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Così gli ecosistemi di tundra e foresta boreale saranno stravolti tra 500 anni

La foresta boreale, che copre gran parte del Canada e dell’Alaska, e le zone di tundra a nord di questa regione potrebbero essere tra le più colpite dai cambiamenti climatici nei prossimi 500 anni. Lo rivela uno studio, guidato da ricercatori delle università White Rose di York e Leeds, oltre che di Oxford e Montreal, e dell’ETH, in Svizzera, che ha utilizzato un modello climatico molto diffuso con diverse concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica per valutare l’impatto che i cambiamenti climatici potrebbero avere sulla distribuzione degli ecosistemi del pianeta fino all’anno 2500.

La maggior parte dei modelli di previsione climatica arriva fino al 2100, ma i ricercatori sono interessati a esplorare proiezioni a più lungo termine che forniscano un quadro globale di quanto gli esseri umani, gli animali e le piante potrebbero doversi adattare ai cambiamenti climatici oltre il prossimo secolo, il che è importante in quanto gli alberi più longevi si adattano su scale di secoli piuttosto che di decenni.

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La modellizzazione dei cambiamenti climatici su un periodo di 500 anni mostra che gran parte della foresta boreale, la più settentrionale della Terra e la più importante fonte di stoccaggio del carbonio e di acqua pulita, potrebbe subire un grave impatto, insieme alle regioni della tundra, arbusteti privi di alberi a nord della stessa foresta boreale che svolgono un ruolo significativo nella regolazione del clima del nostro pianeta.

Le regioni della tundra hanno già visto la colonizzazione da parte di nuove piante di territori che un tempo erano troppo freddi per la loro sopravvivenza e, con il continuo riscaldamento del pianeta, si riduce la sua capacità di raffreddare il calore tropicale, respingendolo verso l’equatore. Ciò significa che se non si arresta rapidamente l’emissione di gas serra, ampie zone di alcuni dei Paesi più bollenti della Terra diventeranno troppo calde per essere facilmente abitate e si dovranno apportare notevoli cambiamenti alla vita quotidiana per potervi esistere.

I ricercatori sottolineano che, anche se stiamo già iniziando a vedere animali e piante che migrano per cercare di adattarsi al cambiamento delle condizioni climatiche, questo fenomeno potrebbe intensificarsi in futuro. Come evidenziato dallo studio, alcune specie, come gli alberi, migrano molto più lentamente di quanto possano fare gli animali e gli esseri umani, per cui alcune specie vegetali andranno perse del tutto, minacciando la sopravvivenza degli ecosistemi attuali.

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Come spiega Christopher Lyon, del Dipartimento di Ambiente e Geografia dell’Università di York e del Leverhulme Centre for Anthropocene Biodiversity “è utile guardare oltre gli obiettivi delle Nazioni Unite per le emissioni di carbonio del 2030 e del 2050 e le previsioni dei modelli climatici del 2100, perché sappiamo che il cambiamento climatico non si fermerà lì”. La ricerca è pubblicata sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society B ed è finanziata in parte dal White Rose Collaboration Fund e dal Leverhulme Trust attraverso il Leverhulme Centre for Anthropocene Biodiversity.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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