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Dai bidet alle tv: nei canali di Venezia i gondolieri hanno recuperato 9 quintali di rifiuti

Ponti, chiese, facciate di palazzi si specchiano nei canali. Riflessi che, accarezzati dal vento, sembrano danzare, mentre la materia si sfalda e si frammenta in un monotono, infinito dondolio. Alle prime luci dell’alba un gruppo di volontari è pronto per calarsi laggiù, nel fango. Sono i gondolieri sommozzatori, operatori con brevetto da subacqueo, che si offrono di ripulire i fondali di Venezia dai rifiuti. Durante la loro ultima immersione, lo scorso febbraio, sono scesi nei rii della Cazziola, del Gafaro, del Malcanton, del Magazen, recuperando ben nove quintali di immondizia, tra cui una lastra di marmo di oltre 50 chili. Come le volte precedenti, l’evento ha richiamato piccole folle di curiosi, che hanno ringraziato e applaudito i palombari.

Un’avventura che prosegue dal 2019

Il progetto, iniziato nel 2019, è stato ideato dal gondoliere Stefano Vio. “L’idea mi è venuta durante una vacanza in Egitto, sul Mar Rosso, con degli amici. Ci siamo immersi per vedere il relitto del Thistlegorm, una nave mercantile britannica affondata dai bombardieri tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Tra i tanti oggetti ancora all’interno, abbiamo trovato stivali di gomma intatti, nonostante i 70 anni trascorsi”, racconta. “È stato allora che mi sono chiesto: quanto tempo ci vorrà per smaltire la spazzatura nella laguna?”. A sostenere le sue preoccupazioni anche uno studio pubblicato nello stesso anno sulla rivista Scientific Reports e condotto dagli esperti dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Venezia. La ricerca, realizzata attraverso strumenti ad altissima risoluzione, aveva evidenziato la presenza nei canali di un’immensa quantità di rifiuti. Così, nel giro di poco tempo, Vio ha avviato l’iniziativa, radunando alcuni colleghi. Insieme hanno setacciato per prova 200 metri di canale, vicino a Campo Santi Apostoli, trovando, tra l’altro, moltissimi copertoni. “Da allora abbiamo cominciato a svolgere quelle che noi chiamiamo missioni e non immersioni, aiutati anche dall’amministrazione”, aggiunge.

Immersione in rio San Girolamo 

Sommozzatori e due patane

L’attività è, infatti, coordinata dalla direzione Sviluppo e Promozione della città, con il supporto del Comune, che individua di volta in volta i luoghi in cui effettuare l’operazione, emettendo un’ordinanza per vietare temporaneamente la navigazione a motore. Ciascuna immersione richiede più di una dozzina di operatori, di cui quattro-cinque sommozzatori, che si immergono a turno con delle ceste per raccogliere i materiali più piccoli. In superficie sono contemporaneamente operative due patane, tipiche barche veneziane con il fondo piatto: una assiste i sub con bombole di ossigeno, l’altra lancia loro i rampini per recuperare i rifiuti più ingombranti, coordinandosi attraverso l’interfono. “L’attività richiede esperienza e abilità”, ammette Vio. “L’acqua è talmente torbida che si vede al massimo a 20-30 centimetri di distanza. Inoltre, quando si sposta un oggetto si forma una nube fangosa. Per questo operiamo sempre controcorrente, cercando di appoggiare al terreno solo le punte delle pinne o le ginocchia”. Non manca mai il contributo di Veritas, società pubblica di servizi ambientali, che mette a disposizione gratuitamente un’imbarcazione che si occupa dello smaltimento dei rifiuti e del conferimento in discarica. In alcuni casi, capita perfino che i materiali raccolti non finiscano nel pattume, ma si trasformino in splendide sculture, grazie alla creatività dell’artista veneziano di fama internazionale Giorgio Bortoli, convinto sostenitore dell’iniziativa.

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Dai monopattini al bidè

In poco più di cinque anni sono state effettuate in totale oltre venti immersioni, che hanno consentito di recuperare circa 18 tonnellate di materiale. Una mole enorme, formata soprattutto da pneumatici, che ammontano a circa 1.600: finiscono in acqua mentre vengono utilizzati lungo le banchine per attutire gli urti delle imbarcazioni oppure come parabordi delle barche. Del resto, nelle profondità finisce di tutto. Negli anni sono stati recuperati un basamento in calcestruzzo di un ombrellone da ristorante, una mezza caldaia, monopattini, eliche di barche, alcuni tubi e grondaie, carrelli del supermercato, sedie, televisori, pentole, una griglia per il barbecue, l’inferriata di una finestra, un condizionatore, scarti di vecchie impalcature, antenne, una bicicletta, una macchina per scrivere. Perfino un bidet. E ancora, uno smartphone di ultima generazione, probabilmente scivolato dalle mani di un turista incauto. E tantissime bottiglie, gettate da chi ha finito di bere, come se i canali fossero un cestino a portata di mano.

“Tra l’altro, materiali in ferro, come scale e portabagagli, costituiscono un ostacolo per la navigazione in caso di bassa marea”, aggiunge l’ideatore del meritorio progetto. Il prossimo appuntamento è previsto per la fine di marzo 2024. “Un impegno costante, il nostro, che speriamo serva anche a sensibilizzare cittadini e turisti”, auspica Vio. “Noi comunque andiamo avanti, pronti a prenderci cura della nostra città. Amare Venezia significa anzitutto salvaguardarla”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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