12 Marzo 2024

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    Case green dal 2030, cosa prevede la direttiva Ue per l’efficienza energetica

    Case nuove a emissioni zero. E per tutte le altre requisiti più stringenti di efficienza. La dibattuta svolta dell’Europa sulle emissioni degli edifici pubblici e privati incassa il sì finale del Parlamento europeo. Una direttiva dai vincoli più soft rispetto alla prima proposta di legge presentata da Bruxelles, che concede maggiore flessibilità ai 27 Stati […] LEGGI TUTTO

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    Il Parlamento europeo: “Sanzioni alle aziende che fanno greenwashing”

    Con 467 voti a favore, 65 contrari e 74 astenuti, il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione sulle nuove norme per le dichiarazioni ecologiche, che definiscono quali informazioni le aziende devono fornire per giustificare le proprie asserzioni di marketing a tema ambientale. Il prossimo passaggio saranno i negoziati interistituzionali sulla direttiva Green Claims, che integrerà la legislazione contro il greenwashing o ambientalismo di facciata, ma il fascicolo sarà seguito comunque dal nuovo Parlamento, dopo le elezioni europee che si terranno dal 6 al 9 giugno 2024.

    La direttiva sulle dichiarazioni ecologiche (in inglese appunto green claims) una volta approvata obbligherebbe le aziende a presentare prove a sostengo delle loro dichiarazioni di marketing ambientale prima di poter pubblicizzare i prodotti con definizioni quali “biodegradabili”, “meno inquinanti”, “a risparmio idrico” o “a base di materie prime biologiche”. I Paesi dell’Ue sarebbero chiamati a identificare i responsabili di tali verifiche per passare al vaglio l’uso di tali reclami, proteggendo gli acquirenti da pubblicità infondata e ambigua.

    Termini, sanzioni ed esenzioni per le microimprese

    Il Parlamento vuole che le dichiarazioni e le relative prove siano valutate entro 30 giorni, ma le dichiarazioni e i prodotti più semplici potrebbero beneficiare di una verifica più rapida o più semplice. Le microimprese non sarebbero coperte dalle nuove norme e le piccole e medie imprese beneficerebbero di un anno in più per conformarsi rispetto alle imprese più grandi.

    Le imprese che infrangeranno le regole potranno subire sanzioni, propongono i deputati, come l’esclusione temporanea dalle gare d’appalto pubbliche, la perdita dei propri ricavi e ammende pari almeno al 4% del loro fatturato annuo.

    Compensazione e rimozione del carbonio

    Secondo la posizione votata oggi, le dichiarazioni ecologiche basate esclusivamente su sistemi di compensazione del carbonio dovrebbero essere vietate. Le imprese potrebbero, tuttavia, menzionare le azioni di rimozione e compensazione delle emissioni di carbonio (in inglese offset) nei loro annunci, solo se hanno già ridotto il più possibile le loro emissioni e utilizzano tali sistemi solo per le emissioni residue. I crediti di carbonio dovranno essere certificati, come quelli stabiliti nell’ambito del quadro di certificazione per la rimozione del carbonio.

    Il Parlamento ha inoltre proposto che le dichiarazioni verdi sui prodotti contenenti sostanze pericolose saranno permesse per il momento, e sarà la Commissione a valutare prossimamente se debbano essere vietate del tutto.

    Il relatore della commissione per il mercato interno Andrus Ansip (Renew, EE) ha dichiarato: “Gli studi dimostrano che oltre il 50% delle dichiarazioni ambientali sono vaghe, fuorvianti o infondate. Non possiamo parlare di consumatori soddisfatti se ogni altra affermazione verde è falsa. Non possiamo parlare di parità di condizioni per i nostri imprenditori se alcuni attori di mercato stanno barando. Credo che la direttiva adottata oggi sia equilibrata: porterà chiarezza ai nostri consumatori ed è meno onerosa per i professionisti rispetto alla valutazione caso per caso.”

    Nel suo comunicato ufficiale l’Ue sottolinea che “nell’adottare questa relazione, il Parlamento risponde alle aspettative dei cittadini affinché l’Ue introduca un’etichettatura trasparente per tutti i prodotti in merito alla loro sostenibilità e impronta ambientale, e sensibilizzi le imprese e i cittadini su come comportarsi in modo più sostenibile, come indicato nelle proposte 5, paragrafi 1 e 8, delle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa. LEGGI TUTTO

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    I prezzi delle banane rischiano di aumentare per i costi del trasporto e la siccità

    Prodotte in più di 135 Paesi, le banane con i 19,1 milioni di tonnellate raccolte ogni anno è il frutto più popolare e il quinto prodotto agricolo più venduto al mondo. Nutrienti e facili da trasportare rappresentano una sicurezza alimentare per 400 milioni di persone. Famiglie che abitano nei paesi a basso e medio reddito per le quali è spesso anche una fonte di reddito essenziale. Nonostante sia così importante il settore delle banane per i Paesi in via di sviluppo spesso non sono loro a tenere le redini della filiera della produzione tantomeno dell’esportazione: basta pensare che il mercato delle banane vale oggi 10 miliardi di dollari all’anno. Quindi pur essendo un alimento base dell’alimentazione per milioni di persone è coinvolto in uno squilibrio di potere commerciale. Ed oggi deve affrontare tutte le altre sfide globali ambientali, economiche e sociali legate al cambiamento climatico. Alla siccità soprattutto. Se prima potevano i produttori godere di una stagione delle piogge che durava 5 o 6 mesi, negli ultimi anni è diminuita della metà e la prima conseguenza è la diffusione di parassiti. In particolare un fungo il Fusarium wilt Tropical Race 4 (TR4).  Per combatterlo si stanno facendo studi ed esperimenti in tutto il mondo. LEGGI TUTTO

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    Per gli scienziati l’ulivo più vecchio al mondo è in Libano

    Le notizie che carambolano tra i media, come quella appena pubblicata sulle colonne del New York Times, su ulivi che avrebbero oltre mille anni di età, ripropongono il tema della datazione accurata della storia degli alberi. Secondo J. Julio Camarero, dendrocronologo presso l’Istituto Pirenaico di Ecologia di Saragozza, in Spagna, il più antico ulivo del mondo è un grande esemplare già noto agli appassionati, che radica da lungo tempo in un villaggio del Libano settentrionale, per la precisione a Bshaaleh. 

    Il professor Camarero vicino a uno degli ulivi libanesi esaminati  LEGGI TUTTO

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    Neve e sci, aumentano impianti chiusi e neve artificiale. L’Appennino “verde” soffre sempre di più

    Non ingannino le forti nevicate delle ultime ore, quelle che hanno portato anche oltre un metro di neve sulle Alpi. Sebbene le ultime due settimane di piogge e neve in alta quota aiutino a colmare momentaneamente il deficit idrico, l’alta pressione in arrivo porterà di nuovo in molte zone di Italia sole e caldo con le nevi a bassa quota destinate a sciogliersi velocemente. Poi, anche se la speranza è quella che possano verificarsi eventi prolungati capaci di attenuare la siccità (come quella piemontese o siciliana), buona parte dello Stivale potrebbe ripiombare nel contesto che stiamo ormai imparando a conoscere: un territorio dove fa sempre più caldo in quota, con lo zero termico davvero alto, e dove nevica pochissimo rispetto al passato.

    Aumentano gli impianti sciistici chiusi

    Caratteristiche, queste ultime, che vengono tracciate all’interno dell’ultimo report di Legambiente, il dossier Nevediversa 2024, quello che descrive le condizioni delle nostre montagne e degli impianti sciistici, quest’anno in forte difficoltà soprattutto in Appennino, apparso in molte zone più verde che bianco anche d’inverno. 

    Il report “Nevediversa 2024”

    In tutta la Penisola quest’anno sono stati 177 gli impianti sciistici temporaneamente chiusi, + 39 rispetto al report precedente. Di questi 92 sull’arco alpino e 85, davvero tanti, sull’Appennino.
    Novantatré invece i comprensori aperti a “singhiozzo” (+ 9 rispetto allo scorso report), di cui ben oltre la metà (55) si trovano in Appennino.
    Crescono, secondo i dati Legambiente, anche le strutture dismesse: oggi in Italia sono 260, undici in più rispetto all’anno scorso, così come aumentano quegli impianti che per Nevediversa sono sottoposti a “accanimento terapeutico”; dove si insiste con iniezioni di denaro pubblico nonostante l’assenza di neve e condizioni: in totale sono 241 quelli censiti, + 33 unità. Oltre la metà, 123, si trovano sempre in Appennino.
    Più di altri è però il dato sulla crescita dei bacini idrici, usati per l’innevamento artificiale, a fornire una fotografia di quanto sta accadendo: sono sedici in più rispetto al precedente record (158 in tutto di cui 141 sulle Alpi).

    Sport invernali

    Quanto costa la neve artificiale, a noi e all’ambiente

    di Giulia Negri

    10 Febbraio 2024

    Milioni per impianti e innevamento artificiale

    In questo contesto complesso per poter mantenere l’economia della montagna legata allo sci il Ministero del Turismo lo scorso anno ha finanziato con 148 milioni di euro ammodernamenti di impianti di risalita e di innevamento artificiale. Fra questi, scrive Legambiente, “solo quattro milioni sono destinati alla promozione dell’ecoturismo”.

    Montagna

    Si può sciare senza pesare troppo sull’ambiente?

    di Giulia Negri

    20 Gennaio 2024

    A livello delle singole regioni tra quelle che hanno beneficiato di più sforzi per la neve artificiale ci sono Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana: tutte aree dove per i dati Arpa le temperature continuano a salire, rendendo chiaro come un futuro basato sullo sci sarà sempre più complesso. Eppure si continuano a spendere milioni nel tentativo di offrire i servizi necessari per lo sci.”Il trimestre appena terminato è stato l’inverno più caldo degli ultimi 70 anni con una media regionale di 4.5° C, quasi 3° C in più rispetto alla norma del trentennio di riferimento 1991-2020. Nonostante ciò, in Piemonte, dove i fondi erogati sono tra i più trasparenti e tracciabili, ammontano a 32.339.873 di euro i contributi previsti per il biennio 2023-2025 (contro i 29.044.956 di euro del biennio 2022-2024). Anche in Appennino la crisi climatica ha pesanti impatti. In Emilia-Romagna, ad esempio, la stagione 2023/24 è iniziata con 4milioni e 67mila euro stanziati dalla Regione per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve” scrive Legambiente.

    Sentieri profondi

    Matteo Righetto: sempre meno neve in montagna e il turismo invernale diventa insostenibile

    di Cristina Nadotti

    13 Gennaio 2024

    Secondo l’associazione ambientalista ci sono poi casi dove i finanziamenti ricadono sulle tasche dei cittadini nonostante, dall’opposizione dei comitati locali sino all’evidenza delle temperature, più fattori sconsiglino l’idea di proseguire su certi tipi di impianti. Esempi sono “il finanziamento a fondo perduto di 20 milioni di euro per il nuovo impianto di risalita verso il lago Scaffaiolo, un’infrastruttura osteggiata da associazioni e comitati locali” oppure in Toscana dove “è stato depositato lo Studio di fattibilità dell’impianto funiviario Doganaccia-Corno alle Scale con un costo del progetto ad oggi di circa 15.700.000 euro, di cui 5,7 milioni a carico dello Stato e 10 milioni a carico della Regione Toscana”. 

    “Servono più fondi, ma per il turismo dolce e riconvertire gli impianti”

    A partire da questo generale “quadro preoccupante” Legambiente chiede dunque  “un cambio di rotta a livello politico e territoriale, superando la pratica insostenibile dell’innevamento artificiale, lavorando ad una riconversione degli impianti e puntando ad un turismo invernale più sostenibile. Chiediamo al Governo Meloni che vengano stanziati più fondi per il turismo dolce in quota e che si prevedano azioni di mitigazione alla crisi climatica nelle aree montane, accompagnando i gestori degli impianti in questo percorso di riconversione, in coerenza con quanto previsto dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e il Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici di recente approvazione”.Esempi di questo tipo, di impianti smantellati e riutilizzati, ci sono già e sono ormai “arrivati a quota 31″ ma riguardano solo le Alpi e servirebbero più sforzi anche in Appennino.”I numeri in aumento degli impianti dismessi, aperti a singhiozzo, smantellati – soiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – rappresentano l’ennesimo campanello d’allarme di un turismo montano invernale sempre più in crisi a causa della crisi climatica e che deve avere il coraggio di andare oltre la neve sempre più rara e cara. La pratica dell’innevamento artificiale è, infatti, insostenibile e comporta ingenti consumi d’acqua, forte dispendio di energia, oltre alla realizzazione di più bacini per l’innevamento e quindi un consumo di suolo in territori di pregio naturalistico. Per questo è fondamentale che si avvii un cambio di rotta e una conversione verso un modello di turismo montano invernale più sostenibile in grado di andare oltre la monocultura dello sci in pista, tutelando al tempo stesso le comunità locali e chi usufruisce a livello turistico della montagna. Non si perda questa importante occasione, partendo dall’Appennino e dalle basse quote delle Alpi dove non ha più alcun senso la neve artificiale”.In questo, aggiunge Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, è necessaria una visione comune verso il futuro. “Da parte nostra  non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più un’obiezione contro la resistenza al cambiamento. Un inverno senza neve per questo mondo rischia di diventare un inverno senza economia e sbaglia chi continua a affermare “abbiamo sempre fatto così”. Come per altre industrie del secolo scorso occorre avviare un processo di transizione trasformando e diversificando, puntando ad un turismo sostenibile e dolce che rappresenta il futuro della montagna”. 

    Il caso “estremo” delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026

    Infine il report Nevediversa, oltre a tracciare i finanziamenti per salvare le stagioni sciistiche in varie regioni – dalla Valle D’Aosta dove la Monterosa Ski in un solo anno ha ricevuto oltre due milioni dalla regione sino al Veneto che ha investito quasi 3,3 milioni – fa il punto sulle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 a due anni dalla partenza. “La sostenibilità è un miraggio, la crisi climatica incombe con i suoi impatti, e poi ci sono i ritardi nei progetti e nell’avvio dei lavori, rialzi ed extra costi, gare deserte e offerte di impianti oltreconfine, ripiegamenti logistici su strutture più “light”, cantieri non ancora aperti e che con molta probabilità verranno completati a olimpiadi concluse con eredità pesanti per i territori e le loro comunità, oltreché per le casse pubbliche. Sono oltre 20 le opere più costose segnalate da Legambiente e che risultano finanziate con importo superiore ai 30 milioni di euro. Opere che si dovrebbero realizzare in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige” chiosa l’associaziooone ambientalista che da tempo parla di una sostenibilità fortemente insufficiente per le future gare a cinque cerchi. LEGGI TUTTO

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    Il Lazio della mobilità dolce per fermare l’inquinamento

    I veicoli elettrici impiegati dai Comuni, le aziende e le forze dell’ordine hanno iniziato a diffondersi ben prima che Tesla diventasse popolare. Lo sa bene Giovanni Zappia, titolare e fondatore di Exelentia, una fra le società leader nel settore della mobilità elettrica. Più di 10 anni fa negli Stati Uniti già spopolavano i cosiddetti Neighborhood Electric Vehicles (NEVs), ovvero piccoli quadricicli elettrici di prossimità urbana. “Ho pensato che questa sarebbe potuta essere l’idea giusta per risolvere i problemi della mobilità urbana delle nostre città, penso alla congestione del traffico, all’inquinamento ambientale e acustico, alla geomorfologia culturale del nostro territorio”, spiega Zappia. LEGGI TUTTO

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    La crisi del clima cambia le tradizioni: in Marocco hammam chiusi per la siccità

    In quel rito tradizionale fatto di profumi d’olio di argan e chiodi di garofano, di vapori e sospiri rilassanti, spesso ci si dimentica che l’elemento centrale è l’acqua. Senza acqua – come sta accadendo in un Marocco colpito ormai da una siccità che dura da quasi sei anni – è difficile pensare che il rituale dell’hammam, i bagni pubblici amati dai marocchini, possa continuare a lungo. Per questo il ministro degli Interni Abdelouafi Laftit già a fine gennaio ha ordinato un giro di vite, che oggi i walis (prefetti) di varie regioni hanno ormai ampliato a diversi territori, per limitare l’uso degli hammam: resteranno chiusi tre giorni a settimana, di solito lunedì, martedì e mercoledì.

    Lo scopo è ovviamente quello di non sprecare acqua: in questo rito per purificare corpo e mente infatti, di cui solitamente le donne usufruiscono durante il giorno mentre gli uomini la mattina presto o la sera, vengono consumati enormi quantitativi di risorse idriche. Secondo il ministero si parla in media di 140 litri per un uomo e  250 per una donna. Un hammam femminile equivarrebbe in pratica al consumo settimanale di otto famiglie nei villaggi più remoti del Marocco. Numeri che hanno costretto il governo a rivedere le politiche dei 12mila bagni del Marocco, così come a imporre misure simili a quelle ordinate nella vicina Spagna: limitazioni sul lavaggio auto, stop all’irrigazione degli spazi verdi o il riempimento delle piscine. La chiusura degli hammam, seppur solo per determinati giorni, in Marocco però ha un significato più profondo: la crisi del clima che ha portato a una perdurata siccità in varie zone dell’Africa sta infatti compromettendo quello che è un vero e proprio modo di socializzare, un luogo di incontri. Non solo: rappresenta anche una economia importante, con 200mila posti di lavoro diretti e indiretti, già messi alla prova in passato dalla pandemia.

    Crisi climatica

    Sicilia, Messico, Tenerife: è già emergenza idrica. Le misure e i rischi

    di Giacomo Talignani

    01 Marzo 2024

    Anche per questo le associazioni di proprietari e gestori di hammam hanno chiesto al ministro dell’Interno di riconsiderare quella che hanno definito una “ingiusta decisione” e a Casablanca, riportano le cronache locali, alcuni gestori stanno già sfidando i divieti. Altri invece propongono soluzioni: come vietare solo le docce, limitare gli orari, oppure far fare ai clienti la doccia a casa. Attualmente si stima che le acque di falda del Marocco possano coprire solo il 20% del fabbisogno e la speranza è che in primavera arrivino piogge adeguate per scongiurare un’ulteriore siccità. Come in Catalogna si stanno realizzando impianti di dissalazione dell’acqua, ma potrebbe non essere sufficiente ad affrontare una crisi che oggi tocca nel concreto soprattutto l’agricoltura.

    Tecnologia

    Pannelli solari per creare nuvole e portare la pioggia nel deserto: uno studio

    di Paolo Travisi

    23 Febbraio 2024

    Nel frattempo però la chiusura di tre giorni settimanali ha già in parte sconvolto la tradizione dell’hammam. Come racconta all’Ap una dipendente di un bagno pubblico di Rabat, Fatima Mhattar, essendo le aperture possibili solo nella parte finale della settimana molti clienti, temendo l’affollamento, evitano di conseguenza di frequentare questi luoghi. “Anche quando è aperto dal giovedì alla domenica, la maggior parte dei clienti evita di venire perché ha paura che sia pieno di gente” spiega Mhattar. Inoltre le restrizioni imposte dalla siccità stanno anche aumentando i divari sociali. Alcuni bagni restano infatti aperti per turisti e classi più facoltose in Comuni che hanno previsto delle eccezioni. Un altro problema riguarda poi determinate zone del Paese, come le città sulle montagne dell’Atlante: qui molti residenti usano gli hammam per riscaldarsi e le chiusure stanno risultando fortemente impattanti per la popolazione.

     Dato che alcune statistiche indicano come gli hammam incidono solo per il 2% sul consumo di risorse idriche, gli abitanti si chiedono ad esempio perché anziché chiudere i bagni non fare come la vicina Tunisia dove nel 2023 sono stati chiusi i rubinetti, per alcune ore, nei quartieri dove veniva utilizzata più acqua. Eppure c’è anche chi sostiene che lo stop all’uso degli hammam in determinati giorni aiuti le persone a prendere coscienza degli impatti della siccità e della crisi del clima. “Se c’è meno acqua, preferisco bere piuttosto che andare all’hammam” ha raccontato ad esempio  la 37enne marocchina Hanane El Moussaid,  frequentatrice abituale dei bagni, intervistata dall’Associated Press. Posizioni e punti di vista diversi in un Marocco dove oggi tutti hanno lo stesso problema: gestire una risorsa carente, l’acqua, fondamentale per la vita e le tradizioni del Paese. LEGGI TUTTO