26 Marzo 2024

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    A Parigi le startup pronte a ripensare il mondo in chiave sostenibile

    PARIGI. I giovani ricercatori tedeschi della Bioweg hanno trovato il modo con cui eliminare le microplastiche dalle creme ad uso cosmetico. Che siano sulla buona strada lo dimostra il cartello che hanno messo sul loro corner “qui assumiamo”. Arrivano dal Belgio i creatori della startup Novobiom che ricavano dalle spore dei funghi, sostanze rigenerative per la biotecnologia. Mentre gli ideatori di Seads (Sea Defence Solution) sono italiani, Fabio Dalmonte e Mauro Nardocci che hanno realizzato una tecnologia in grado di fermare i rifiuti dai fiumi prima che entrino in mare: una barriera che li fa confluire verso un bacino di raccolta dove vengono accumulati, prelevati e avviati al riciclo. Francesi i loro colleghi di Cycle Up artefici di una piattaforma digitale dedicata al mondo dell’edilizia dove si può riciclare materiale sia all’interno di uno stesso paese, ma anche tra paesi diversi. Storie di startup arrivate a Parigi che per tre giorni (dal 25 al 27 marzo) diventa la capitale dell’innovazione legata allo sviluppo sostenibile. Sono 35mila tra creatori di startup, investitori, rappresentanti politici e di onlus di tutto il mondo riuniti al Grand Palais Ephèmere per changeNOW 2024 l’evento internazionale dedicato alla transizione ecologica, economica e sociale.   LEGGI TUTTO

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    Obbligo di imballaggi di plastica e guanti monouso nelle mense scolastiche, gli ambientalisti contro il ministro Lollobrigida

    “Una decisione pericolosamente anacronistica, che sembra evidenziare la scarsa attenzione di questo governo alle tematiche ambientali e di fronte alla quale non intendiamo fermarci”. Raffaella Giugni, responsabile delle relazioni istituzionali di Marevivo, si fa portavoce della profonda preoccupazione dell’associazione ambientalista per il decreto con il quale il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste impone, nell’ambito del “Programma frutta e verdura nelle scuole” per l’anno 2023/2024, l’uso di confezioni monouso (i cosiddetti flow-pack) per il confezionamento e guanti di plastica per la somministrazione. “Una decisione che alimenta un grave danno ambientale e costituisce un passo indietro nella lotta all’inquinamento da plastica”, denuncia la Fondazione Marevivo. Che sottolinea peraltro come il decreto, emanato lo scorso 7 febbraio (“Ma di cui si apprende solo adesso”) arrivi nonostante la rassicurazione ricevuta più volte dal ministero che i suggerimenti di Marevivo sarebbero stati recepiti.

    “La posizione del ministro Lollobrigida ci appare assurda, tanto più in una fase storica in cui l’Unione europea spinge con forza verso tipologie di imballaggi sostenibile – continua Giugni – Di più: è altamente diseducativa. Il ricorso a confezioni monouso in plastica, molte delle quali non riciclabili, non è per giunta giustificabile da questioni legate alla tutela della salute: è anzi dimostrato scientificamente il contrario, con il rilascio di micro e nanoplastiche che finiscono nel nostro corpo, e in quello dei bambini”.

    Packaging

    Imballaggi, via libera al nuovo regolamento Ue

    di Fiammetta Cupellaro

    15 Marzo 2024

    La plastica non protegge, anzi… “Proprio così, non esiste alcuna ragione scientifica valida per giustificare l’adozione di queste pratiche dannose”, annuisce Antonio Ragusa, che dirige la Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Maggiore di Bologna e insegna all’Università Campus Bio-Medico di Roma. Con la sua ricerca, è stato tra i primi a trovare tracce di microplastiche nei tessuti della placenta delle donne e nel latte materno. “Al contrario – aggiunge – numerosi studi hanno dimostrato che conservare gli alimenti nella plastica può comportare il rilascio di nano e micro particelle dannose negli alimenti stessi, con conseguenze negative sulla salute umana”.

    Ma perché il Ministero ha prescritto l’utilizzo dei flow-pack, nonostante peraltro un sentiment sempre più chiaro da parte degli italiani? “Lo ignoriamo, non vorremmo che ci fosse l’implicita volontà di difendere interessi economici – risponde Giugni – quel che è certo è che non ci fermeremo qui”. E proprio per questo, si legge in una nota diffusa in queste ore, la Fondazione Marevivo invita il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste “a riconsiderare la decisione e a impegnarsi per promuovere pratiche più responsabili, volte a proteggere l’ambiente, il già compromesso ecosistema marino e la salute umana, individuando le necessarie soluzioni che favoriscano modelli di sviluppo sostenibili. La scelta di continuare a utilizzare confezioni di plastica monouso all’interno del ‘Programma frutta e verdura nelle scuole’ – prosegue la Fondazione Marevivo – rappresenta un grave passo indietro nella promozione di uno stile di vita sostenibile e un segnale contraddittorio ai bambini. In un momento in cui l’urgenza di ridurre l’inquinamento da plastica, che ha raggiunto ormai livelli allarmanti, è più pressante che mai, diventa fondamentale adottare politiche che favoriscano l’eliminazione progressiva dell’uso della plastica e promuovano, invece, alternative sostenibili”.

    La campagna #BastaVaschette

    E del resto, ogni anno nel mondo vengono prodotte 450 milioni di tonnellate di plastica: il 50%, secondo le stime, costituito da imballaggi usa e getta, e oltre 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica vanno a finire nei nostri mari e oceani, l’80% dell’inquinamento dei quali è causato dalla plastica. “Ogni cittadino produce 180 chili all’anno di rifiuti da imballaggio”, annota Raffaella Giugni. Proprio per questo, per contrastare l’utilizzo di imballaggi monouso in plastica per il confezionamento di frutta e verdura, la Fondazione Marevivo assieme a Zero Waste Italia ha dato vita alla campagna #BastaVaschette. – aggiunge – Non è forse un paradosso che arrivi dal ministero un forte impulso in senso contrario?”. LEGGI TUTTO

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    Non buttate i vecchi pannelli fotovoltaici danneggiati, si possono riparare

    Anche i pannelli fotovoltaici si possono riparare, ma non sempre è economicamente vantaggioso farlo. Allora, soprattutto quando di vecchia generazione – superiori ai dieci anni di utilizzo – e non più efficienti come un tempo, i pannelli si buttano via. Uno dei possibili guasti, che si verifica nel 10% dei casi, riguarda i danni subiti dalle barre collettrici a nastro, che determinano un’interruzione del flusso di corrente elettrica tra due celle, quindi una progressiva diminuzione o interruzione dell’energia prodotta.

    La soluzione economica, veloce e di facile applicazione è stata trovata da un gruppo di ricercatori dell’Unità Energia Solare Fotovoltaica del dipartimento Energia del Centro di Ricerca Energetica, Ambientale e Tecnologica, (un istituto pubblico di ricerca spagnolo), che sulla rivista internazionale Renewable Energy ha pubblicato un articolo che descrive sia il metodo per localizzare i guasti nei moduli fotovoltaici sia come ripararli.”L’interruzione dei contatti interni sui vecchi pannelli fotovoltaici è un danno abbastanza frequente. Si tratta di sottili strisce di argento, chiaramente visibili sulle celle solari, che fino ad oggi richiedevano approcci di riparazione troppo costosi, mentre questo gruppo spagnolo ha messo a punto un sistema ingegnoso e low-cost a cui nessuno aveva pensato prima”, spiega Mirko Pagliaro, dell’Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del Cnr: “Hanno posizionato il pannello fotovoltaico su un pallet di legno a 50 cm da terra, in una zona illuminata dal sole e tramite un tester audio-sonoro che costa circa 25 euro, hanno rilevato l’interruzione del passaggio di corrente. Dopodiché hanno utilizzato una pasta saldante ed il danno è stato risolto”.

    Editoriale

    Riciclo e riuso, un’impresa in cui credere

    di Ermete Realacci*

    18 Ottobre 2023

    L’intervento eseguito dai ricercatori spagnoli ha permesso di riparare un modulo completamente danneggiato, mentre in altri due casi la potenza prodotta è stata moltiplicata per quattro rispetto al valore del prodotto danneggiato, che aveva perso potenza. Inoltre, il grande vantaggio di questa riparazione è la facilità con cui può essere eseguita sia in fabbriche che in laboratori anche poco attrezzati. Ma oltre il valore puramente tecnico della riparazione, questo procedimento permette di ridurre la generazione dei rifiuti da moduli fotovoltaici, minimizzando l’impatto ambientale, seguendo le linee guida ideali dell’economia circolare, ovvero riciclo, riparazione e riutilizzo.”Ci sono tantissimi pannelli solari di vecchia generazione di 10/20 anni, molti dei quali in Italia, anche se è difficile fare una stima, mentre una percentuale è dismessa e ceduta ai paesi poveri, specialmente in Nord Africa dove si usano pannelli di seconda e terza mano importati dall’Europa, che spesso hanno questo tipi di problemi. Avere un sistema semplice di riparazione, permette di allungare la vita del pannello, in linea teorica anche di raddoppiarla”, sottolinea ancora Pagliaro. LEGGI TUTTO

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    Pannolini o assorbenti senza plastica? Dal grano e dal mais la spungna riciclabile

    Dai diamanti non nasce niente, dagli avanzi di cibo nascono prodotti usa-e-getta. L’idea di utilizzare biomassa proteica (cioè scarti di cibo e simili, per l’appunto) per produrre oggetti come pannolini e assorbenti, considerati altamente inquinanti perché impiegano centinaia di anni per degradarsi nell’ambiente, è venuta a un’équipe di ricercatori del Kth Royal Institute of Technology svedese (e di altri istituti), che l’ha appena presentata al congresso annuale della American Chemical Society (Acs) appena terminato.”Le norme europee – ha raccontato Antonio Capezza del team di ricercatori al congresso – scoraggiano l’uso di plastiche a base di petrolio nei prodotti usa-e-getta. Tuttavia, non esistono ancora regolamenti chiari né linee guida per vietare l’impiego di queste plastiche nei pannolini, negli assorbenti e in altri prodotti sanitari, soprattutto perché non è disponibile un sostituto altrettanto efficace”. Almeno finora. L’idea ha una genesi bizzarra: Capezza stava tenendo una lezione pratica ai suoi studenti, mostrando loro come realizzare filamenti di bioplastica usando delle proteine. Per imitare l’impatto che l’umidità potrebbe avere su questi frammenti, vi ha aggiunto del cotone bagnato, e la miscela ha prodotto una sorta di schiuma; questa schiuma si è poi asciugata e trasformata in un materiale poroso, in grado di assorbire liquidi come una spugna. Adatto, per l’appunto, alla produzione di oggetti sanitari.

    Economia circolare

    La prima casa al mondo costruita con i pannolini usati

    di Paola Arosio

    01 Giugno 2023

    “È stato una sorta di ‘incidentè non voluto – ha aggiunto lo scienziato – ma positivo, perché ha aperto una nuova linea di ricerca”. Capezza e colleghi si sono messi al lavoro per affinare l’idea, cercando dei sostituti del cotone (che presenta altri problemi, perché necessita di prodotti chimici per essere sbiancato) e identificando, per l’appunto, una serie di proteine e altre molecole derivate dagli scarti alimentari e agricoli (che attualmente finiscono in discarica o in inceneritore), come la zeina del mais, il glutine del grano e altri antiossidanti. I ricercatori hanno provato diversi cocktail, mescolando queste proteine in proporzioni diverse e aggiungendo acqua e bicarbonati come agenti schiumogeni, glicerolo come plastificante ed estratti naturali come conservanti; e infine hanno inserito questi composti in un estrusore, una macchina concettualmente simile a quella usata per fare la pasta, ottenendo così dei filamenti e dei fogli piatti. In questo modo hanno ottenuto diversi tipi di materiali, da destinare a scopi diversi: una specie di tessuto che rimane asciutto al tatto ma al contempo consente il passaggio di liquidi; una spugna soffice con proprietà super-assorbenti; una pellicola impermeabile per rivestire cappotti, giacche e altri indumenti.

    A questo punto, non rimaneva che provare i materiali: i ricercatori hanno pensato di cominciare proprio da prodotti sanitari usa e getta, realizzando simil-pannolini e simil-assorbenti che, oltre ad avere le stesse proprietà di quelli “tradizionali”, sono anche completamente biodegradabili nel giro di poche settimane. Anzi, di più: le sostanze rilasciate durante la degradazione – carbonio, fosforo, amminoacidi – possono essere ulteriormente riciclati e utilizzati per altri scopi ancora.

    Sostenibilità

    Assorbenti in fibra di agave, una soluzione per la povertà mestruale

    di Sara Carmignani

    19 Gennaio 2024

    “È un prodotto completamente circolare”, conclude Capezza. “I nostri test hanno mostrato che, proprio perché sono a base di proteine, questi prodotti non inquinano il suolo con microplastiche o altre sostanze indesiderate”. Win-win. LEGGI TUTTO