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L’intelligenza artificiale è assetata di acqua. Per ogni conversazione se ne consuma una bottiglietta

L’intelligenza artificiale ha dimostrato di essere una forza trainante nel mondo della tecnologia. E se da un lato è vero che sta avendo un impatto cruciale sulla produttività, le proiezioni di PwC stimano che l’AI aggiungerà 15.000 miliardi di dollari all’economia globale entro il 2030 offrendo opportunità senza precedenti a individui, aziende e governi. Una cifra impressionante considerando che il Pil italiano si aggira sui 2mila miliardi. Dall’altro, uno studio del centro di ricerca Riverside dell’Università della California, ha svelato un aspetto oscuro legato al fenomeno dell’intelligenza artificiale generativa: per la prima volta ha stimato l’impronta idrica derivante dall’esecuzione di query di intelligenza artificiale.

Per fare un esempio concreto, i ricercatori hanno calcolato che l’addestramento di ChatGpt-3 ha consumato 700mila litri di acqua dolce per il raffreddamento dei moderni centri di elaborazione dati di Microsoft.

Non solo. Oggi porre tra le venti e le cinquanta domande a ChatGPT, l’assistente virtuale più noto al mondo creato dalla startup californiana OpenAI, equivale a consumare mezzo litro d’acqua. Questo assistente virtuale ha acquisito grande notorietà a partire dalla fine dell’anno scorso e nei primi mesi di quest’anno, grazie alla sua capacità di rispondere alle domande degli utenti in modo simile a come farebbe un umano. Tuttavia, gli esperti hanno scoperto che tale successo potrebbe essere stato ottenuto a un costo considerevolmente alto per la tutela del Pianeta Terra, in termini di consumo di acqua (e non solo).

“L’impronta idrica dei modelli di intelligenza artificiale non può più rimanere sotto traccia –  precisano allarmati gli autori dello studio -, ma deve essere affrontata come una assoluta priorità e come parte degli sforzi collettivi per combattere le sfide idriche globali, prima che sia troppo tardi”.

L’oro blu una risorsa preziosa per l’intelligenza artificiale

L’acqua è una risorsa preziosa per l’accelerazione tecnologica, specie per l’intelligenza artificiale generativa che ne richiede un consistente consumo. Analizzare enormi quantità di testi prodotti dagli utenti, richiede molti calcoli, con il conseguente dispendio di un’ingente quantità di energia elettrica, che a sua volta produce anche molto calore. Per evitare il surriscaldamento nelle giornate più calde, i data center devono quindi utilizzare l’acqua per raffreddare i loro edifici, facendola circolare in una torre di raffreddamento all’esterno.

Nel dettaglio, i centri di elaborazione dati in cui vengono installati i server che elaborano le tantissime domande che vengono fatte a servizi come ChatGPT di OpenAI o Bard di Google producono calore, proprio come avviene per i comuni computer che hanno bisogno di espellere l’aria calda proveniente dal processore. Per proseguire l’attività, questi server devono mantenere una certa temperatura: da qui l’utilizzo dell’acqua per evitarne il surriscaldamento.

Data la popolarità senza precedenti di questi chatbot AI, i ricercatori temono che tutto questo consumo d’acqua possa avere un impatto preoccupante sulle forniture idriche globali, in rapporto alla crescente siccità e ai problemi ambientali. Non solo, secondo le proiezioni dei ricercatori, questi consumi idrici aumenteranno ulteriormente con l’introduzione dei modelli più recenti, che si basano su una elaborazione più ampia di dati rispetto ai software precedenti. 

Si stima che, in generale, entro il 2027 la domanda di intelligenza artificiale generativa potrebbe risucchiare nel mondo fino a 6,6 miliardi di metri cubi di acqua potabile. Ma il dato varia in base alla posizione dei server e alla stagione in corso. Il report tiene conto anche dell’acqua usata indirettamente da altre fonti collegate al data center, come la centrale elettrica che lo alimenta. 

Per questo motivo le multinazionali tecnologiche stanno nel frattempo provando a trovare soluzioni contro l’inquinamento e lo spreco di risorse idriche.

Non è un mistero che big tech abbiano un problema di acqua, e che l’intelligenza artificiale generativa lo stia amplificando. Per fare un esempio, se i 100 milioni di utenti settimanali di ChatGPT scrivessero un solo comando (prompt) ognuno, si consumerebbero fino a cinque milioni di litri ogni sette giorni. E’ quanto ha rilevato lo Studio del centro di ricerca Riverside dell’Università della California, pubblicato su Nature, che ha calcolato che nel 2022 le principali società tecnologiche: Google, Microsoft e Meta hanno prelevato oltre 2 miliardi di metri cubi di acqua dolce, più del doppio della Danimarca in un anno. E prevede che entro il 2027 la domanda di AI generativa potrebbe portare un prelievo tra 4,2 e 6,6 miliardi di metri cubi di acqua. 

Nel 2022 Microsoft e Google hanno registrato un incremento nel consumo d’acqua, rispetto all’anno precedente, rispettivamente del 34% e del 22%. Per addestrare Bing, Microsoft, soltanto nel 2023, ha avuto necessità di 6 milioni di metri cubi d’acqua, pari2.500 piscine olimpioniche

“L’IA rappresenta uno dei carichi di lavoro più importanti e in più rapida espansione nei data center – ha dichiarato Shaolei Ren, professore associato di ingegneria elettrica e informatica presso l’Università della California, Riverside, e coautore del documento – . I modelli di IA hanno anche una grande impronta idrica che è sotto gli occhi di tutti”. 

Shaolei Ren, ha precisato che “I centri di elaborazione dati sono molto assetati e utilizzano un’enorme quantità di acqua sia per il raffreddamento in loco che per la generazione di elettricità fuori sede”. 

Ren e i suoi colleghi ricercatori hanno stimato che l’addestramento di ChatGPT-3 “nei modernissimi data center statunitensi di Microsoft” abbia consumato un totale di 5,4 milioni di litri d’acqua nell’arco di circa due o quattro settimane e che GPT-3 abbia bisogno dell’equivalente di una bottiglia d’acqua da mezzo litro per una semplice conversazione di circa 10-50 domande e risposte. “Questi numeri aumentano per ChatGPT-4, perché ha un modello di dimensioni sostanzialmente maggiori”.

Il consumo di acqua delle Big tech

Ma veniamo ai consumi dei singoli colossi tecnologici. Microsoft, nel suo ultimo rapporto sull’ambiente, ha ammesso di aver utilizzato molta più acqua nel 2022 rispetto al 2021. Il suo consumo globale di acqua è salito del 34% (quasi 1,7 miliardi di galloni, o l’equivalente di più di 2.500 piscine olimpioniche). Questo aumento è stato attribuito alla sua ricerca proprio sull’intelligenza artificiale. 

I dati di luglio 2022 mostrano che l’uso dell’acqua rimane elevato durante l’estate, con i data center di Microsoft in Iowa che prelevano circa 43 milioni di litri d’acqua, pari al 6% del consumo idrico totale nel distretto, secondo il West Des Moines Water Works. 

In questo contesto, va tenuto in debito conto che lo Stato dell’Iowa, dove sono presenti i più importanti data center di Microsoft, rappresenta un ambiente ideale per ospitare questi server. Qui, per gran parte dell’anno, il clima risulta sufficientemente temperato da permettere un adeguato raffreddamento dei server attraverso la ventilazione naturale dell’edificio. L’impianto inizia a prelevare acqua dalla rete elettrica solo quando la temperatura raggiunge i 29,3 gradi Celsius. Si tratta, quindi, di una situazione destinata a generare ampi dibattiti. 

A seguito del suo ultimo rapporto sull’ambiente, Microsoft ha dichiarato di essere già all’opera per misurare l’impronta idrica dell’IA: “Stiamo lavorando su come rendere i grandi sistemi più efficienti, sia nell’addestramento che nell’applicazione. Continueremo a monitorare le nostre emissioni, ad accelerare i progressi aumentando l’uso di energia pulita per alimentare i data center, acquistando energia rinnovabile e compiendo altri sforzi per raggiungere i nostri obiettivi di sostenibilità: essere carbon negative, water positive e zero rifiuti entro il 2030”. 

Per quanto riguarda Google, nel suo ultimo rapporto ambientale, il gigante di Mountain View ha dichiarato che nel 2022 “il consumo totale di acqua nei nostri centri dati e uffici è stato di 25,4 miliardi di litri, l’equivalente di quanto serve per irrigare 37 campi da golf all’anno, in media, nel sud-ovest degli Stati Uniti”. 

Nel 2021 un data center medio di Google ha consumato 2 milioni d’acqua al giorno, circa la stessa quantità che servirebbe per irrigare 6,8 ettari di prato erboso una volta sola. Ciò equivale anche all’acqua necessaria per produrre 160 paia di jeans, compresa la coltivazione del cotone necessario. 

Il colosso californiano ha tuttavia precisato che, poiché il cambiamento climatico continua ad aggravare le sfide idriche in tutto il mondo, l’azienda rimane “impegnata a investire in tecnologie che riducano il consumo di energia e di acqua“. 

Dal canto suo, Meta, azienda madre di Facebook nel suo ultimo rapporto sulla sostenibilità, ha sottolineato che i suoi centri dati sono responsabili di gran parte del totale dell’utilizzo di acqua: “All’interno della nostra impronta globale, i nostri data center generano la percentuale più alta del nostro consumo di energia, di acqua e di emissioni di gas serra; per questo motivo l’aumento della loro efficienza è fondamentale per mantenere le operazioni net zero e per puntare a una catena del valore net zero”. 

L’acqua è la materia prima più scambiata nel mondo. Il mercato virtuale dell’oro blu sarebbe quattrocento volte più grande di quello del petrolio. Per questo motivo i colossi tecnologici globali come Microsoft, Meta e Google si sono impegnate a diventare “net water positive” e a reintegrare entro il 2030 una quantità d’acqua superiore a quella utilizzata nelle loro attività dirette.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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