22 Marzo 2024

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consigliato per te

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    La Sicilia combatte la siccità con la “smart irrigation”

    Sono oltre 72 milioni, ovvero circa il 30%, i metri cubi di acqua risparmiati ogni anno negli agrumeti della Piana di Catania grazie alla conversione, su un’area di 300 km2, degli impianti di irrigazione in sistemi a goccia, un’innovazione che cambia il volto di un settore stretto tra due crisi, quella idrica e quella climatica. L’agricoltura è il settore che in Italia consuma più acqua con il 40% dei prelievi nazionali, pari a circa 16 miliardi di metri cubi ogni anno mediamente. Ed è anche uno dei settori più colpiti dalla crisi climatica e dagli eventi estremi legati all’acqua, dovendo fare i conti anche con i periodi di siccità che a causa del cambiamento climatico sono sempre più frequenti. Nel 2022 l’Europa ha affrontato la peggiore siccità degli ultimi 500 anni e anche in questi giorni la regione Sicilia sta vivendo un’importante carenza di risorsa idrica. LEGGI TUTTO

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    “Gli occhiali VR per indossare una scarpa: così tagliamo costi, emissioni e sprechi”

    Produrre un capo sostenibile in media, risulta essere due volte più costoso rispetto a uno “tradizionale” e questo ovviamente si riflette sul prezzo di vendita. Il problema oggi è che, al di là dei proclami, gli acquisti ancora troppo raramente si traducono in scelte etiche. E non c’è da meravigliarsi dato che l’anno scorso la spesa pro capite dei consumatori europei è scesa per la prima volta dal 2008 sotto i 700 euro.La moda deve correre ai ripari: chiamata alla sfida della sostenibilità (anche alla luce di una legislazione europea che incombe) è costretta a mettere in campo ogni strategia possibile per limitare il più possibile il proprio impatto ambientale, senza che questo incida però in maniera così significativa sul prezzo di vendita. La tecnologia in questo senso può giocare un ruolo fondamentale, in termini di efficienza operativa. Lo sa bene Nice Footwear, impresa padovana che opera nel campo delle calzature sportive, lusso e tempo libero che, ricorrendo alla realtà aumentata e la realtà virtuale, è riuscita a digitalizzare l’intera fase di prototipia, limitando gli sprechi e efficientando l’intero processo produttivo.Che si tratti di creare un prototipo o condurre una prova finale del prodotto finito, i progressi del digitale hanno reso tutto più comodo, veloce ed economico. Grazie alla tecnologia ad esempio, la progettazione a quattro mani è possibile pur da sedi fisicamente distanti, senza necessariamente salire su un aereo; è possibile accedere a cataloghi virtuali di tessuti, modelli e capi fin dal primo momento del processo di produzione, rendendo il tutto molto più sostenibile; può aiutare i designer a ridurre gli errori durante la fase di sviluppo del prodotto così da renderlo più aderente alle richieste del mercato, con minori sprechi.

    Economia circolare

    La scarpa ecosostenibile è riciclabile al 100%

    di Gabriella Rocco

    18 Marzo 2024

    “Normalmente ogni prototipo veniva realizzato in due, tre anche quattro versioni”, – spiega Francesco Torresan, responsabile prodotto per l’azienda – “un processo che implicava non solo spreco di merci, ma anche movimentazione di materiali e persone. Ora tutto avviene su supporto digitale, con l’utilizzo di sistemi 3D e piattaforme evolute. Abbiamo reso queste tecnologie parte integrante del nostro lavoro: in media noi producevamo 700 prototipi all’anno, ora siamo arrivati a produrne poco più di 200″.Secondo un recente studio di Quantis, la creazione di prototipi fisici e la spedizione dei materiali connessi, incide sul bilancio di impatto ambientale dell’industria della moda con la produzione di circa l’8% dei gas serra mondiali.  La fase di prototipazione comporta infatti la realizzazione di modelli, l’utilizzo di materiali e risorse energetiche, lo spostamento di merci per la realizzazione di prodotti che non andranno mai sul mercato ma che rappresentano uno step necessario del processo di produzione.”La fase di produzione all’estero, la spedizione, la revisione dei campioni e i costi legati al trasporto sono stati ridotti al minimo, eliminando le spese superflue e permettendo al cliente di avere una visione chiara di ciò che otterrà”, continua Torresan, “È come se fossimo diventati dei calzolai evoluti: abbiamo sviluppato un software brevettato che permette di comporre digitalmente la scarpa, permettendo ai clienti di plasmare con noi il modello desiderato, scegliendo i materiali da una libreria digitale, ricorrendo a un rendering dinamico per visualizzare tutte le forme e gli aspetti della scarpa prima di mandarla in produzione. Con l’uso degli occhiali VR, i clienti è come se potessero toccare i modelli virtuali”.In aggiunta, la connessione al cloud del software rende possibile accedere simultaneamente a tutti i progetti, sia dalla sede di Padova che da quelle in Europa e in Asia. Il progetto ha preso avvio nel 2016, per la realizzazione della tecnologia proprietaria Nice Footwear ha investito circa 2 milioni di euro negli ultimi due anni, dedicato oltre 13.500 ore di attività di innovazione digitale del processo produttivo e oltre 2 mila ore di formazione ai dipendenti, con l’obiettivo di potenziare le competenze in ambito digitale e nella progettazione 3D unita alla Realtà Aumentata.L’azienda si era già distinta in passato per essere stata precursore nell’uso del 3D con un software nativo e di recente ha portato lo showroom nel Metaverso offrendo, nella piattaforma Roblox, un’esperienza coinvolgente ed emozionante quanto quella di uno spazio reale.”Siamo una piccola azienda ma pensiamo a quale potrebbe essere l’impatto se tutti adottassero queste soluzioni riducendo così lo spreco legato alla prototipazione? Il nostro obiettivo è continuare su questa strada, investire nel miglioramento delle tecnologie e il prossimo traguardo sarà la digitalizzazione dell’intero campionario”. LEGGI TUTTO

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    L’acqua e le infrastrutture idriche sono vittime della guerra

    Nel commentare l’ultimo rapporto ONU sull’acqua, intitolato appunto Water For Prosperity And Peace, quello che salta all’occhio è che di certo il rapporto racchiude in sé più di 50 anni di lavoro sulle politiche idriche internazionali e sull’idro diplomazia. Il rapporto ONU afferma, dunque, e ribadisce, mettendo finalmente un punto fermo, quello che studi più che cinquantennali hanno dimostrato nel corso degli anni, e cioè che l’acqua non è “un frequente catalizzatore di conflitti”. Anzi, è proprio il contrario: quando ci sono guerre, l’acqua ne diventa vittima, insieme ai civili. 

    “Gli attacchi nei confronti di infrastrutture idrauliche civili, tra cui impianti di trattamento, sistemi di distribuzione e dighe, costituiscono una violazione del diritto internazionale e devono essere oggetto in tutti i casi di una severa condanna da parte della comunità internazionale.” Questo rapporto ONU pone fine, dunque, alla narrativa delle “water wars” che ha percorso anni e anni di informazione giornalistica e dibattito in politica estera. L’Italia ha da poco riacquisito dall’estero un vero esperto sul tema, il professor Filippo Menga, dell’Università di Bergamo, che nella sua carriera ha studiato il ruolo che le grandi infrastrutture idriche come le dighe hanno avuto nel dispiegamento del potere politico in contesti di dispute idriche come quelli del Bacino del Nilo e in Asia Centrale. Secondo lui “sembra oramai riemergere un bipolarismo che ci riporta ai tempi della Guerra Fredda, con la differenza che l’acqua, oggi, ha un valore molto diverso, e senz’altro maggiore, rispetto al secolo scorso. Per decenni avevamo dimenticato la forza e la violenza della guerra vera e abbiamo prestato più attenzione all’ambiente. Ora però la guerra vera sta tornando: cosa vuol dire per l’acqua?”.

    La giornata mondiale

    Acqua: una risorsa per la pace

    di Fiammetta Cupellaro

    22 Marzo 2024

    Sicuramente l’acqua oggi è diventata un grande tema geopolitico ed è assolutamente inerente a quello del cambiamento climatico e relativo dibattito, mentre il secolo scorso la tematica praticamente non esisteva. Pensando agli scenari odierni, se pensiamo alle infrastrutture idriche bombardate e distrutte, nei contesti di guerra, sia le immagini della diga di Kherson in Ucraina, sia quelli della rete idrica di Gaza, danneggiata dagli attacchi israeliani, fanno male. Oltre alla perdita di vite umane, la guerra è, dunque, anche perdita di acqua. Il Geneva Water Hub sta portando avanti una battaglia per far rispettare il divieto di danneggiare infrastrutture idriche e corpi idrici in tempi di guerra, come stabilito dalla convezione di Ginevra. Anche qui, si tenta di lavorare per la pace, pensando però a scenari di guerra.

    L’acqua, dunque, tornata ad essere target di azioni belliche in contesti di guerra, anche dove non c’è guerra è comunque al centro di strategie geopolitiche forti, divisive, di “pressione”politica e ideologica. Concludendo, nonostante una vera guerra “per l’acqua” non ci sia in effetti mai stata in passato, il mantra delle “guerre per l’acqua” hanno attraversato anni e anni di campagne politche mediatiche e giornalistiche. La paura del “giorno zero”, di quando apriremo i rubinetti e non uscirà più nulla, è forse insita nella nostra paura primaria: perdere un bene essenziale come l’acqua, l’aria, la luce. È tra i nostri incubi più grandi, a livello di umanità. E quindi la narrativa funziona, porta attenzione e porta paura, oltre che consensi. Contro questa narrativa si batte da sempre chi opera per la giustizia idrica e la pace, che sono, a veder bene, due elementi che implicano ancora la messa in atto di molte lotte per essere realizzati. Lotte per la realizzazione del diritto umano all’acqua. Lotte per una diplomazia idrica che rispetti i criteri di equità, giustizia e condivisione delle informazioni, come sancito dai principi ONU. Lotte pacifiche ancora molto molto lunghe da vincere. 

    Francesca Greco è Marie Curie Researcher presso Università di Bergamo e Visiting Researcher presso King’s College London LEGGI TUTTO