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Una “mappa” per capire dove la riforestazione è più efficace

Si fa presto a dire riforestazione. Il fatto che, in generale, gli alberi rappresentino una risorsa preziosa per arginare il cambiamento climatico, in virtù della loro capacità di assorbire anidride carbonica e produrre ossigeno, è abbastanza acclarato; ma questo non vuol dire che piantare migliaia o milioni di alberi in modo indiscriminato rappresenti di per sé una soluzione. È invece importante, come ci aveva già raccontato Francesco Sottile, docente all’Università di Palermo e membro del consiglio di amministrazione di Slow Food, pianificare in modo accurato l’operazione di ripiantumazione (ma non solo: Sottile insiste anche sull‘importanza di un cambio di stile di vita a tutto tondo degli esseri umani).

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Ovvero: quali alberi piantare, per massimizzare l’efficacia dell’operazione? Quanti? E soprattutto dove? Una parziale risposta a queste domande arriva oggi da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications da parte di un gruppo di scienziati della Clark University, di The Nature Conservancy (Tnc) e dell’Eth di Zurigo: un fattore ineludibile, dicono gli esperti, è la cosiddetta albedo, ossia la quantità di luce solare riflessa dalla superficie terrestre. Un’arma a doppio taglio, perché in alcune località il ripristino della copertura arborea potrebbe influenzare l’albedo e rivelarsi controproducente, provocando un ulteriore riscaldamento del suolo.

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Nel loro lavoro, gli autori fanno notare che nella valutazione dell’efficacia della piantumazione di nuovi alberi, finora, si tiene principalmente conto solo della loro capacità di assorbire l’anidride carbonica e si trascura, per l’appunto, come questi nuovi alberi possano influenzare la quantità di luce (cioè di calore) riflessa dal suolo.

A quanto pare, non è una dimenticanza di poco conto: stando alle “mappe dell’albedo” messe a punto dai ricercatori, le stime di mitigazione dei cambiamenti climatici basate solo sulla capacità di assorbimento di anidride carbonica risulterebbero significativamente gonfiate, addirittura tra il 20% e l’80% in più rispetto ai valori corretti.

“L’equilibrio tra lo stoccaggio del carbonio e il cambiamento dell’albedo derivante dal ripristino della copertura arborea varia da luogo a luogo, ma fino a ora non avevamo a disposizione alcuno strumento per distinguere i luoghi ‘buoni’ da quelli ‘cattivi'”, racconta Natalia Hasler, prima autrice del lavoro appena pubblicato e ricercatrice del George Perkins Marsh Institute alla Clark University. “Il nostro studio mira a cambiare la situazione, fornendo ai decisori le mappe necessarie a compiere scelte più efficaci e a garantire che i finanziamenti per la riforestazione siano destinati ai luoghi dove quest’operazione può fare davvero la differenza”.

Fortunatamente, sembra che al momento la maggior parte dei progetti di riforestazione stiano avendo luogo in regioni ‘buone’, anche se due terzi dei progetti soffrono comunque del problema della sovrastima dei risultati cui facevamo cenno in precedenza.

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In verità, la questione dell’impatto della riforestazione è ancora più complessa, e oltre a stoccaggio del carbonio e albedo ci sono anche aspetti che andrebbero tenuti in considerazione: “È importante ricordare”, ha sottolineato Susan Cook-Patton, un’altra degli autori del lavoro, “che ci sono altre valide ragioni per ripristinare la copertura arborea anche in luoghi in cui non si avrebbero significativi benefici in termini di clima: acqua più pulita, migliore produzione alimentare, habitat più sani per le specie animali e vegetali. Il nostro lavoro intende essere un invito ai governi a integrare più attentamente la questione dell’albedo nei loro processi decisionali ambientali”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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