internazionale nel 1979 per il riconoscimento e la protezione del territorio Yanomami e ancora oggi suo braccio destro.

L’incontro con Devi Kopenawa, sciamano e portavoce del popolo Yanomami, al Bosco del Cansiglio 

“Ogni volta che parlo di quello che l’uomo bianco sta causando al nostro popolo e all’intera umanità, sempre più persone si uniscono alla mia battaglia che diventa anche la loro” racconta Kopenawa mentre cammina tra gli alti faggi del Bosco del Cansiglio, in una passeggiata guidata dallo scrittore Toio De Savorgnani. “Questo movimento collettivo, formato sempre di più anche da persone non indigene, mi dà la forza di continuare a parlare, come se ogni parola fosse un seme che spero attecchisca in chi mi ascolta”. Per questo Kopenawa ha deciso di trasmettere la sua storia nei libri. “Ho capito che gli uomini bianchi apprendono in questo modo e così, aiutato da Bruce, ho voluto raccontare il nostro rapporto con la foresta e la nostra stporia di invasioni. Spero che l’uomo bianco capisca che se distrugge noi, distruggerà anche l’intera specie umana”.

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Le due pubblicazioni, l’ultima realizzata dopo la mostra fotografica alla Fondazione Cartier a Parigi di Andujar, raccontano una storia di invasioni ed epidemie senza fine che Kopenawa continua a ripetere. Per gli Yanomami, Omama, colui che ha creato la foresta, ha nascosto appositamente sotto il suolo minerali e petrolio per non fare ammalare le popolazioni che ci abitano. Non a caso nella lingua Yanomami l’oro è indicato nella parola xavara, veleno. “I cercatori d’oro sono tornati e non sappiamo più come difenderci” spiega. “Dopo l’elezione di Lula è stato fatto qualcosa, ma poi la mancanza di personale ha ridotto sempre più gli interventi per la nostra protezione e siamo tornati a essere nuovamente minacciati”. Si stima che nel 2023 fossero circa 20 mila i cercatori d’oro nelle foreste dell’Amazzonia, tremila nel territorio Yanomami. I garimpeiros sono in prevalenza brasiliani, portoghesi, africani, giapponesi e cinesi. Entrano di nascosto nella foresta, scavano buche con pompe e altri materiali tagliando alberi e rendendo il terreno incoltivabile. Inoltre utilizzano il mercurio per trovare i metalli pregiati, avvelenano i corsi d’acqua e uccidendo così animali ed essere umani.

Kopenawa ricorda ancora oggi il terrore che aveva quando era piccolo degli uomini bianchi, conosciuti perché all’epoca il governo brasiliano voleva costruire una strada molto vicina alla comunità degli Yanomami e ad altre dell’Amazzonia. Quella è stata solo una delle forme di invasioni dei popoli indigeni. Un’altra è stata il tentativo di evangelizzazione che però non ha attecchito nella forma sperata, ma ha portato comunque altre malattie come il morbillo e la tubercolosi, contratta dallo stesso Kopenawa quando, per un periodo, lavorò come interprete con gli uomini bianchi. La rabbia di queste intrusioni continue lo ha portato a essere chiamato Kopenawa che vuol dire vespa, in riferimento a un mitico eroe Yanomami che difese il suo popolo.

“Sono diventato sciamano quando ho conosciuto la mia compagna Fatima perché suo padre mi ha iniziato, ma io so curare le persone dai mali della foresta e non dalle vostre malattie” racconta accennando in parte alla complessa cosmologia Yanomami che prevede che lo sciamano sia intermediario con gli xapiri, gli spiriti della foresta. “Gli anziani mi hanno detto di andare a parlare nel mondo della nostra condizione e così in alcuni periodi mi sposto, sempre sotto la loro protezione”.

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Kopenawa è consapevole che la sua generazione non vedrà quella che lui chiama la connessione con la foresta, ma spera nei giovani che secondo lui fin da piccoli sono già più coscienti della fragilità del Pianeta. “Mio figlio Dario e altri sanno usare il computer e sempre di più conoscono le modalità di rapportarci con il governo che utilizza i documenti per trattare” continua lo sciamano. “Utilizziamo il cellulare anche per diffondere la nostra cultura e gli scopi della nostra associazione Hutukara”.

Tutto è strumento per tentare di dialogare con chi sta devastando l’ambiente, dai cercatori d’oro a chi taglia gli alberi incurante del futuro del pianeta, dai coltivatori che sfruttano il terreno agli espropriatori di terre. “L’uomo bianco ha la mente corta nonostante il suo ingegno nel costruire oggetti che realizza incessantemente, ma senza saggezza” spiega dopo aver fatto una preghiera per la foresta in lingua Yanomami nel Bosco del Cansiglio. “Ognuno può fare qualcosa nel suo piccolo. Io sto percorrendo il cammino delle parole per difendere la foresta e chi ci abita”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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