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Non siamo nell’Antropocene, ma ne viviamo già gli effetti

La Commissione Internazionale di Stratigrafia (ICS) ha deciso di non formalizzare l’Antropocene come una nuova epoca geologica. Per i geologi, un’epoca è la suddivisione di un periodo che a sua volta è la suddivisione di un’era: il Pleistocene e l’Olocene sono le epoche del Quaternario, il più recente periodo dell’era Cenozoica. La decisione della ICS sta causando grande discussione dove si mescolano tre questioni che sarebbe preferibile tenere distinte

La prima riguarda il consenso o meno sul fatto che l’uomo sia artefice dei principali cambiamenti sulla Terra: clima, biodiversità, morfologia della superficie terrestre (e dei fondali marini), cicli bigio chimici, etc. Da quanto tempo tali cambiamenti di origine antropica sono in atto? Settant’anni (grande accelerazione)? Duecento anni (inizio della rivoluzione industriale)? Ottomila anni (inizio dell’agricoltura)? Nessuno ormai ha dubbi sulla rilevanza, estensione e pervasività dell’impatto dell’Uomo sulla Terra e quindi non vado oltre. 

La seconda questione riguarda l’opportunità di definire questo periodo di cambiamento, per molti versi drammatico, come una nuova epoca geologica; la questione cioè non è negare che il cambiamento dovuto all’Uomo (e al suo modello di sviluppo) sia in atto ma valutare se ciò che sta accadendo possa marcare l’avvento di una nuova epoca, dopo l’Olocene (gli ultimi 11.700 anni), e definirne una data di inizio, o piuttosto rappresenti un transiente all’interno dell’Olocene. Si può cioè riconoscere l’importanza e la drammaticità del cambiamento senza per questo dover definire una nuova epoca geologica. Secondo la maggioranza degli scienziati della Commissione Internazionale di Stratigrafia, il cambiamento in atto, per drastico che possa apparire, può essere considerato un “evento” nella storia dell’Olocene come molti altri, anche molto significativi, nella storia della Terra.

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La terza questione è invece più tecnica e riguarda la possibilità di definire un “golden spike” (il chiodo d’oro che viene piantato sulle rocce che meglio registrano l’inizio di una nuova epoca geologica), cioè uno strato o un insieme di strati sedimentari che registri in modo inequivocabile e “per sempre” nel record geologico il cambiamento che siamo tutti in grado di descrivere sulla superficie terrestre. Va bene la successione proposta, 10 cm di fango sul fondo del lago Crawford, in Canada, o è preferibile un altro record, in un diverso ambiente deposizionale o a una diversa latitudine? Che potenziale hanno i sedimenti di questo lago di rimanere preservati a lungo nel record geologico e rimanere “leggibili” a distanza di milioni di anni da ora? Quanti dei “segnali” contenuti in questi sedimenti hanno il potenziale di rimanere misurabili a lungo nel record stratigrafico del futuro? 

In breve, è su questo terzo punto che è intervenuta la commissione di stratigrafia; il suo parere, cioè, non investe il tema dell’importanza degli impatti antropici nell’attuale periodo storico, durante la grande accelerazione (gli ultimi settant’anni), o a partire dalla rivoluzione industriale, o dalla nascita dell’agricoltura. La questione tecnica però non è banale e, come sempre, cosparsa di assunti impliciti che non vengono messi a fuoco durante la discussione. 

Per questo, prima di affrontare questo terzo punto, è utile riportare l’attenzione al più sincrono degli eventi che abbiano impattato il pianeta e, di conseguenza, il record stratigrafico: l’arrivo di un asteroide di circa 20 km di diametro che ha colpito il nord dello Yucatan, a Chicxulub, 66 milioni di anni fa causando la quinta grande estinzione della storia della Terra, nota soprattutto per la scomparsa dei dinosauri e delle ammoniti. Un’estinzione che marca il passaggio addirittura tra due ere geologiche: Mesozoico e Cenozoico. Se ci si reca vicino a Gubbio al passo del Furlo si può appoggiare il proprio dito su questo passaggio, marcato da un livello di argille ricco di iridio, un metallo estremamente raro sulla Terra ma comune nei meteoriti, che si è depositato dopo il grande impatto. Se si vuole pensare a qualcosa di sincrono nella storia stratigrafica della Terra questo è il migliore esempio che abbiamo. 

Se la critica alla definizione formale dell’Antropocene come epoca geologica dopo l’Olocene è che la sua base non è sincrona, occorre considerare che lo scarto tra un punto e l’altro del pianeta è al massimo di qualche decennio. Quale risoluzione stratigrafica dovranno avere i geologi del futuro per apprezzare questo sottile diacronismo? Se come inizio dell’Antropocene si proponesse l’avvio dell’agricoltura (8000 anni fa), le differenze di età sarebbero probabilmente di molte migliaia di anni, ad esempio, tra la Cina o la mezzaluna fertile e il nord o il sud America. Chi studia il Quaternario (il piano che comprende le epoche Pleistocene e Olocene) sa che una differenza di età di, ad esempio, 2000 anni è facile da scorgere nell’intervallo di utilizzo del 14C (tipicamente gli ultimi 30mila anni) ma è molto difficile da cogliere centomila anni fa o prima. Probabilmente, a scala planetaria non c’è quasi nulla di sincrono ma molti eventi del passato appaiono tali a mano a mano che ci si allontana dall'”evento” perdendo risoluzione cronologica. Agli stratigrafi di un futuro vicino (i prossimi diecimila anni) il tema potrà interessare a quelli del prossimo milione di anni certamente no. 

Altro argomento è stabilire quanto a lungo gli impatti e i materiali immessi artificialmente nella geosfera rimarranno riconoscibili e attribuibili all’impatto dell’Uomo: l’estinzione in atto rimarrà visibile perché se anche l’Uomo togliesse all’istante la sua pressione scomparendo, le specie estinte non possono tornare; il ritorno a una “Terra bollente” con l’uscita del sistema climatico dal regime degli ultimi milioni di anni di alternanza ciclica tra glaciazioni e brevi interglaciali (come gli ultimi 10.000 anni), sarebbe irreversibile e marcato da molti segnali biostratigrafici e geochimici; la deposizione di materiali artificiali di ogni genere tra cui la plastica (si stima che la tecno-sfera abbia già superato in peso l’intera biosfera) e la presenza di radionuclidi dovuti alle oltre duemila esplosioni nucleari dal 1945 potrebbero essere invece dei marker “a tempo”, soggetti a diagenesi nel primo caso o ai tempi di decadimento nel secondo.

In conclusione, anche se i segnali stratigrafici che l’Uomo sta lasciando nel record geologico possono apparire ancora labili (e non lo sono), è certo che la stessa influenza antropica che li determina può causare un pericoloso salto di stato del sistema Terra verso un nuovo regime climatico ostile alla nostra specie. Questo è il tema su cui si deve agire e la discussione sulla formalizzazione stratigrafica dell’Antropocene come epoca geologica può essere utile proprio a sensibilizzare su questo. Ne Le città invisibili, Calvino fa dire a Kublai Khan che non bisogna confondere la città con il discorso sulla città. Ecco, non confondiamo l’Antropocene in atto con il discorso sull’Antropocene e la sua definizione stratigrafica formale!

(Fabio Trincardi è dirigente di ricerca del Cnr)


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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