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Mario Caironi: “Così ho inventato la batteria commestibile che salva l’ambiente”

La ricetta sta cambiando, quella nuova è un segreto, ma parliamo sempre della batteria commestibile fatta di materiali ricavati dal cibo (come mandorle, capperi, cera d’api e oro edibile) quella inventata all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit), annunciata lo scorso anno e diventata una delle migliori invenzioni del 2023 per la rivista Time. Mario Caironi, ingegnere elettronico, bergamasco, 45 anni, a capo del Printed and Molecular Electronics Laboratory dell’Iit, racconta come la tecnologia Elfo (“Electronic Food”) stia facendo passi avanti nei laboratori di Milano. Ora la batteria è più piccola e sta dentro a una pillola che sarà messa a punto per scopi medici, diagnostici o terapeutici, ma potrà alimentare sensori per il monitoraggio ambientale senza parti tossiche e dannose per l’ecosistema.

La nuova frontiera? L’agricoltura di precisione, ma il team di Caironi lavora anche con gli chef, per creare circuiti da integrare nelle pietanze in piatti interattivi nei ristoranti. 

Cominciamo con una domanda semiseria: quanto manca per andare al mercato e chiedere due wattora di mandorle e tre di capperi?(Caironi sorride). “Essendo un risultato della ricerca di laboratorio in un campo nuovo i tempi sono lunghi. Stiamo già facendo brevetti per materiali e per applicazioni specifiche che prevedano l’uso della batteria. È sempre difficile dare dei termini ma possiamo immaginare dieci anni, non prima”.

Per immaginare di usarla in campo controllato come negli ospedali o anche a livello commerciale?“L’obiettivo è intrinseco alla natura di quello che stiamo cercando di fare: tutti i giorni mi sveglio, ingerisco questa pillola commestibile e monitoro un parametro medico, ma lo faccio da casa, lo registro sullo smartphone e poi viene inviato all’ospedale. Stiamo costruendo componenti elettronici, quindi sia batteria ma anche tutto ciò che serve per circuiti e sensori commestibili, con l’idea di poterli rendere disponibili all’ampio utilizzo. Attualmente l’elettronica ingeribile, ma non commestibile, viene chiusa in una capsula inerte, che poi ovviamente viene espulsa dal corpo. Sono pensate proprio per un uso molto specifico, quindi ospedaliero o comunque sotto stretta supervisione. Se immaginiamo un utilizzo massivo di questa elettronica, stiamo gettando un l’equivalente di centinaia di euro (per ogni dispositivo, ndr) nelle fogne. L’elettronica commestibile cerca di rispondere a questo limite”. 

In questo modo potrà diventare anche più utilizzata.“Si può pensare anche a screening di massa con qualcosa di più semplice e molto meno impattante per l’ambiente anche per la sua creazione. I materiali non contengono elementi tossici che richiedano un’industria. La preparazione (anche da scarti di cibo ndr) ha un impatto ambientale molto minore di quello che elettronica classica. Un membro del nostro team, Valerio Annese, ha vinto una fellowship personale per sviluppare biosensori commestibili con uno specifico indicatore che dica, per esempio, se sto rispondendo bene delle cure o se c’è un potenziale sviluppo di una certa patologia. La pillola avrà bisogno di energia e vorremmo integrare la batteria sviluppata per il progetto Elfo”. 

Che progressi avete fatto nel frattempo?“La prima cosa da fare era, ed è ancora, quella di miniaturizzare la batteria. Lo abbiamo fatto aumentandone anche leggermente la capacità. Abbiamo modificato i materiali rispetto al primo prototipo che ci consentono di arrotolarla per l’inserimento nel dispositivo finale. E stiamo assemblando le prime componenti di una pillola commestibile che può fornire un segnale da leggere poi dall’esterno del corpo”.

Quindi ora entra dentro a una pillola?“Sì, abbiamo trovato delle soluzioni tecniche e materiali diversi per rimpicciolirla e farle entrare all’interno di una pillola”. 

Per esempio per quali applicazioni?“Ce ne sono alcune che non richiedono un’elettronica molto sofisticata. Ne abbiamo parlato con dei nutrizionisti: per esempio per studiare la sazietà, lo stimolo alla fame”. 

Elettronica “digeribile” significa anche biodegradabile, quindi a impatto zero per l’ambiente. Quali altre idee avete per il suo utilizzo?“Stiamo lavorando anche per applicazioni all’esterno. Per alimentare reti di sensori ambientali per esempio, nell’agri tech. Per controllare sia inquinanti nell’acqua che nell’aria. Il problema finora è: come faccio a distribuire decine, centinaia, migliaia di sensori che mi dicano puntualmente che mi mappino delle aree e come farlo senza creare ulteriori problemi ambientali? Senza disperdere materiale tossico nell’ambiente? La batteria è uno degli aspetti più impattanti”. 

Alcuni esempi?“L’agricoltura di precisione: monitorare le colture e sapere come irrigare, quando irrigare, quando e dove concimare, con un risparmio di risorse. Le attuali tecnologie non permettono un controllo capillare con centinaia di sensori. Siamo coinvolti anche in un altro progetto, Robofood, in collaborazione con l’Epfl in Svizzera e food scientist dell’Università di Wageningen in Olanda. Siamo appena stati a Losanna a parlare con degli chef per cucinare dei primi esempi di piatti interattivi. Ci stiamo avvicinando a qualcosa che anche la gente comune può vedere e potenzialmente anche consumare”. 

Nel senso che posso interagire col cibo?“Sì, oppure il piatto si modifica, altera la sua forma, il colore, anche all’olfatto. All’inizio pensiamo più a una dimostrazione, per far vedere che con il cibo si possono fare di fatto delle operazioni robotiche. Poi può trovare anche applicazione in ambito medico. Oppure per portare cibo o medicinali a specie in pericolo di fauna selvatica che mangia solo ciò che si muove”. 

E le etichette commestibili contro la sofisticazione?“Un sistema elettronico commestibile può venire a contatto direttamente col cibo e non col contenitore, questo permette di seguire i cibi anche all’ultimo miglio dove tipicamente si rischia di perdere il controllo della filiera e avviene il grosso della contraffazione. Abbiamo sviluppato, un anno e mezzo fa, un sensore commestibile per registrare lo scongelamento del cibo. L’acqua, quando è congelata non conduce elettricità a differenza di quando è scongelata. L’indicatore era succo di cavolo rosso, che ha molecole colorate. Se ricongelo quel lotto, l’indicatore ha cambiato colore in maniera irreversibile. Questo è un metodo di anticontraffazione per seguire il trancio di pesce congelato fino alla fine. Lavoriamo anche a sensori commestibili per monitorare lo stato di conservazione dei cibi freschi, correlando i sensori ai gas prodotti”. 

Qual è stato un momento importante, cruciale, nella vostra ricerca?“Riuscire a convincere qualcuno a finanziare un progetto importante su questo tema. Fino a prima che partissimo con questo progetto europeo che si chiama Elfo c’era qualche esempio di dispositivo fatto parzialmente con materiali commestibili e derivati, ma erano tutti esempi un po sparsi. Quindi quando ci siamo convinti di poter fare qualcosa di utile. Era importante avere una una forte concentrazione di risorse e di interesse. Quindi quando è arrivato il finanziamento europeo da due milioni, e partito nel 2020, abbiamo capito che potevamo farcela”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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