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L’estrazione delle terre rare uccide le grandi scimmie africane

Rame, litio, nickel, cobalto, elementi del gruppo delle terre rare: la domanda per l’estrazione di questi minerali aumenta giorno dopo giorno, data la loro funzione nel contesto della transizione energetica, come componenti fondamentali per la fabbricazione di batterie e apparecchiature elettroniche. Questa crescente domanda sta avendo un particolare impatto in Africa, continente che ospita circa il 30% delle riserve minerarie definite “critiche”, ossia dei giacimenti che contengono minerali di importanza cruciale. Ma secondo uno studio appena pubblicato su Science Advances, la continua attività di estrazione sta mettendo a rischio la sopravvivenza di almeno un terzo dei grandi primati africani: circa 180mila esemplari fra gorilla, bonobo e scimpanzé.

“Attualmente, studi su altre specie suggeriscono che l’attività mineraria danneggia le scimmie attraverso l’inquinamento, la perdita di habitat, una maggiore pressione venatoria e la diffusione di malattie, ma si tratta di un quadro incompleto”, spiega Jessica Junker, prima autrice dello studio e ricercatrice presso l’organizzazione no-profit di conservazione Re:wild. “La mancanza di condivisione di dati da parte dei progetti minerari – prosegue – ostacola la nostra comprensione scientifica del reale impatto sulle grandi scimmie e sul loro habitat”. Secondo gli autori dello studio, infatti, l’impatto delle attività estrattive sui grandi primati potrebbe essere sottostimato a causa del fatto che le aziende minerarie al momento non hanno l’obbligo di rendere pubblicamente disponibili i dati sulla biodiversità raccolti nel corso delle attività di estrazione.

Lo studio è stato condotto in 17 paesi africani e per ciascun sito di estrazione preso in esame i ricercatori hanno definito un’area di 10 chilometri e una di 50 chilometri di diametro per valutare, rispettivamente, gli impatti diretti e indiretti dell’attività mineraria sulle grandi scimmie. Fra quelli diretti ci sono ad esempio la perdita degli habitat e l’inquinamento luminoso e sonoro. Quelli indiretti includono la costruzione di nuove strade per rendere raggiungibili le miniere, spesso situate in aree prima lontane dall’attività umana, a chi troverà impiego nei progetti di estrazione. Questo avvicinamento fra esseri umani e specie selvatiche ha numerose conseguenze: gli animali vengono cacciati maggiormente e aumenta anche il rischio di trasmissione di malattie, sia dagli esseri umani verso gli animali che il contrario. 

Biodiversità

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22 Novembre 2023

Studiando la sovrapposizione geografica fra i siti di estrazione e le aree densamente popolate dalle grandi scimmie, i ricercatori hanno concluso che i paesi dell’Africa occidentale (Liberia, Sierra Leone, Mali, e Guinea) sono quelli maggiormente interessati dal fenomeno. In Guinea, in particolare, più di 23mila scimpanzé (circa l’83% della popolazione locale) potrebbero subire l’impatto diretto o indiretto delle attività di estrazione dei minerali. Inoltre, secondo i risultati dello studio circa il 20% delle aree dedicate all’attività di estrazione si troverebbe in corrispondenza dei cosiddetti “habitat critici”, ossia zone di cruciale importanza dal punto di vista della biodiversità, anche indipendentemente dalle grandi scimmie.

“Le aziende che operano in queste aree dovrebbero disporre di adeguati schemi di mitigazione e compensazione per ridurre al minimo il loro impatto, cosa che sembra improbabile, dato che la maggior parte delle aziende non dispone di solidi dati di base sulle specie, necessari per informare queste azioni”, spiega Tenekwetche Sop, fra i responsabili del Database A.P.E.S. della IUCN SSC (International Union for Conservation of Nature – Species Survival Commission), un grande archivio di dati sulle popolazioni di grandi scimmie. “Incoraggiare queste aziende a condividere i loro preziosissimi dati sulle scimmie con il nostro database è un passo fondamentale verso la trasparenza delle loro attività. Solo attraverso questi sforzi di collaborazione possiamo valutare in modo completo la reale portata degli effetti delle attività minerarie sulle grandi scimmie e sui loro habitat”.

Altro aspetto fondamentale, spiegano gli autori dello studio, è che l’impatto delle attività di estrazione si estende spesso ben oltre la durata del singolo progetto. Fatto, però, che non viene adeguatamente preso in considerazione. Le azioni di mitigazione e compensazione verrebbero infatti attualmente progettate per durare solo finché i progetti minerari sono attivi, mentre le conseguenze delle attività estrattive sulle grandi scimmie è spesso permanente. “L’abbandono dei combustibili fossili è positivo per il clima, ma deve essere messo in atto in un modo che non comprometta la biodiversità. Nella sua attuale versione potrebbe addirittura andare contro gli stessi obiettivi ambientali a cui miriamo”, conclude Junker: “Le aziende, i finanziatori e le nazioni devono riconoscere che a volte può essere più utile lasciare indisturbate alcune regioni per mitigare il cambiamento climatico e aiutare a prevenire future epidemie“.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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