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Nascono gli “orti di comunità” di Slow Food: come partecipare

Non più solo il passatempo e la soddisfazione dei pensionati, impegnati a coltivare i pomodori più grandi e brillanti: oggi gli orti sono molto di più, perfino “qualcosa che ha dato un senso alla mia vita”. Questa frase l’ha pronunciata un paziente della comunità psichiatrica di Cussanio, in Piemonte, dove gli orti promossi da Slow Food sono andati ben oltre il semplice aspetto di un pezzo di terra da coltivare. A crescere, lì come altrove, sono l’inclusività, l’amore per la natura, la passione per il cibo genuino e soprattutto l’unione fra chi si sporca di terra le mani.

La storia

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Anche per questo, partendo dall’esperienza di una trentina di orti in tutta Italia promossi negli ultimi due decenni, Slow Food ha deciso di lanciare il progetto Orti Slow Food di Comunità, una rete nazionale di “orti che rispettano la biodiversità e tutelano le risorse naturali“, una rete che possa unire le persone, a partire da quel concetto di “cibo sano” che è da sempre un obiettivo dell’associazione fondata da Carlo Petrini.

(Slow Food Italia) 

“Un tempo – racconta a Green&Blue Annalisa D’Onorio, referente del progetto Orti Slow Food – gli orti venivano visti come un luogo, spesso gestito da persone anziane, in cui coltivare il pomodoro più rosso o i vegetali più belli. Oggi il concetto di orto è invece sempre più legato alla salute, al cibo che grazie ai principi di Slow Food è coltivato in maniera sana e sostenibile, una visione che ora potrà essere sempre più condivisa grazie agli orti di comunità”.

Biodiversità

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Oltre allo storico orto di Gorgonzola, nato oltre 10 anni fa, di fatto gli orti di comunità – intesi come appezzamenti dove i cittadini si uniscono per coltivare e condividere secondo determinati principi  – ancora non esistono: “Per questo – ricorda D’Onorio – abbiamo lanciato questo nuovo progetto a cui tutti possono aderire a patto di rispettare i principi di Slow Food”. Lo scopo sarà creare una rete sempre più larga: dagli orti delle scuole (oltre 400) che esistono da oltre vent’anni a quelli delle carceri, dai terreni gestiti da gruppi di amici a luoghi in cui si possono portare avanti iniziative di sostenibilità e inclusivitàLe candidature, sul sito di Slow Food, sono ufficialmente aperte per questo progetto sostenuto da Unicredit. “Lo abbiamo lanciato da pochissimo e già tre realtà ci hanno contattato – spiega D’Onorio -. Offriamo sostegno e soprattutto ricordiamo l’importanza di coltivare con i pilastri di SlowFood, che dall’assenza di pesticidi sino a incentivare l’uso di varietà locali, si basano sul rispetto della natura e dei territori”.

(Slow Food Italia) 

“Gestire un orto è il modo più semplice, poetico e concreto per comprendere il significato del termine biodiversità, costruire un corretto rapporto col cibo che ci nutre e col vivente tutto, capire la fondamentale importanza di preservare le risorse necessarie e comuni: suolo fertile e risorsa idrica in primis” aggiunge Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia”.

Intervista

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Come si diventa orto di comunità 

La rete nazionale coinvolgerà orti di diverso tipo: urbani, sociali, conviviali, collettivi oppure terapeutici per esempio. Potranno trovarsi all’interno di diversi contesti, da quelli delle strutture ospedaliere alle carceri, dagli istituti sino alle biblioteche, l’idea generale è infatti “coinvolgere la platea più ampia possibile di soggetti e di realtà desiderosi di sporcarsi le mani e diventare attivisti dell’orto“. Per entrare a far parte della rete è sufficiente: “Avere un orto, su un terreno che può essere di proprietà sia pubblica sia di privati; essere almeno dieci soci Slow Food: in questo modo si costituisce la Comunità Slow Food dell’orto in questione; aderire alla Carta dei princìpi“. 

Diventando rete, si avrà accesso a momenti di formazione, a incontri dedicati, a eventi legati agli aspetti agronomici così come approfondimenti sulle pratiche di coltivazione e si prenderà parte a iniziative a tema che cambieranno annualmente, oltre che il diritto a un accesso diretto allo sportello per aiuto tecnico sulla gestione dei terreni. “L’orto – spiega D’Onorio – è davvero una buona palestra per tutti. Richiede fatica, ma restituisce anche molta soddisfazione”. E soprattutto, vale la pena ricordarlo per la Giornata mondiale della Biodiversità, è “un luogo in cui mettere in atto le buone pratiche per la natura e il ripristino della biodiversità che oggi ha bisogno di sostegno”. Negli orti di comunità Slow Food saranno infatti coltivate soprattutto varietà autoctone, si preferiranno i semi non ibridi, verrà praticata la rotazione delle colture e ci sarà il rispetto per le erbe spontanee  e per le pratiche orticole agroecologiche come compostaggio e sovescio”. Da Slow Food l’esortazione è dunque “quella di cogliere le opportunità offerte dall’orto per seguire una dieta più varia e sana, e di organizzare momenti di riflessione sul sistema agroalimentare, per diventare cittadini più consapevoli e attivi”. 

Il modulo di adesione per candidare un orto


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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