11 Marzo 2024

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consigliato per te

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    Gli incendi controllati dall’uomo sono iniziati 11mila anni fa

    Una sostanziale influenza umana sul comportamento degli incendi nelle savane australiane è iniziata quasi 11.000 anni fa, secondo un’analisi degli strati di carbone nei sedimenti lacustri pubblicata su Nature Geoscience. Queste scoperte possono aiutarci a capire come gestire la crescente frequenza degli incendi selvaggi, dovuta ai cambiamenti climatici. Il fuoco è stato a lungo utilizzato […] LEGGI TUTTO

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    Un esperto italiano per scongiurare il disastro ambientale nel mar Rosso

    Dove c’è un relitto che minaccia l’ambiente, c’è lui. Luigi Alcaro, primo ricercatore dell’Ispra, fa parte del team di esperti che sta cercando di evitare il disastro ambientale nel mar Rosso. La Rubymar, colpita dai missili degli Houti yemeniti lo scorso 18 febbraio e affondata lo scorso due marzo, contiene oltre 200 tonnellate di carburante e 22mila di fertilizzanti. Sostanze che, a quanto risulta, finora sono rimaste rispettivamente nel serbatoio e nella stiva della portarinfuse che batte bandiera del Belize ma è di proprietà britannica. Alcaro è stato nominato dall’Emergency Response Coordination Centre della Commissione europea per supportare le autorità yemenite. Commissione Ue che si è mossa su spinta delle Nazioni Unite. Alcaro, tra gli altri casi, ha già fornito supporto per una petroliera affondata in Perù nel 2022 e una portacontainer che prese fuoco e colò a picco nello Sri Lanka nel 2021.

    L’obiettivo numero uno, spiega Alcaro che sta fornendo supporto a distanza, è quello di portare la nave a terra e svuotarla di tutto: combustibile e carico. Ma sotto il tiro degli Houti, questa è un’utopia: “A oggi non se ne parla, non ci sono le condizioni di sicurezza per svolgere un’operazione di questo tipo”. Tuttavia Alcaro, insieme agli altri esperti, sta ipotizzando una serie di interventi per capire anzitutto cosa sta succedendo alla nave, se il carico sta già uscendo e cosa accadrebbe (e dove) in caso di rottura di serbatoi e cisterne in un’area dove c’è una abbondante presenza di coralli e mangrovie.

    Anzitutto il carburante: “Duecento tonnellate di combustibile pesante (Fuel oil), più sessanta di diesel sono un carico importante ma non enorme: basta pensare che la Costa Concordia ne conteneva 2.200 al momento dell’incidente” spiega Alcaro, secondo il quale la priorità è capire “in che stato si trova il combustibile: secondo le schede di bordo dovrebbe essere solido perché il punto di fusione è a 27 gradi. Questa è una buona notizia perché, in caso di rottura del serbatoio, rimarrebbe lì sotto”. Ma l’informazione è tutta da verificare e purtroppo “nel passato è successo spesso che, quanto scritto dalle schede di bordo, sia stato smentito dai fatti”. Un precedente ingombrante è quello della Prestige affondata nel 2002 al largo della Galizia: “I documenti ufficiali sostenevano che il combustibile sarebbe rimasto allo stato solido alla temperatura di due gradi dei fondali atlantici dove è affondata: così la nave fu trainata al largo perché affondasse lì” ricorda Alcaro. Il resto della storia è vicenda nota: una marea nera che colpì tremila chilometri di coste spagnole, portoghesi e francesi. Ma come si fa a verificare un dato del genere? Analizzando la composizione chimico-fisica del combustibile. “Lo si potrebbe fare in due modi – continua l’esperto di Ispra – o recuperando un campione di olio direttamente dal relitto, con le questioni di sicurezza che questo comporta, oppure chiedere un campione al distributore che aveva rifornito la Rubymar”.

    Poi c’è il rischio legato alla perdita del carico di fertilizzanti. Che di fatto non costituiscono un inquinante pericoloso, ma comportano comunque un potenziale disastro ambientale. Se le sostanze fuoriuscissero lentamente, dice Alcaro, non ci sarebbero problemi. Se il rilascio avvenisse tutto insieme si potrebbe assistere a un “bloom algale”: “Se in un mare con pochi nutrienti, come il mar Rosso, si aggiungesse improvvisamente un’enorme quantità di nutrienti, si stimolerebbe la produzione massiva di fitoplancton”, cioè alghe unicellulari che, nel momento in cui muoiono, “abbassano il livello di ossigeno nell’acqua provocando la morte di tutti gli organismi che vivono in quella zona”. Ecco perché il team di esperti sta pensando anche alla possibilità di mandare dei robot sottomarini per conoscere lo stato della nave e alla ricerca di eventuali rotture delle cisterne. Un’ipotesi di misure di “monitoraggio speditivo” in campo: misurare il ph delle acque intorno al relitto. “Il mare ha un ph intorno a 8, mentre quei fertilizzanti di 4 – conclude Alcaro – con delle misurazioni potremmo capire se c’è già una perdita e di quali dimensioni”. LEGGI TUTTO

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    “Sciacallo dorato appeso nel Parco delle Dolomiti: un gesto di odio verso una specie non pericolosa”

    L’hanno trovato appeso al cartello di benvenuto al Parco delle Dolomiti Friulane a Claut in provincia di Pordenone. Uno sciacallo dorato usato come fosse un trofeo, un macabro trofeo. “È un animale tutelato da leggi che ne vietano la caccia e l’uccisione, quanto accaduto l’altro giorno a Claut è un attacco alla biodiversità del parco, ma anche una violazione delle norme in materia di protezione della fauna selvatica”, così Nicola Bressi, zoologo del Museo di storia naturale di Trieste che da mesi organizza incontri con la comunità locale proprio per spiegare “quanto la pericolosità dello sciacallo dorato sia pari a zero. Nei Balcani, dove è comune anche in branchi a ridosso dei centri abitati, non ha mai aggredito l’uomo”.Ma ora è caccia al responsabile, sulle cui tracce ci sono ora sia gli uomini della Guardia Forestale sia gli animalisti. Non solo, è stata messa a disposizione dall’Associazione italiana Difesa Animali e Ambiente una taglia di 1.500 euro. LEGGI TUTTO

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    Alla scoperta di nuove piante invasive grazie ai giardinieri

    Se ne occupano per mestiere: innaffiano, potano, tagliano, cambiano la terra, all’occorrenza trattano. Le piante sono pane quotidiano per i giardinieri, e proprio dalla loro grande esperienza di osservatori e gestori di diversi patrimoni botanici, è nata l’idea di alcuni ricercatori di sfruttarli come sentinelle per identificare potenziali specie invasive. Un team di scienziati della University of Reading e della Royal Horticultural Society ha indagato, infatti, grazie ad alcuni giardinieri britannici, la presenza di piante potenzialmente invasive tra quelle ornamentali solitamente maneggiate. Identificando “soggetti a rischio”, spiegano sulle pagine della rivista NeoBiota.I giardinieri, scrivono in apertura del loro articolo, sono tanti – solo in Gran Bretagna se ne stimano 30 milioni – e il loro lavoro potrebbe essere utile anche ai ricercatori. È con questo in mente che gli scienziati hanno condotto due survey per identificare attraverso giardinieri amatoriali e professionisti quelle piante che mostravano un comportamento più invasivo. Chiedere ai giardinieri di identificare le piante invasive infatti sarebbe stato fuorviante, scrivono gli autori, perché difficile sarebbe stato intendersi su cosa significasse invasivo. Lo scopo era piuttosto cercare di capire se, procedendo in questo modo, fosse possibile identificare piante ornamentali a rischio di diventare invasive. Così da capire dove vale la pena concentrare gli sforzi di ricerca, ha sottolineato al riguardo Tomos Jones della University of Reading, a capo dello studio. Un po’ come punta a fare il progetto simile Plant Alert, condotto dalla Botanical Society of Britain and Ireland and Coventry University, con cui i ricercatori hanno confrontato i loro risultati.

    Dalle due indagini sono emerse così degli indiziati speciali in Gran Bretagna, con tanto di riferimento puntuale delle zone di provenienza. In totale alla fine sono stati analizzate le risposte di 558 giardinieri, relativi alle segnalazioni di 251 taxa in totale. Gli scienziati si sono dunque concentrati ad analizzare il comportamento di queste piante, ovvero hanno osservato se queste fossero considerate invasive, naturalizzate o semplicemente sopravvissute (vive senza riprodursi) in Gran Bretagna e Irlanda. Ma hanno anche cercato di capire se le varie segnalazioni provenienti dai giardinieri locali riguardassero piante già segnalate come problematiche anche altrove. Procedendo in questo modo hanno identificato nove specie degne di attenzione, come la calla selvatica (Arum italicum), l’euforbia cipressina (Euphorbia cyparissias), la pelosella aranciata (Pilosella aurantiaca) o la pianta camaleonte (Houttuynia cordata).

    “I giardinieri hanno un ruolo fondamentale come ‘primo contatto’ con piante ornamentali con potenziale invasivo – si legge nello studio – perché l’orticoltura ornamentale è una delle principali vie o fonte stessa di introduzione di specie invasive a livello globale”. Il loro occhio attento, concludono i ricercatori, potrebbe aiutare a fermare nuovi possibili “invasori”. LEGGI TUTTO

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    L’Europa deve fare di più per il clima se vuole evitare conseguenze catastrofiche

    L’Europa deve fare di più per il clima per evitare conseguenze catastrofiche. È l’avvertimento lanciato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (Aea), secondo la quale l’Europa potrebbe trovarsi di fronte a situazioni “catastrofiche” se non prenderà le misure dei rischi climatici che deve affrontare, molti dei quali hanno già raggiunto un livello critico.

    Crisi climatica

    Nuovo record: febbraio 2024 il più caldo mai registrato nel mondo. Oceani bollenti

    di Luca Fraioli

    07 Marzo 2024

    “Il caldo estremo, la siccità, gli incendi boschivi e le inondazioni che abbiamo sperimentato negli ultimi anni in Europa peggioreranno, anche in scenari ottimistici di riscaldamento globale, e influenzeranno le condizioni di vita in tutto il continente”, ha scritto l’agenzia in un comunicato di presentazione del suo primo rapporto sulla valutazione dei rischi climatici in Europa. “Questi eventi rappresentano la nuova normalità”, ha insistito il direttore dell’Aea Leena Yla-Mononen durante un incontro con la stampa. “Dovrebbero anche essere un campanello d’allarme”.

    Lo studio elenca 36 grandi rischi climatici per l’Europa. Di questi, 21 richiedono un’azione più immediata e otto una risposta di emergenza. Tra questi, i principali sono i rischi per gli ecosistemi, soprattutto marini e costieri. Ad esempio, gli effetti combinati delle ondate di calore marine, dell’acidificazione e dell’esaurimento dell’ossigeno nei mari e di altri fattori antropici (inquinamento, pesca, ecc.) stanno minacciando il funzionamento degli ecosistemi marini, si legge nel rapporto. “Il risultato può essere una perdita sostanziale di biodiversità, compresi eventi di mortalità di massa”, aggiunge il rapporto.

    Crisi climatica

    Sicilia, Messico, Tenerife: è già emergenza idrica. Le misure e i rischi

    di Giacomo Talignani

    01 Marzo 2024

    Per l’Aea, la priorità è che i governi e le popolazioni europee riconoscano unanimemente i rischi e decidano di fare di più e più rapidamente. “Dobbiamo fare di più e avere politiche più forti”, ha insistito Leena Yla-Mononen. Tuttavia, l’agenzia ha riconosciuto i “notevoli progressi” compiuti “nella comprensione dei rischi climatici (…) e nella preparazione ad essi”.Per l’Aea, le aree più a rischio sono l’Europa meridionale (incendi, scarsità d’acqua e relativi effetti sulla produzione agricola, impatto del caldo sul lavoro all’aperto e sulla salute) e le regioni costiere a bassa quota (inondazioni, erosione, intrusione di acqua salata). L’Europa settentrionale non è comunque risparmiata, come dimostrano le recenti inondazioni in Germania e gli incendi boschivi in Svezia. LEGGI TUTTO

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    È nata in Campania l’app per guidare in modo sostenibile

    “Less energy, more business. Less emissions, more planet”. Come a dire: il risparmio economico può andare di pari passo con il rispetto del pianeta e il contrasto al climate change. Il claim di MinervaS, spin-off dell’università di Salerno, è chiaro. E da quando, nel piccolo polo universitario di Fisciano, è nata l’idea di tendere una mano alle aziende di trasporto, aiutandole a ridurre i costi di esercizio e l’impatto dei mezzi (in particolare camion e bus) con un’ottimizzazione dei consumi, il progetto ha bruciato le tappe. L’idea è semplice: una soluzione real-time per la riduzione ottimizzata dei consumi, adattabile ad ogni variazione di percorso, traffico e carico. Persino alla pendenza della strada, alle condizioni del meteo e a quelle psicofisiche del conducente. LEGGI TUTTO

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    Microplastiche e polistirolo, cibo per pesci e molluschi alla foce del Tevere

    Polistirolo e microplastiche sui fondali marini del Mar Tirreno, nell’area dove sfocia il fiume Tevere. È quanto hanno trovato i ricercatori dell’Università Tor Vergata di Roma che hanno setacciato quella porzione di mare che va dalla foce tiberina, compresa nel territorio di Fiumicino, fino a 6 km dalla costa. Lo studio interdisciplinare – condotto dai chimici del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dagli ecologisti del Dipartimento di Biologia – per la prima volta in Italia, ha utilizzato una tecnica che ha consentito di sviluppare un metodo quantitativo per l’identificazione e la quantificazione di microplastiche in sedimenti marini.

    Lo studio

    Nell’acqua in bottiglia migliaia di nanoparticelle di plastica

    di Pasquale Raicaldo

    11 Gennaio 2024

    I ricercatori hanno raccolto i campioni nell’area marina tra Fiumara Grande e Canale di Traiano a diverse distanze dalla costa, partendo da 300 metri, e a differenti profondità tra i 5 ed i 30 metri. In ognuno dei campioni è stata rilevata la presenza di polistirene in quantità differenti, con una media di 45 microgrammi per litro e picchi di 60. “Abbiamo eseguito i campionamenti in modo del tutto casuale, dopodiché i sedimenti sono stati analizzati utilizzando la spettroscopia di risonanza magnetica, una tecnica mai applicata prima in questo tipo di esperimento”, spiega Greta Petrella, chimica di Tor Vergata che insieme alla biologa Giulia Papini, è co-autrice dello studio pubblicato sulla rivista scientifica Marine Pollution Bullettin. LEGGI TUTTO

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    Squp, la startup romana che reinventa il gelato “plant-based”

    C’è una startup romana che sta mettendo mano a uno dei totem della gastronomia italiana: il gelato. In che modo? Reinventandolo in chiave “plant based” e dunque salutare. Si chiama Squp, è stata fondata da Emanuele Bianconi, Samuel Lonero e Roberto Tomei. Sviluppa e vuole in qualche modo portare anche nella gelateria la macro-tendenza globale della produzione basata su prodotti di origine completamente vegetale. Per ora si parte con tre gusti classici: cacao, pistacchio e nocciola. Ma altri – a base di acqua, realizzati con materie prime con di provenienza geografica specifica, selezionate attingendo a filiere certificate – ne arriveranno.Il loro gelato, assicurano, è un prodotto con una cremosità paragonabile a quella del gelato “vero”. Ma appunto la specificità è quella di essere realizzato al 100% a base vegetale, senza glutine e senza zuccheri aggiunti. Il tutto contenuto in un imballo composto al 100% da materiale riciclato. La vision di Squp è infatti quella di generare un impatto positivo nella vita delle persone attraverso il gelato, immaginando un futuro in cui il piacere incontri il benessere e la sostenibilità. La strada è dunque quella di offrire un’esperienza gustativa unica con i gelati plant-based senza zuccheri aggiunti, combinando ingredienti funzionali, un packaging eco-friendly e una filiera sempre più sostenibile, ridefinendo il piacere del gelato e rendendolo accessibile a tutti. Per ora il modo migliore è ordinarli a domicilio su Roma, dove vengono consegnati a temperatura controllata con camioncini refrigerati o cargo bike attrezzate. Ma sarà sempre più semplice individuarli nei supermercati, anche di grandi insegne.

    Alimentazione

    Piccoli cambiamenti nella dieta possono ridurre l’impronta di carbonio del 25%

    di redazione Green&Blue

    01 Marzo 2024

    “Le mutate condizioni di mercato e le esigenze dei consumatori moderni consigliano un cambio di rotta anche per quello che è considerato il prodotto guilty pleasure per eccellenza del periodo estivo – spiega Emanuele Bianconi – l’obiettivo di Squp è quello di inserirsi in questo scenario, generando un impatto positivo nella vita delle persone attraverso il gelato, con prodotti sempre più buoni e quanto più possibile funzionali e rispettosi tanto dell’ambiente quanto delle persone. Stiamo già lavorando da un lato su nuove ricette, ancor più innovative e su gusti inediti, e dall’altro per portare questo prodotto su larga scala attraverso la grande distribuzione affinché possa raggiungere un numero sempre crescente di consumatori.Al pari di molte startup, Squp è nata da un problema, o meglio da un’esigenza. Quella di uno dei fondatori, Lonero, 29enne romano ed ex atleta, golosissimo di gelato ma intollerante al lattosio e altri ingredienti, di conciliare le proprie esigenze in termini di gusto e salute. Dopo aver esplorato a lungo e senza successo il mercato insieme all’amico fraterno e successivamente socio Bianconi, romano anche lui, 28 anni, con un background nel campo della salute, è nata l’idea di farsi da soli un gelato che potesse conciliare queste esigenze senza compromessi in termini di qualità e soddisfazione. Così, dall’incontro anche con l’imprenditore in campo food Roberto Tomei, nel 2020 è nata Squp.

    Sostenibilità

    La rivoluzione vegetale di una macelleria storica

    di Fiammetta Cupellaro

    02 Marzo 2024

    “Squp si rivolge a un mercato di consumatori piu? attenti alle proprie scelte alimentari, con una maggior sensibilita? ai temi della salute e dell’ambiente. In Europa, quello del gelato plant-based è un mercato in significativa crescita secondo un’indagine del Good Food Institute su Dati Nielsen IQ, +14% fra 2020 e 2022 con vendite da 174 milioni d ieuro – spiega una nota della startup – il target include sia persone che cercano alternative salutari che persone attente all’impatto ecologico dei loro acquisti. Inoltre, il prodotto attrae gli amanti del gelato alla ricerca di innovazione e i mercati vegano e vegetariano, oltre a possedere un potenziale di appeal internazionale”. D’altronde gli alimenti a base vegetale in Europa rappresentano un mercato da 5,8 miliardi di euro. Quanto al gelato, in Italia il valore delle vendite di quello a base vegetale è aumentato dell’8% tra il 2020 e il 2022.

    Dopo il presidio di oltre 30 punti vendita in Lazio, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia in alcuni negozi delle insegne Conad e Carrefour, Squp è ora presente in decine di punti vendita sull’intero territorio nazionale. L’obiettivo è quello di entrare su scala nazionale nelle grandi insegne gdo, con le quali sono in corso diverse discussioni. La startup dispone inoltre di un proprio e-commerce attivo su tutto il territorio capitolino e ha intrapreso la sfida di puntare oltre la ricca eredita? italiana nel campo del gelato, creando un prodotto che guarda al futuro mantenendo un solido legame col patrimonio agroalimentare migliore del mondo. LEGGI TUTTO