Genova, mulino di Crevari. Il litorale, dopo le mareggiate, si tinge di blu. Un effetto ottico sorprendente, che spinge il fotografo subacqueo Alessandro Grasso a immergersi, nuotando in una distesa impressionante di Velella velella. Nelle stesse ore, i moti ondosi che hanno imperversato nel Tirreno nei giorni di Pasqua colorano anche il litorale laziale, come segnalato dalla biologa marina Maria Cristina Gambi, e il parco sommerso della Gaiola, a Napoli. Osservazioni analoghe in Cilento e in Sicilia. Nulla di sorprendente: con la primavera che entra nel vivo tornano i bloom di Velella Velella: non si tratta di meduse ma di un animale coloniale del gruppo degli idrozoi. Ciò che si vede sul pelo dell’acqua, e in molti casi anche lungo le spiagge, sono associazioni di individui fisicamente uniti tra loro, come accade nei coralli, per formare un unico corpo.
“Un fenomeno ricorrente. – spiega Ferdinando Boero, già docente di zoologia all’università degli studi Federico II di Napoli, oggi presidente della Fondazione Dohrn – In primavera le Velella velella arrivano dal mare profondo, dove tornano come meduse all’inizio dell’estate. Ed è una cosa che avviene ogni anno in questo periodo, con la risalita dalle acque profonde”. E si tratta di una specie certo singolare, la cui etologia è in larga parte poco conosciuta al grande pubblico, malgrado di fatto già Linneo ne abbia descritto le caratteristiche oltre due secoli e mezzo fa. “La Velella è una colonia galleggiante di polipi che producono piccole meduse. – spiega ancora Boero – Queste vanno in profondità, si riproducono sessualmente e producono le nuove Velella, che risalgono e appaiono a milioni in questa stagione”.
“Spiaggiamenti così cospicui avvenivano, e sono documentati, già nei secoli passati. – rileva il biologo marino Fabio Crocetta, che si è spesso occupato della specie – Non è un caso che le Velella venivano usate come esche per gli sparidi, in particolare per i saraghi maggiori. Con le Velella viaggiano, in questi giorni, anche predatori come le Janthina, molluschi dal guscio molto sottile, in grado di galleggiare con le colonie, e specie come la Porpita porpita, un altro idrozoo coloniale, meglio conosciuto come bottone di mare”.
Nessuna conseguenza per l’uomo, visto che la specie è innocua. Né va letto, nei bloom di queste ore, un trend in crescita delle popolazioni. Certo, la pesca intensiva continua a creare un vantaggio per il plancton gelatinoso: la presenza nei nostri mari di un minor numero di pesci configura una concorrenza inferiore nel nutrirsi delle larve e dei giovanili di pesci. Diverso il caso delle meduse, che sarebbero invece favorite dal cambiamento climatico: il riscaldamento delle acque favorisce la loro proliferazione e ne allunga la stagione riproduttiva. Di più: sono tra le specie più resilienti, per così dire, all’acidificazione progressiva degli oceani.