4 Aprile 2024

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    Fulmini in aumento con un clima più caldo, così crescono anche incendi ed emissioni

    Un lampo argenteo guizza, abbaglia, sembra squarci il cielo. Poi scoppia il tuono: un fragore forte, seguito da un lungo brontolio. Cadono le prime gocce d’acqua, si fanno fitte, come aghi lucenti. Ed ecco la pioggia che scroscia impetuosa. Nel mondo si contano otto milioni di fulmini al giorno, ovvero 100 al secondo. Una cifra elevata, destinata ad aumentare ancora, come conferma un recente studio pubblicato su Scientific Reports e condotto da Takuro Michibata, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Okayama, in Giappone. 

    La ricerca tiene conto dei graupel

    L’esperto ha realizzato esperimenti basati su simulazioni dell’atmosfera in tre epoche (preindustriale, attuale, futura), includendo per la prima volta i graupel, noti anche come neve tonda, una precipitazione solida, costituita da granelli di ghiaccio di forma sferica del diametro di circa 2-5 millimetri. “L’attività dei fulmini dipende da vari fattori, tra cui instabilità atmosferica, aerosol, profondità delle nuvole, graupel, rendendo difficile una modellizzazione accurata”, premette lo scienziato. Tuttavia, dopo numerosi calcoli e altrettanti esperimenti, Michibata è riuscito a stabilire che il tasso medio di fulmini è aumentato del 7,1% dal periodo preindustriale a oggi a causa del progressivo riscaldamento globale. Più evidente l’impatto del futuro incremento di temperature sui fulmini, con un aumento previsto del 18,4%. 

    Nelle foreste il 77% degli incendi è provocato da fulmini

    Un allarme che era già stato lanciato da uno studio pubblicato nel novembre del 2023 su Nature Geoscience e realizzato dai ricercatori dell’Università di Leeds, nel Regno Unito. La ricerca ha evidenziato che il 77% degli incendi nelle foreste boreali è imputabile ai fulmini, mentre gli incendi nelle foreste tropicali sono perlopiù di origine dolosa. “Le regioni boreali immagazzinano grandi quantità di carbonio nella vegetazione e nel suolo”, rende noto Declan Finney, ricercatore della School of Earth and Environment dell’ateneo britannico e autore dell’analisi. “Perciò, quando le fiamme divampano, tali zone emettono maggiori quantità di anidride carbonica e di altri gas serra rispetto ad altre aree. Nonostante occupino solo l’1% della superficie terrestre, le foreste boreali incendiate producono, infatti, più dell’8% delle emissioni totali di anidride carbonica derivanti dagli incendi a livello globale. Si stima, tra l’altro, che questi ultimi potrebbero amplificare le emissioni di gas serra del 30% entro la fine del secolo”. 

    Il rischio è che si instauri un circolo vizioso: l’incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera causa un ulteriore riscaldamento, che assorbe una maggiore quantità di umidità nell’aria, la quale a sua volta provoca temporali violenti con una probabilità elevata di fulmini, che accrescono la possibilità di incendi. 

    Un pericolo per le persone

    I fulmini, come dardi vaganti, non solo nuocciono a foreste e boschi, ma possono anche attentare alla nostra incolumità. Gli esperti hanno calcolato che circa il 10% delle persone colpite muore, soprattutto per arresto cardiaco, mentre il 90% presenta disabilità di vario grado. Secondo il National Weather Service, tra il 2009 e il 2018, negli Stati Uniti, sono stati registrati 27 vittime di fulmini e 243 infortunati.

    Stando a quanto riporta l’Environmental Journal, nell’estate del 2020, in soli dieci giorni, i fulmini hanno ucciso 147 persone nello Stato del Bihar, nell’India settentrionale. E, non a caso, la rivista ribadisce che “l’ultimo decennio è stato il più caldo in India, con temperature di 0,36 gradi superiori alla media”.

    Che fare, dunque, per limitare il pericolo? I ricercatori consigliano di implementare sistemi di rilevamento dei fulmini e di installare sistemi di messa a terra negli edifici. Suggerimenti senza dubbio utili nell’emergenza, che non ci esimono però dal progettare soluzioni di lungo periodo. LEGGI TUTTO

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    I mari si tingono di blu, è tornata la Velella velella

    Genova, mulino di Crevari. Il litorale, dopo le mareggiate, si tinge di blu. Un effetto ottico sorprendente, che spinge il fotografo subacqueo Alessandro Grasso a immergersi, nuotando in una distesa impressionante di Velella velella. Nelle stesse ore, i moti ondosi che hanno imperversato nel Tirreno nei giorni di Pasqua colorano anche il litorale laziale, come segnalato dalla biologa marina Maria Cristina Gambi, e il parco sommerso della Gaiola, a Napoli. Osservazioni analoghe in Cilento e in Sicilia. Nulla di sorprendente: con la primavera che entra nel vivo tornano i bloom di Velella Velella: non si tratta di meduse ma di un animale coloniale del gruppo degli idrozoi. Ciò che si vede sul pelo dell’acqua, e in molti casi anche lungo le spiagge, sono associazioni di individui fisicamente uniti tra loro, come accade nei coralli, per formare un unico corpo. 

    (Foto: Alessandro Grasso)  LEGGI TUTTO