2 Marzo 2024

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    La rivoluzione vegetale di una macelleria storica

    “Confesso: non ne sapevo nulla. Non avevo mai assaggiato cibi proteici a base vegetale e non avevo neanche una precisa cognizione della loro esistenza”. Si apre così il libro di Marco Panara, giornalista, dal titolo “La rivoluzione dell’hamburger. Dalla carne al vegetale, il caso Kioene” (Post Editori) che non racconta una scelta alimentare personale legata alla rinuncia delle proteine animali, ma una storia imprenditoriale.La storia della famiglia Tonazzo, macellai veneti da generazioni. Niente di più lontano e antagonista del vegano. Eppure, è proprio uno di loro, Albino Tonazzo ad intuire, dopo alcuni viaggi in Brasile, che la produzione industriale di carne in un futuro non molto lontano non sarebbe stata più compatibile con la sostenibilità ambientale. Era il 1988, aveva appena 24 anni. Da allora la vita dell’azienda di famiglia a Villanova di Camposampiero, nel padovano, cambia.

    Albino Tonazzo, fondatore di Kioene  LEGGI TUTTO

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    Mario Caironi: “Così ho inventato la batteria commestibile che salva l’ambiente”

    La ricetta sta cambiando, quella nuova è un segreto, ma parliamo sempre della batteria commestibile fatta di materiali ricavati dal cibo (come mandorle, capperi, cera d’api e oro edibile) quella inventata all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit), annunciata lo scorso anno e diventata una delle migliori invenzioni del 2023 per la rivista Time. Mario Caironi, ingegnere elettronico, bergamasco, 45 anni, a capo del Printed and Molecular Electronics Laboratory dell’Iit, racconta come la tecnologia Elfo (“Electronic Food”) stia facendo passi avanti nei laboratori di Milano. Ora la batteria è più piccola e sta dentro a una pillola che sarà messa a punto per scopi medici, diagnostici o terapeutici, ma potrà alimentare sensori per il monitoraggio ambientale senza parti tossiche e dannose per l’ecosistema.La nuova frontiera? L’agricoltura di precisione, ma il team di Caironi lavora anche con gli chef, per creare circuiti da integrare nelle pietanze in piatti interattivi nei ristoranti. 

    Cominciamo con una domanda semiseria: quanto manca per andare al mercato e chiedere due wattora di mandorle e tre di capperi?(Caironi sorride). “Essendo un risultato della ricerca di laboratorio in un campo nuovo i tempi sono lunghi. Stiamo già facendo brevetti per materiali e per applicazioni specifiche che prevedano l’uso della batteria. È sempre difficile dare dei termini ma possiamo immaginare dieci anni, non prima”.

    Per immaginare di usarla in campo controllato come negli ospedali o anche a livello commerciale?”L’obiettivo è intrinseco alla natura di quello che stiamo cercando di fare: tutti i giorni mi sveglio, ingerisco questa pillola commestibile e monitoro un parametro medico, ma lo faccio da casa, lo registro sullo smartphone e poi viene inviato all’ospedale. Stiamo costruendo componenti elettronici, quindi sia batteria ma anche tutto ciò che serve per circuiti e sensori commestibili, con l’idea di poterli rendere disponibili all’ampio utilizzo. Attualmente l’elettronica ingeribile, ma non commestibile, viene chiusa in una capsula inerte, che poi ovviamente viene espulsa dal corpo. Sono pensate proprio per un uso molto specifico, quindi ospedaliero o comunque sotto stretta supervisione. Se immaginiamo un utilizzo massivo di questa elettronica, stiamo gettando un l’equivalente di centinaia di euro (per ogni dispositivo, ndr) nelle fogne. L’elettronica commestibile cerca di rispondere a questo limite”. 

    In questo modo potrà diventare anche più utilizzata.”Si può pensare anche a screening di massa con qualcosa di più semplice e molto meno impattante per l’ambiente anche per la sua creazione. I materiali non contengono elementi tossici che richiedano un’industria. La preparazione (anche da scarti di cibo ndr) ha un impatto ambientale molto minore di quello che elettronica classica. Un membro del nostro team, Valerio Annese, ha vinto una fellowship personale per sviluppare biosensori commestibili con uno specifico indicatore che dica, per esempio, se sto rispondendo bene delle cure o se c’è un potenziale sviluppo di una certa patologia. La pillola avrà bisogno di energia e vorremmo integrare la batteria sviluppata per il progetto Elfo”. 

    Che progressi avete fatto nel frattempo?”La prima cosa da fare era, ed è ancora, quella di miniaturizzare la batteria. Lo abbiamo fatto aumentandone anche leggermente la capacità. Abbiamo modificato i materiali rispetto al primo prototipo che ci consentono di arrotolarla per l’inserimento nel dispositivo finale. E stiamo assemblando le prime componenti di una pillola commestibile che può fornire un segnale da leggere poi dall’esterno del corpo”.

    Quindi ora entra dentro a una pillola?”Sì, abbiamo trovato delle soluzioni tecniche e materiali diversi per rimpicciolirla e farle entrare all’interno di una pillola”. 

    Per esempio per quali applicazioni?”Ce ne sono alcune che non richiedono un’elettronica molto sofisticata. Ne abbiamo parlato con dei nutrizionisti: per esempio per studiare la sazietà, lo stimolo alla fame”. 

    Elettronica “digeribile” significa anche biodegradabile, quindi a impatto zero per l’ambiente. Quali altre idee avete per il suo utilizzo?”Stiamo lavorando anche per applicazioni all’esterno. Per alimentare reti di sensori ambientali per esempio, nell’agri tech. Per controllare sia inquinanti nell’acqua che nell’aria. Il problema finora è: come faccio a distribuire decine, centinaia, migliaia di sensori che mi dicano puntualmente che mi mappino delle aree e come farlo senza creare ulteriori problemi ambientali? Senza disperdere materiale tossico nell’ambiente? La batteria è uno degli aspetti più impattanti”. 

    Alcuni esempi?”L’agricoltura di precisione: monitorare le colture e sapere come irrigare, quando irrigare, quando e dove concimare, con un risparmio di risorse. Le attuali tecnologie non permettono un controllo capillare con centinaia di sensori. Siamo coinvolti anche in un altro progetto, Robofood, in collaborazione con l’Epfl in Svizzera e food scientist dell’Università di Wageningen in Olanda. Siamo appena stati a Losanna a parlare con degli chef per cucinare dei primi esempi di piatti interattivi. Ci stiamo avvicinando a qualcosa che anche la gente comune può vedere e potenzialmente anche consumare”. 

    Nel senso che posso interagire col cibo?”Sì, oppure il piatto si modifica, altera la sua forma, il colore, anche all’olfatto. All’inizio pensiamo più a una dimostrazione, per far vedere che con il cibo si possono fare di fatto delle operazioni robotiche. Poi può trovare anche applicazione in ambito medico. Oppure per portare cibo o medicinali a specie in pericolo di fauna selvatica che mangia solo ciò che si muove”. 

    E le etichette commestibili contro la sofisticazione?”Un sistema elettronico commestibile può venire a contatto direttamente col cibo e non col contenitore, questo permette di seguire i cibi anche all’ultimo miglio dove tipicamente si rischia di perdere il controllo della filiera e avviene il grosso della contraffazione. Abbiamo sviluppato, un anno e mezzo fa, un sensore commestibile per registrare lo scongelamento del cibo. L’acqua, quando è congelata non conduce elettricità a differenza di quando è scongelata. L’indicatore era succo di cavolo rosso, che ha molecole colorate. Se ricongelo quel lotto, l’indicatore ha cambiato colore in maniera irreversibile. Questo è un metodo di anticontraffazione per seguire il trancio di pesce congelato fino alla fine. Lavoriamo anche a sensori commestibili per monitorare lo stato di conservazione dei cibi freschi, correlando i sensori ai gas prodotti”. 

    Qual è stato un momento importante, cruciale, nella vostra ricerca?”Riuscire a convincere qualcuno a finanziare un progetto importante su questo tema. Fino a prima che partissimo con questo progetto europeo che si chiama Elfo c’era qualche esempio di dispositivo fatto parzialmente con materiali commestibili e derivati, ma erano tutti esempi un po sparsi. Quindi quando ci siamo convinti di poter fare qualcosa di utile. Era importante avere una una forte concentrazione di risorse e di interesse. Quindi quando è arrivato il finanziamento europeo da due milioni, e partito nel 2020, abbiamo capito che potevamo farcela”. LEGGI TUTTO

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    Plantvoice: un biosensore capisce quanta acqua vuole la pianta

    Si chiama Plantvoice, la startup che ha ideato un’innovativa tecnologia sensoristica che permette di conoscere in tempo reale lo stato di salute e di stress delle piante attraverso un’accurata analisi della loro linfa. Raccogliendo e analizzando i dati grazie all’intelligenza artificiale nativa si ottiene l’impronta digitale, in pratica “le voci delle piante”, di ogni tipologia di stress, da quello dovuto alle infestazioni fino a quello dovuto alla siccità.

    Il 70% del consumo idrico mondiale dell’uomo è destinato all’agricoltura, ma il 60% dell’acqua utilizzata in questo settore viene sprecata a causa di sistemi di irrigazione inefficienti. L’agricoltura è anche responsabile del 17% delle emissioni globali di anidride carbonica (Fonte: FAO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura): insomma, siamo posti di fronte all’urgenza di adottare pratiche agricole più sostenibili. 

    Grazie alla tecnologia di Plantvoice è quindi possibile non solo prevenire la diffusione di cause di stress per le colture, ma anche migliorare la resa e la qualità delle coltivazioni, oltre che ottenere un risparmio economico, in termini di efficienza del consumo di risorse idriche, fertilizzanti e fitofarmaci. 

    L’intervista

    Gli agricoltori sono i più esposti ai danni del riscaldamento globale, ma le politiche green dell’Europa non sono il nemico

    di Luca Fraioli

    02 Febbraio 2024

    La storia di Plantvoice

    Plantvoice nasce a ottobre 2023 da un’idea di Matteo Beccatelli, chimico, inventore specializzato nella realizzazione di tecnologie brevettate, con esperienza in diversi progetti di ricerca e sviluppo tra l’Italia e gli Stati Uniti nell’ambito della sensoristica (CNR e Bercella), insieme al fratello, Tommaso Beccatelli: tecnico elettronico, imprenditore agricolo, ed esperto di tecnologie di additive manufacturing. L’azienda ha stabilito la sua sede nel NOI Techpark Südtirol/Alto Adige, il parco scientifico e tecnologico della Provincia autonoma di Bolzano che ospita 3 Istituti di ricerca, 4 Facoltà della Libera Università di Bolzano, 45 laboratori scientifici, 90 fra startup e aziende.”Plantvoice nasce dall’osservazione dei due principali problemi in agricoltura: il consumo idrico, che a livello mondiale dipende per gran parte dall’agricoltura, e lo sfruttamento del suolo. Quando abbiamo ideato la nostra tecnologia avevamo in mente di risolvere proprio questi problemi. E lo abbiamo fatto ideando uno strumento che non invade la natura e non la modifica, ma grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale fornisce informazioni utili alle aziende agricole per gestire al meglio tutte le risorse – racconta Matteo Beccatelli, CEO e Co-Founder di Plantvoice. – L’acqua è ormai un bene prezioso, i pesticidi hanno impatti su ambiente e salute umana, i fertilizzanti hanno effetti in termini di impoverimento del suolo: noi abbiamo creato un dispositivo, della dimensione e della forma di uno stuzzicadenti, che proprio grazie all’elaborazione intelligente di dati finora inaccessibili, rende possibile ridurre l’utilizzo di acqua e di sostanze chimiche.”

    Determinanti per lo sviluppo della tecnologia AI di Plantvoice sono state le collaborazioni accademiche con Eurac Research, Fondazione Bruno Kessler, l’Università di Milano, l’Università di Parma e l’Università di Verona, che hanno seguito le sperimentazioni sul campo e si sono occupate proprio della validazione scientifica del brevetto.

    La tecnologia AI della pianta sentinella

    Plantvoice è una tecnologia sensoristica as-a-service avanzata che si traduce in un dispositivo fitocompatibile non invasivo, che viene introdotto direttamente nel fusto del vegetale, permettendo di avviare un monitoraggio in tempo reale dei dati fisiologici interni della pianta (la linfa). La rilevazione viene fatta adottando un approccio a “pianta sentinella”, che si realizza sensorizzando una pianta rappresentativa dell’appezzamento agronomico omogeneo in cui è inserita, della dimensione media di metà ettaro. Una volta captati i dati, il sensore li invia in cloud a un software di AI che li analizza utilizzando algoritmi personalizzati per fornire informazioni dettagliate, per esempio su un eventuale insufficiente apporto d’acqua o su un attacco di batteri e funghi. Informazioni che aiutano le aziende agricole a prendere decisioni tempestive per preservare la salute e la resa qualitativa delle coltivazioni e ad ottimizzare l’uso dell’acqua.

    Crisi climatica

    Arance più piccole e campi senza grano, la Sicilia già fa i conti con la siccità

    di Giacomo Talignani

    08 Febbraio 2024

    A differenza delle altre principali tecnologie agricole (es. sensori meteorologici, di suolo, di irraggiamento e di temperatura, immagini satellitari, droni etc), che forniscono agli agricoltori dati esterni alla pianta relativi all’ambiente che la circonda, la tecnologia Plantvoice raccoglie direttamente i dati interni dalla pianta, quasi come “un’elettrocardiogramma della pianta”, attinenti alla sua fisiologia, consentendo una rilevazione rapida delle anomalie nello stato di salute, minimizzando la latenza rispetto alle tecnologie concorrenti. Inoltre, grazie alla sua interfaccia API (Application Program Interface) consente l’integrazione con altre applicazioni software in modo tale che i produttori agricoli possano utilizzare i dati raccolti anche in altre applicazioni e strumenti, evitando una frammentazione poco funzionale di tutte le risorse 4.0 ora presenti nell’ambito agricolo. 

    Una di queste integrazioni è quella con ESGMax, soluzione che semplifica la raccolta e l’analisi dei dati ESG, lungo tutta la filiera aziendale. Grazie alla partnership strategica avviata con Startup Bakery, startup studio milanese co-fondata da Massimo Ferri (CEO), Plantvoice è in grado di raccogliere e analizzare in maniera automatizzata tutti i dati rilevati dai sensori ai fini della redazione del report di sostenibilità.

    Un risparmio di acqua fino al 40%

    Secondo i calcoli che la stessa startup ha realizzato direttamente sui campi dove i dispositivi sono già all’opera, la tecnologia d’intelligenza artificiale di Plantvoice consente di aumentare la produttività dal 10% al 20% con un risparmio fino al 40% di acqua e lo fa prevenendo le malattie e massimizziamo la produzione o anche evitando lavorazioni meccaniche di sostituzione delle piante che muoiono nel campo. 

    La startup agri-tech inoltre ha scelto di creare una tecnologia che sia essa stessa sostenibile: i biosensori sono realizzati con materiali biocompatibili e compostabili, e possono resistere all’interno della pianta per un’intera stagione vegetativa, consentendone quindi un utilizzo prolungato. La realizzazione avviene con tecniche di additive manufacturing, quindi poco energivore. LEGGI TUTTO

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    Un fiore mai visto prima è sbocciato in montagna: è una Campanula delle Prealpi bergamasche

    Una nuova campanula, mai scoperta prima, è stata identificata nelle Prealpi Bergamasche da un gruppo di ricerca coordinato dall’Università degli Studi di Milano, assieme all’Università di Siena e al gruppo Flora Alpina Bergamasca – FAB. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Phytotaxa. Si tratta di Campanula bergomensis, la cui caratteristica è che cresce […] LEGGI TUTTO