19 Marzo 2024

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Inquinamento atmosferico, solo in 7 Paesi su 134 l’aria è pulita: la classifica IQAir

    Solo nei magnifici sette potrete respirare aria davvero pulita. Sette paesi dove secondo una nuova classifica di IQAir nel 2023 i livelli di polveri sottili sono rimasti sotto ai limiti, già ulteriormente striminziti, indicati dall’Organizzazione mondiale della sanitàLa classifica sulla qualità mondiale dell’aria prodotta da IQAir, società svizzera collegata al mercato dei purificatori d’aria (lo stesso sito svizzero che settimane fa aveva indicato Milano come fra le città più inquinate al mondo), si basa sull’analisi dei dati provenienti da 30mila stazioni di monitoraggio dell’aria in 7.812 località e 134 Paesi.Di questi ultimi, su oltre 130 Stati analizzati, secondo il report soltanto sette hanno mostrato una media annuale di PM 2,5 inferiore o uguale a 5 µg/m3, come chiede l’Oms. Si tratta di Australia, Estonia, Finlandia, Grenada, Islanda, Mauritius e Nuova Zelanda.

    Per contro segnali allarmanti arrivano soprattutto dall’Asia, ma anche dal Nord America. I cinque paesi più inquinati nel 2023 sono risultati nell’ordine il Bangladesh (media annuale di PM2,5 di 79,9 µg/m3, quindici volte superiore alle linee guida), poi Pakistan (73,7 µg/m3) India (54,4 µg/m3) Tagikistan (49,0 µg/m3) e Burkina Faso (46,6 µg/m3).Se per questi stati i valori registrati hanno toccato punte massime di inquinamento, in generale sono 124 i Paesi su un totale di 134 –  ovvero il 92,5% –  che hanno comunque superato il valore limite indicato dall’Oms.

    I dati

    In periferia si muore di smog più che in centro: le città alla ricerca della ricetta verde

    di redazione Green&Blue

    01 Marzo 2024

    Come continente l’Asia – che ospita le dieci metropoli più inquinate al mondo – si conferma al primo posto per presenza di polveri sottili. Se per l’Africa ci sono ancora poche informazioni, con “un terzo della popolazione che non ha ancora accesso ai dati sulla qualità dell’aria”, cattive notizie arrivano dal Nord America dove il Canada colpito da incendi devastanti è risultato il Paese più inquinato di questa area geografica.Giudicate poco affidabili invece le statistiche del Sud America: il 70% dei dati sulla qualità dell’aria in tempo reale dell’America Latina e dei Caraibi proviene infatti da “sensori a basso costo”.

    Europa: dove migliora l’aria

    Diverso invece il discorso per l’Europa dove si registrano varie differenze a seconda delle nazioni. Dall’analisi dei dati di oltre duemila città europee l’Islanda si conferma il paese meno inquinato. Segnali positivi arrivano poi da uno dei luoghi più inquinati del Vecchio Continente, la Bosnia Erzegovina, dove nel 2023 si è però registrata una diminuzione del 18% dei livelli di PM2,5. Passi avanti anche per la Croazia, che ha abbassato i suoi livelli di oltre il 40%, mentre al contrario il Montenegro ha registrato il maggiore aumento assoluto delle concentrazioni di PM2,5. 

    L’emergenza

    “Milano paragonata a Delhi per l’inquinamento atmosferico: la crisi del clima non aiuta a respirare”

    di Giacomo Talignani

    19 Febbraio 2024

    Il report, anche se non si sofferma per esempio sui valori preoccupanti della Pianura Padana, parla di una generale “tendenza verso livelli più bassi di PM2,5 nelle città europee nel 2023”. In totale il 7% delle realtà urbane in Europa ha soddisfatto i criteri Oms, soprattutto nel Regno Unito, in Finlandia e Svezia.L’analisi non entra nello specifico sulle cause del superamento dei limiti, seppur indicando possibili correlazioni con traffico veicolare, impianti di riscaldamento o conseguenze della crisi del clima. In questi termini Begusarai in India è stata l’area metropolitana più inquinata in assoluto del 2023.  Fra le curiosità anche le città metropolitane più e meno inquinate negli States: Columbus (Ohio) e Beloit (Wisconsin) le peggiori, mentre Las Vegas (Nevada) quella con l’aria più pulita. Secondo Aidan Farrow di Greenpeace international servono più sforzi locali e nazionali per monitorare la qualità dell’aria e per “gestirne le cause e ridurre la nostra dipendenza dalla combustione come fonte di energia”.  

    In Italia 80mila morti l’anno per inquinamento atmosferico

    20 Febbraio 2024

    Sforzi che servirebbero sia a proteggere vite – dato che secondo le stime l’inquinamento atmosferico uccide 7 milioni di persone all’anno nel mondo – sia per proteggere ecosistemi naturali oggi fortemente impattati dalla cattiva qualità dell’aria. Parallelamente va però anche ricordato che nonostante il doppio abbassamento delle linee guida dell’Oms nell’indicare i livelli “sicuri” di particolato, l’aria attuale è in media migliore rispetto a quella del secolo scorso e in alcune zone, come in Europa, sono stati fatti sforzi notevoli per abbassare le quantità  di inquinanti.Contempornamenante però, ricordano anche recenti ricerche mediche, è difficile stabilire un livello sicuro per il particolato, dato che anche le esposizioni minori al PM2,5 possono portare ad “un aumento dei ricoveri ospedalieri per patologie come malattie cardiache e asma”. LEGGI TUTTO

  • in

    Ogni anno sprechiamo 151 miliardi di litri di acqua con il cibo

    L’Osservatorio internazionale Waste Watcher, partendo dal report italiano 2024 sulla quantità di cibo sprecato (566,3 grammi pro capite a settimana), ha stimato l’impronta idrica dello spreco alimentare domestico: si tratta di 151,469  miliardi di litri d’acqua che vengo sprecati insieme al cibo. Se fossero rappresentate in bottiglie d’acqua da mezzo litro, come nell’app Sprecometro, sarebbero ben 302,938 miliardi di bottiglie e ci permetterebbero di fare oltre 4 volte il giro del mondo, se affiancate l’una all’altra. In termini di stima economica: se equiparassimo l’acqua usata nella produzione di cibo a quella usata in casa, di cui paghiamo le utenze, arriveremmo ad una cifra incredibilmente alta, cioè 395,835. Tutta la produzione italiana di acqua in bottiglia si attesta a 14,5 miliardi di litri, ed è quindi quasi 10 volte inferiore all’impronta idrica dello spreco alimentare domestico in Italia.

    “La crisi climatica – spiega il Direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher Andrea Segrè – impone a ciascuno di noi comportamenti responsabili nella gestione del cibo così come nell’utilizzo dell’acqua nel nostro quotidiano. Il settore primario usufruisce del 60% delle acque dolci utilizzate dall’uomo, che successivamente finiamo per sprecare, l’acqua è dunque un costo indiretto del cibo gettato. Attraverso l’app Sprecometro, oltre al monitoraggio in grammi dello spreco alimentare individuale e collettivo, possiamo avere la stima della nostra impronta idrica, che varia in base a quale e quanto prodotto viene sprecato. Senza consapevolezza non potremo raggiungere l’obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, come recita il target 12.3 dell’Agenda 2030 dell’Onu”.Ogni 22 marzo le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale dell’Acqua, per sensibilizzare sull’importanza dell’acqua e sulla crisi idrica globale. Con oltre 663 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e circa 2,4 miliardi che vivono senza servizi igienico-sanitari adeguati, la necessità di azione è urgente. L’obiettivo è raggiungere l’SDG 6 (Sustainable Development Goals – Obiettivi di Sviluppo Sostenibile), garantendo acqua e servizi igienico-sanitari per tutti entro il 2030. La Giornata Mondiale dell’Acqua, dedicata nel 2024 a “Water for peace”, ci offre l’opportunità di concentrarci su come l’acqua possa creare pace o scatenare conflitti, sottolineando l’importanza di un accesso equo e sostenibile a questa risorsa indispensabile. L’acqua può essere un fattore di pace o una causa di conflitto. In molte parti del mondo, la scarsità, l’inquinamento dell’acqua e l’accesso ineguale provocano tensioni tra comunità e nazioni.

    Secondo le stime del Bigbang, il modello idrologico realizzato dall’Ispra che analizza la situazione idrologica dal 1951 al 2021 fornendo un quadro quantitativo e qualitativo delle acque in Italia, nell’ultimo trentennio la disponibilità idrica nazionale è diminuita del 20%. Ugualmente le stime sul lungo periodo (1951-2021) evidenziano una riduzione significativa, circa il 16% in meno rispetto al valore annuo medio storico.Secondo Legambiente, l’Italia ogni anno consuma 26 miliardi di metri cubi di acqua. Il 22% dell’acqua prelevata, tuttavia, viene disperso, rendendo il nostro Paese una delle nazioni con il più alto tasso di spreco di acqua, e quindi con una delle più alte impronte idriche d’Europa. I cambiamenti climatici, l’inquinamento dei corpi idrici e la dispersione hanno aggravato il problema di disponibilità di acqua potabile a livello globale. La Sicilia ha già istituito una task force ad hoc e la Sardegna ha imposto limitazioni all’uso dell’acqua in campo agricolo, dal momento che gli invasi sono pieni al 50% dei livelli medi.Le situazioni critiche, però, non si esauriscono a queste due regioni, ma si espandono per quasi tutto lo stivale, con Basilicata e Puglia che hanno rispettivamente il 40% e il 44% di acqua in meno rispetto allo scorso anno, e situazioni critiche si rilevano anche in Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana dove i bacini si svuotano con una rapidità eccezionale. È quindi fondamentale comprendere che lo spreco alimentare crea impatti diffusi, sprechi idrici sommersi che impattano nel quotidiano sull’ambiente e sulla qualità della nostra vita attuale e futura. LEGGI TUTTO

  • in

    Darwin si sbagliava: i maschi dei mammiferi non sono più grandi delle femmine

    Pensando a mammiferi di sesso diverso e appartenenti alla stessa specie viene abbastanza naturale immaginare che il maschio sia quasi sempre più imponente della femmina. Secondo uno studio appena pubblicato su Nature Communication, però, questo immaginario e la narrativa che ne consegue non corrispondono alla realtà: i maschi sarebbero infatti più grandi delle femmine solo nel 45% dei casi. Si tratta, scrivono gli autori, di una narrativa che avrebbe assunto una particolare risonanza a partire dalla pubblicazione del libro Descent of Man, firmato da Charles Darwin e risalente alla seconda metà del 1800. “Nonostante alcune prove contrarie”, si legge nell’articolo, la teoria “domina ancora oggi, supportata da meta-analisi che utilizzano misure grossolane di dimorfismo e campionamenti tassonomicamente distorti”.

    Per verificarne la veridicità, il gruppo di ricercatori, guidato da Kaia Tombak, ricercatrice presso la City University di New York (Stati Uniti), ha analizzato 429 specie di mammiferi che vivono in natura, comparando il peso corporeo dei maschi con quello delle femmine, ovviamente all’interno della stessa specie. Parallelamente al peso corporeo, gli autori hanno preso in considerazione anche altri parametri, come la lunghezza del corpo. Per ogni specie analizzata gli autori hanno esaminato almeno nove esemplari per ognuno dei due sessi.

    Biodiversità

    Becchi più grandi e nuove rotte migratorie: così gli uccelli si adattano alla crisi climatica

    di Pasquale Raicaldo

    25 Settembre 2023

    Ne è emerso che, in realtà, solo nel 45% dei casi i maschi sono effettivamente più grandi delle femmine della stessa specie. Nel 16% dei casi, invece, sono le femmine ad essere più grandi, mentre nel 39% delle specie prese in esame maschi e femmine hanno dimensioni comparabili. Ad esempio, esemplari maschi e femmine di lemuri, talpe dorate, cavalli e zebre hanno solitamente dimensioni simili.

    La specie che presenta la più grande differenza fra le dimensioni dei maschi e quelle delle femmine è la Mirounga angustirostris, ossia la foca elefante settentrionale. In questo caso i maschi hanno in media una massa più di tre volte superiore a quella delle femmine. Al contrario, le femmine di Murina peninsularis, una specie di pipistrello, sono mediamente 1,4 volte più pesanti dei maschi.

    Secondo gli autori, un altro motivo per cui la teoria del “maschio più grande” ha preso piede potrebbe riguardare il fatto che, negli anni, le ricerche scientifiche si sono focalizzate molto su specie per così dire “carismatiche”, come ad esempio i felini di grandi dimensioni o i primati, nelle quali i maschi tendono in effetti ad essere più imponenti. Tuttavia, i piccoli mammiferi, come ad esempio i pipistrelli e i roditori, costituiscono una porzione molto ampia del totale delle specie note appartenenti a questa classe. E in questo caso i maschi e le femmine presentano spesso dimensioni simili. Anzi, in circa la metà delle specie di pipistrello sono le femmine ad essere mediamente più grandi.

    Naturalmente il gruppo di ricercatori non ha preso in esame tutte le specie di mammiferi esistenti, per cui, scrivono, la loro parola non dovrebbe rimanere l’ultima sul tema. Ulteriori studi saranno necessari per confermare (o confutare) i risultati ottenuti: “Tuttavia – concludono gli autori -, i nostri risultati preliminari che mostrano una predominanza del monomorfismo sessuale [ovvero l’assenza di differenze nelle dimensioni di maschi e femmine, n.d.r.] nella lunghezza del corpo nei mammiferi rafforzano l’idea che potrebbe essere il momento di mandare in pensione la narrativa dei ‘maschi più grandi’”. LEGGI TUTTO

  • in

    La denuncia di Greenpeace: “Acqua contaminata da PFAS nei fiumi toscani”

    La contaminazione da PFAS (composti poli e perfluoroalchilici pericolosi per la salute umana) è largamente diffusa anche in Toscana e interessa numerosi corsi d’acqua inquinati dagli scarichi di diversi distretti industriali. Lo rivela una nuova indagine di Greenpeace Italia (qui il .pdf), basata su campionamenti indipendenti effettuati nel gennaio scorso e diffusa in occasione della Giornata mondiale dell’acqua che si celebra il 22 marzo.Se gli impatti dell’industria conciaria, tessile, florovivaistica e del cuoio erano già stati evidenziati dallo studio del 2013 del CNR-IRSA e dai rilievi annuali di ARPAT, le analisi condotte da Greenpeace Italia provano che anche il distretto cartario lucchese contribuisce all’inquinamento da PFAS. Una scoperta che non dovrebbe sorprendere, visto che l’impiego di queste molecole nell’industria della carta è ben noto, ma la questione non era mai stata approfondita dagli enti preposti toscani. LEGGI TUTTO

  • in

    I batteri ”amici” aiuteranno a salvare la barriera corallina delle Maldive

    Un prezioso aiuto per proteggere le barriere coralline dagli effetti dirompenti del riscaldamento globale potrebbe arrivare dai batteri. Che rendono più resilienti le popolazioni, aiutandole ad affrontare le sfide del cambiamento climatico. Nei prossimi venti anni è a rischio estinzione una percentuale compresa tra il 70 e il 90% dei coralli tropicali: acidificazione, ondate di calore e attacchi di patogeni, favoriti dal cambiamento climatico, stanno infatti aumentando esponenzialmente la mortalità. Ma una buona notizia potrebbe ora arrivare a margine della spedizione, nell’arcipelago delle Maldive, di un team di ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn, impegnato – con l’università degli studi di Milano-Bicocca e l’università degli studi di Messina – in un progetto che mira a coniugare studi sull’ecologica degli ambienti estremi, tutela degli ecosistemi marini e sviluppo di tecnologie a supporto della rigenerazione delle barriere tropicali.

    Crisi climatica

    Mai l’oceano così caldo, battuto il record della temperatura in superficie

    di Giacomo Talignani

    04 Agosto 2023

    In soldoni, i ricercatori hanno isolato le molecole prodotte dai batteri che popolano i coralli in salute. Lo screening in laboratorio selezionerà le molecole batteriche che hanno un ruolo nella difesa dai raggi UV, dalle temperature in crescita e dall’acidificazione. Poi, le utilizzeranno per implementare la crescita di piccole colonie di coralli “super resistenti”, da impiantare nelle aree più degradate delle barriere coralline. Con l’auspicio di invertire il trend. “Del resto abbiamo attraversato siti di campionamento con ampi tratti di barriera corallina morta, effetto del brusco innalzamento della temperatura a partire dal 2016, e la circostanza ci ha molto preoccupati da un punto di vista scientifico”, spiega al rientro dalla missione Donatella de Pascale, direttrice del dipartimento di Biotecnologie Marine Ecosostenibili del Dohrn, già più volte in prima linea nell’esplorazione di ambienti estremi marini come l’Antartico, l’Artico e il terrestre come i ghiacciai tibetani, dove ha isolato e caratterizzato nuovi ceppi di batteri e funghi iper-produttori di composti bioattivi come antimicrobici e anti-biofilm ed anti-cancro. “Stavolta – spiega – il nostro obiettivo è quello di produrre molecole bioattive dai batteri prelevati dal microbioma dei coralli per poi testarle su modelli laboratoriali per la protezione dei coralli dagli effetti dei cambiamenti climatici, che qui più che altrove rischiano di essere devastanti”. Il progetto ha anche un risvolto applicativo nel campo della salute umana: composti prodotti sia dai coralli che dai batteri saranno testati su linee cellulari umane, verificandone potenziali attività farmacologiche, per il possibile sviluppo di nuovi farmaci anti-tumorali e anti-infiammatori. 

    Reportage

    L’isola Ocean Cay da discarica a paradiso della biodiversità con i coralli resilienti

    di Giacomo Talignani

    25 Marzo 2023

    Il punto di riferimento del progetto è il MaRHE Center, The Marine Research and High Education Center sull’isola di Magoodhoo nell’Arcipelago delle Maldive, un centro di ricerca aperto nel 2009 dall’Università degli Studi di Milano Bicocca, dove ricercatori e studenti possono trascorrere periodi di mobilità ai fini di studio e ricerca. Qui il team coordinato da de Pascale (composto da Daniela Coppola, Fortunato Palma Esposito e Christian Galasso) ha trascorso un periodo a settembre e uno a febbraio. “Quel che ci ha negativamente sorpreso – dice la ricercatrice – sono le disastrose conseguenze della scarsa sensibilità alla tematica ambientale: abbiamo toccato con mano il problema del marine litter, con interi isolotti ricoperti di plastica. Abbiamo osservato tappeti di frammenti di coralli morti sui fondali. Ed è per questo che vogliamo accelerare la nostra ricerca, volta a trovare una soluzione alla moria delle barriere coralline, che non sembrano in grado di mettere in atto risposte adattive alle nuove condizioni climatiche.La cosiddetta coral restoration, del resto, è diventata una delle priorità dei gruppi di ricerca internazionale: la stessa università degli studi Milano-Bicocca è protagonista, con l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e in collaborazione con l’Acquario di Genova, di un progetto che punta sulla curcumina, una sostanza antiossidante naturale estratta dalla curcuma, dopo averne testato lo sbiancamento dei coralli, fenomeno causato principalmente dai cambiamenti climatici: i ricercatori hanno già sviluppato un biomateriale biodegradabile per somministrare la molecola senza provocare danni all’ambiente marino circostante. Positivi i test in laboratorio, dove sono state simulate le condizioni di surriscaldamento dei mari tropicali alzando la temperatura dell’acqua fino a 33°C. Intanto, il progetto che vede in prima linea la Stazione Zoologica Anton Dohrn proseguirà spedito, con l’esame dei campionamenti del microbioma di diverse specie di coralli. “Non si direbbe ma sono studi pionieristici alle Maldive, in ambienti tropicali che consideriamo estremi proprio per via dell’aumento delle temperature e della prolungata esposizione ai raggi solari”, spiega de Pascale.

    Ricerca

    Scoperta una nuova, possibile, fonte di inquinamento per la Grande barriera corallina

    di Simone Valesini

    12 Ottobre 2023

    Qui, dunque, i batteri estremofili che popolano le colonie di coralli ancora in buona salute possono fornire risposte in grado di aiutare le popolazioni malate. E intanto, con un progetto parallelo insieme all’università degli Studi di Messina, il team di ricerca del Dohrn ha lavorato, sempre alle Maldive, alla messa a punto di protocolli green per l’estrazione e la produzione del collagene marino dagli scarti della lavorazione della pesca: “Dal prelievo del collagene del red snapper (dentice rosso), catturato da piccoli pescatori locali, contiamo di sviluppare meccanismi in grado di rispondere in modo sostenibile alla crescente domanda di collagene marino, da utilizzare prevalentemente nel settore cosmetico”. LEGGI TUTTO

  • in

    Record di temperature percepite in Brasile, il meteorologo: “Prepariamoci a condizioni estreme”

    “Temperature percepite così elevate, alle quali dovremo abituarci anche nell’area mediterranea, mettono in difficoltà l’essere umano. All’aumento esponenziale delle temperature rispondiamo sudando, e il sudore evaporando ci raffredda. Ma il processo diventa certo meno efficiente se l’umidità nell’aria è rilevante, come accade in questi giorni in Brasile”. Rio de Janeiro ha segnato (alle 9:55 locali di domenica mattina, le 13:55 italiane) un nuovo record di sensazione termica, a 62,3 °C, livello più alto mai registrato nella metropoli brasiliana dal 2014 (quando sono iniziate le misurazioni da parte di “Alerta Rio”). Europa e Italia si chiedono se possono e devono aspettarsi estate sempre più insopportabilmente torride. “L’effetto dei cambiamenti climatici abbraccia tutto il mondo, naturalmente”, spiega Maurizio Maugeri, che insegna fisica dell’atmosfera all’università degli studi di Milano.Che lettura dà del dato brasiliano?”L’indice della temperatura percepita, ottenuto combinando temperatura assoluta e umidità, ha una importanza relativa, anche perché non abbiamo serie temporali di confronto lunghe”.Ma il problema c’è, non crede?”Assolutamente. Le grandi ondate di calore stanno aumentando ovunque e con esse le temperature, comprese quelle massime. Si chiama cambiamento climatico ed è sotto gli occhi di tutti, impossibile negarlo”.E coinvolge anche l’Italia.”Da inizio Ottocento da noi la temperatura è aumentata di circa tre gradi, dagli anni 70 il trend è esponenziale: vuol dire che se percepivamo come un valore altissimo i 37 °C estivi di Milano, oggi ci stiamo abituando ai 40 °C. E ad agosto rincorriamo lo zero termico oltre i 5emila metri di altitudine”.Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro prossimo?”Non ci sono dubbi sul fatto che la frequenza dei fenomeni climatici estremi e le ondate di calore sia destinata ad aumentare. Così, abbiamo soltanto due opzioni, assolutamente complementari”.Quali, professore?”Mitigazione e adattamento. La prima richiede una politica di decarbonizzazione efficace e aggressiva, la seconda chi chiede di ridisegnare le nostre città, pianificandone gli spazi con la consapevolezza che il clima di oggi non sia quello di cinquanta anni fa”.Ci fa qualche esempio?”Più spazi verdi, meno superfici ricoperte da materiale artificiale. In Italia siamo un po’ indietro: il tema del contrasto al cambiamento climatico è ancora poco presente nella pianificazione delle nostre città. Mi auguro che qualcosa cambi”.E a livello individuale come possiamo resistere?”Alle grandi ondate di calore degli ultimi anni i paesi del Mediterraneo hanno risposto meglio dei paesi del Nord Europa, dove il numero di morti è stato maggiore. Questione di stili di vita: noi siamo pronti a modificare le abitudini, restando in casa nelle ore centrali e uscendo di sera. Quel che possiamo fare è contribuire alla decarbonizzazione con le nostre scelte e intanto adattarci, ottimizzando l’utilizzo degli impianti di condizionamento, a cui fare ricorso con giudizio”.Quali sono gli scenari peggiori che immagina?”Non possiamo escludere che il cambiamento climatico ci costringa a migrare, per esempio dal bacino padano – che è tra le aree più a rischio – verso le colline e la fascia pedemontana, abitando piccoli centri e borghi a un’altitudine non inferiore ai 600 metri. Sono migrazioni già presenti nel mondo animale, del resto, e alle quali il mercato delle locazioni immobiliari già guarda con interesse da qualche anno. Certo, andranno ripensate infrastrutture e telecomunicazioni, ma è uno scenario ad oggi possibile, se non probabile”. LEGGI TUTTO

  • in

    Piemonte, la centrale idroelettrica finanziata dai cittadini

    Un salto. È bastato sfruttare un salto di acqua della Dora Baltea, all’altezza del piccolo Comune di Quassolo, in provincia di Torino, per produrre 8.300.000 kwh all’anno. È questo quello che può fare la piccola centrale idroelettrica inaugurata da Edison, lo scorso settembre. Per di più è stata costruita anche attraverso un progetto di crowdfunding locale che ha coinvolto gli abitanti dei Comuni di Quassolo, Borgofranco di Ivrea, Quincinetto, Tavagnasco, Montalto Dora, Settimo Vittone e alcuni clienti di Edison Energia di tutta Italia. Ma, come sottolinea Davide Colucci, direttore sviluppo idroelettrico del Gruppo Edison, “il 90% di quelli che hanno aderito era del territorio. Ho capito dagli incontri preliminari che desideravano partecipare attivamente, contribuire in qualche modo alla transizione energetica”.  LEGGI TUTTO

  • in

    Il cambiamento climatico preoccupa il 39% dei papà

    Il 77% dei papà italiani è preoccupato per il futuro, con un picco di ansia (85%) tra coloro che hanno figli tra gli 0 e i 3 anni. A rilevarlo è l’istituto di ricerca Eumetra, che in occasione della Festa del papà ha reso noti i risultati dell’Osservatorio Parents, restituendo una fotografia dei padri italiani […] LEGGI TUTTO