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La Francia contro la moda usa e getta: una tassa sul fast fashion per ridurre l’impatto ecologico

Parigi, la capitale europea della moda, dichiara ufficialmente guerra all’ultra fast fashion. Dalla città francese – che insieme a New York, Milano e Londra fa parte delle big four della moda globale – arriva la proposta di una legge (la prima al mondo) nel tentativo di limitare gli impatti ambientali legati al mercato dei vestiti a basso costo e all’alta impronta ecologica di aziende come Shein o Temu, per citarne alcune.

Il 14 marzo, come ha spiegato Christophe Bechu, ministro della Transizione ecologica, la Francia attraverso il voto alla Camera bassa è diventata così il primo Paese al mondo “a legiferare per limitare gli eccessi dell’ultra fast fashion”. Due le misure chiave approvate dai parlamentari transalpini: da una parte il divieto di pubblicità per tessuti economici, dall’altra una imposta ambientale da applicare sugli articoli a basso costo

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Il sistema della moda usa e getta, quello che permette di acquistare capi all’ultima moda a basso prezzo e con pochi semplici clic da ogni parte del mondo, sta impattando sempre di più a livello di emissioni climalteranti per la produzione, oppure di rifiuti e di impatto a livello di resi come racconta una recente inchiesta di Greenpeace, ma anche a livello sociale viste le migliaia di fabbriche cinesi dove i ritmi di lavoro sono folli e secondo diverse associazione i dipendenti risultano sottopagati.

Il mercato francese dell’abbigliamento, come quello italiano, è stato invaso da abiti importati a basso costo mentre alcuni marchi nazionali hanno invece dichiarato bancarotta. A preoccupare l’esecutivo è però soprattutto la questione ambientale: secondo la deputata Anne-Cecile Violland di Horizons, il partito di Emmanuel Macron, oggi “l’industria tessile è l’industria più inquinante” e il settore che “rappresenta il 10% delle emissioni di gas serra” è anche uno dei principali “per spreco di risorse come l’acqua” . Un settore che sta accelerando il suo impatto ambientale proprio a causa dell’ultra fast fashion, la moda capace di generare migliaia di nuovi capi ogni giorno.

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In particolare per Violland alcune aziende, come la cinese Shein, impattano più di altre “con i suoi 7.200 nuovi capi di abbigliamento al giorno” e sono un esempio di “produzione intensiva di moda” che deve essere regolamentata. Per questo la Francia ha deciso – una volta entrata in vigore la legge che ora richiede il voto del Senato – di mettere un freno agli impatti del fast fashion con criteri che verranno  poi definiti nel dettaglio nel decreto. L’idea attuale è costringere i produttori di fast fashion a informare i consumatori sull’impatto ambientale della loro produzione e a partire dal prossimo anno è previsto un sovrapprezzo legato all’impronta ecologica di cinque euro per capo, che salirà poi a 10 euro entro il 2030. L’addebito però non può superare il 50% del prezzo di cartellino. I proventi della tassa saranno usati per sovvenzionare produttori di abbigliamento sostenibile fornendo armi per potere “competere più facilmente”. 

Una competizione che risulterà comunque improbabile, secondo il The State of Fashion 2024, rapporto di Business of Fashion & McKinsey che svela come la concorrenza fra colossi di e-commerce quali Shein e Temu farà aumentare il ritmo del consumo di abbigliamento a basso costo.

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 Alla vigilia del voto francese Sinistra e Verdi chiedevano, anche per questo, di includere delle sanzioni minime per produttori che infrangono la legge e criteri più severi legati alle condizioni dei lavoratori nel settore, ma la proposta è stata bocciata. Avanza invece l’idea di limitare la pubblicità del fast fashion anche se per il deputato conservatore Antoine Vermorel-Marques “il divieto di pubblicità per i prodotti tessili, soprattutto quelli di moda, significa la fine della moda”.

In generale, raccontano i dati Ue, l’industria della moda a livello mondiale sta diventando sempre più inquinante: per esempio ogni anno utilizza 93 miliardi di metri cubi d’acqua. Il consumo di risorse dovuto al fast fashion, così come la produzione di rifiuti, sta portando a una produzione annuale tra gli 80 e i 100 miliardi di nuovi capi, praticamente circa 14 per ogni persona sul Pianeta.

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Buona parte di questi capi sono praticamente usa e getta: utilizzati per le mode del momento e poi dismessi e diretti alle discariche. Solo nell’Unione Europea vengono generati 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti in abbigliamento e calzature all’anno, dodici chili a cittadino. Un ritmo che, come indica la volontà di legge francese, non è più sostenibile per la salute della Terra.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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