in

Neve e sci, aumentano impianti chiusi e neve artificiale. L’Appennino “verde” soffre sempre di più

Non ingannino le forti nevicate delle ultime ore, quelle che hanno portato anche oltre un metro di neve sulle Alpi. Sebbene le ultime due settimane di piogge e neve in alta quota aiutino a colmare momentaneamente il deficit idrico, l’alta pressione in arrivo porterà di nuovo in molte zone di Italia sole e caldo con le nevi a bassa quota destinate a sciogliersi velocemente. Poi, anche se la speranza è quella che possano verificarsi eventi prolungati capaci di attenuare la siccità (come quella piemontese o siciliana), buona parte dello Stivale potrebbe ripiombare nel contesto che stiamo ormai imparando a conoscere: un territorio dove fa sempre più caldo in quota, con lo zero termico davvero alto, e dove nevica pochissimo rispetto al passato.

Aumentano gli impianti sciistici chiusi

Caratteristiche, queste ultime, che vengono tracciate all’interno dell’ultimo report di Legambiente, il dossier Nevediversa 2024, quello che descrive le condizioni delle nostre montagne e degli impianti sciistici, quest’anno in forte difficoltà soprattutto in Appennino, apparso in molte zone più verde che bianco anche d’inverno. 

Il report “Nevediversa 2024”

  • In tutta la Penisola quest’anno sono stati 177 gli impianti sciistici temporaneamente chiusi, + 39 rispetto al report precedente. Di questi 92 sull’arco alpino e 85, davvero tanti, sull’Appennino.
  • Novantatré invece i comprensori aperti a “singhiozzo” (+ 9 rispetto allo scorso report), di cui ben oltre la metà (55) si trovano in Appennino.
  • Crescono, secondo i dati Legambiente, anche le strutture dismesse: oggi in Italia sono 260, undici in più rispetto all’anno scorso, così come aumentano quegli impianti che per Nevediversa sono sottoposti a “accanimento terapeutico”; dove si insiste con iniezioni di denaro pubblico nonostante l’assenza di neve e condizioni: in totale sono 241 quelli censiti, + 33 unità. Oltre la metà, 123, si trovano sempre in Appennino.
  • Più di altri è però il dato sulla crescita dei bacini idrici, usati per l’innevamento artificiale, a fornire una fotografia di quanto sta accadendo: sono sedici in più rispetto al precedente record (158 in tutto di cui 141 sulle Alpi).

Sport invernali

Quanto costa la neve artificiale, a noi e all’ambiente

10 Febbraio 2024

Milioni per impianti e innevamento artificiale

In questo contesto complesso per poter mantenere l’economia della montagna legata allo sci il Ministero del Turismo lo scorso anno ha finanziato con 148 milioni di euro ammodernamenti di impianti di risalita e di innevamento artificiale. Fra questi, scrive Legambiente, “solo quattro milioni sono destinati alla promozione dell’ecoturismo”.

Montagna

Si può sciare senza pesare troppo sull’ambiente?

20 Gennaio 2024

A livello delle singole regioni tra quelle che hanno beneficiato di più sforzi per la neve artificiale ci sono Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana: tutte aree dove per i dati Arpa le temperature continuano a salire, rendendo chiaro come un futuro basato sullo sci sarà sempre più complesso. Eppure si continuano a spendere milioni nel tentativo di offrire i servizi necessari per lo sci.

“Il trimestre appena terminato è stato l’inverno più caldo degli ultimi 70 anni con una media regionale di 4.5° C, quasi 3° C in più rispetto alla norma del trentennio di riferimento 1991-2020. Nonostante ciò, in Piemonte, dove i fondi erogati sono tra i più trasparenti e tracciabili, ammontano a 32.339.873 di euro i contributi previsti per il biennio 2023-2025 (contro i 29.044.956 di euro del biennio 2022-2024). Anche in Appennino la crisi climatica ha pesanti impatti. In Emilia-Romagna, ad esempio, la stagione 2023/24 è iniziata con 4milioni e 67mila euro stanziati dalla Regione per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve” scrive Legambiente.

Sentieri profondi

Matteo Righetto: sempre meno neve in montagna e il turismo invernale diventa insostenibile

13 Gennaio 2024

Secondo l’associazione ambientalista ci sono poi casi dove i finanziamenti ricadono sulle tasche dei cittadini nonostante, dall’opposizione dei comitati locali sino all’evidenza delle temperature, più fattori sconsiglino l’idea di proseguire su certi tipi di impianti. Esempi sono “il finanziamento a fondo perduto di 20 milioni di euro per il nuovo impianto di risalita verso il lago Scaffaiolo, un’infrastruttura osteggiata da associazioni e comitati locali” oppure in Toscana dove “è stato depositato lo Studio di fattibilità dell‘impianto funiviario Doganaccia-Corno alle Scale con un costo del progetto ad oggi di circa 15.700.000 euro, di cui 5,7 milioni a carico dello Stato e 10 milioni a carico della Regione Toscana”. 

“Servono più fondi, ma per il turismo dolce e riconvertire gli impianti”

A partire da questo generale “quadro preoccupante” Legambiente chiede dunque  “un cambio di rotta a livello politico e territoriale, superando la pratica insostenibile dell’innevamento artificiale, lavorando ad una riconversione degli impianti e puntando ad un turismo invernale più sostenibile. Chiediamo al Governo Meloni che vengano stanziati più fondi per il turismo dolce in quota e che si prevedano azioni di mitigazione alla crisi climatica nelle aree montane, accompagnando i gestori degli impianti in questo percorso di riconversione, in coerenza con quanto previsto dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e il Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici di recente approvazione”.

Esempi di questo tipo, di impianti smantellati e riutilizzati, ci sono già e sono ormai “arrivati a quota 31” ma riguardano solo le Alpi e servirebbero più sforzi anche in Appennino.

“I numeri in aumento degli impianti dismessi, aperti a singhiozzo, smantellati – soiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – rappresentano l’ennesimo campanello d’allarme di un turismo montano invernale sempre più in crisi a causa della crisi climatica e che deve avere il coraggio di andare oltre la neve sempre più rara e cara. La pratica dell’innevamento artificiale è, infatti, insostenibile e comporta ingenti consumi d’acqua, forte dispendio di energia, oltre alla realizzazione di più bacini per l’innevamento e quindi un consumo di suolo in territori di pregio naturalistico. Per questo è fondamentale che si avvii un cambio di rotta e una conversione verso un modello di turismo montano invernale più sostenibile in grado di andare oltre la monocultura dello sci in pista, tutelando al tempo stesso le comunità locali e chi usufruisce a livello turistico della montagna. Non si perda questa importante occasione, partendo dall’Appennino e dalle basse quote delle Alpi dove non ha più alcun senso la neve artificiale”.

In questo, aggiunge Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, è necessaria una visione comune verso il futuro. “Da parte nostra  non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più un’obiezione contro la resistenza al cambiamento. Un inverno senza neve per questo mondo rischia di diventare un inverno senza economia e sbaglia chi continua a affermare “abbiamo sempre fatto così”. Come per altre industrie del secolo scorso occorre avviare un processo di transizione trasformando e diversificando, puntando ad un turismo sostenibile e dolce che rappresenta il futuro della montagna”. 

Il caso “estremo” delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026

Infine il report Nevediversa, oltre a tracciare i finanziamenti per salvare le stagioni sciistiche in varie regioni – dalla Valle D’Aosta dove la Monterosa Ski in un solo anno ha ricevuto oltre due milioni dalla regione sino al Veneto che ha investito quasi 3,3 milioni – fa il punto sulle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 a due anni dalla partenza. “La sostenibilità è un miraggio, la crisi climatica incombe con i suoi impatti, e poi ci sono i ritardi nei progetti e nell’avvio dei lavori, rialzi ed extra costi, gare deserte e offerte di impianti oltreconfine, ripiegamenti logistici su strutture più “light”, cantieri non ancora aperti e che con molta probabilità verranno completati a olimpiadi concluse con eredità pesanti per i territori e le loro comunità, oltreché per le casse pubbliche. Sono oltre 20 le opere più costose segnalate da Legambiente e che risultano finanziate con importo superiore ai 30 milioni di euro. Opere che si dovrebbero realizzare in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige” chiosa l’associaziooone ambientalista che da tempo parla di una sostenibilità fortemente insufficiente per le future gare a cinque cerchi.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


Tagcloud:

Il Lazio della mobilità dolce per fermare l’inquinamento

Per gli scienziati l’ulivo più vecchio al mondo è in Libano