11 Giugno 2024

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    È la stagione degli uragani nell’Atlantico: ne sono previsti da 8 a 13

    Da 17 a 25 tempeste. Di queste, da 8 a 13 diventeranno uragani veri e propri. Sono previsioni nere, anzi nerissime, quelle del National Hurricane Center, divisione della National Oceanic and Atmospheric Administration e del National Weather Service, responsabile del monitoraggio delle perturbazioni negli oceani Atlantico e Pacifico, la cui stagione è ufficialmente iniziata il 1° giugno per terminare il 30 novembre. 

    Le condizioni nell’oceano Atlantico

    Ma come si generano questi eventi estremi? Durante l’estate, l’Atlantico si riscalda, determinando condizioni generalmente favorevoli alla formazione di uragani. In particolare, l’acqua calda superficiale, a circa 26 gradi, fornisce una crescente energia termica, che viene rilasciata nell’atmosfera attraverso l’evaporazione. Tale energia innesca un movimento verso l’alto, contribuendo alla creazione di gruppi di nuvole temporalesche e di vortici.

    Oltre a questa variazione stagionale di temperatura, entra in gioco anche un fenomeno di lungo periodo, chiamato Oscillazione multidecennale atlantica (Atlantic multidecadal oscillation, Amo). “D’estate la superficie dell’Atlantico può essere più calda o più fresca del solito per molte stagioni consecutive, a volte per decenni”, spiega Jhordanne Jones, ricercatrice alla Purdue University, negli Stati Uniti. “Le fasi calde generano più energia per lo sviluppo di uragani, mentre quelle fredde ne sopprimono l’attività. Ebbene, l’Atlantico è in una fase calda dal 1995, il che ha causato per tanti anni uragani molto violenti”. 

    L’influenza di El Niño e La Niña

    A determinare gli uragani atlantici concorrono, però, anche le temperature dell’oceano Pacifico, che, proprio come avviene nell’Atlantico, oscillano tra fasi calde, chiamate El Niño, e fasi fredde, chiamate La Niña, ma con intervalli di tempo più brevi tra le une e le altre.

    Clima

    La fine di El Niño è arrivata. Ci darà un’estate meno calda? Se non succede abbiamo un problema

    di Giacomo Talignani

    16 Aprile 2024

    La Niña promuove il movimento ascendente dell’aria sull’Atlantico, che alimenta consistenti nubi di pioggia e precipitazioni più intense. Inoltre, indebolisce gli alisei, venti regolari in direzione e costanti in intensità tipici delle regioni tropicali, riducendo il wind shear verticale, ovvero una variazione nell’intensità e nella direzione del vento tra l’atmosfera superiore e l’atmosfera inferiore, vicina alla superficie terrestre. E quando il wind shear diminuisce aumenta la probabilità di uragani. Al contrario, El Niño favorisce alisei forti, incrementando il wind shear. Inoltre, concentra il movimento ascendente e le precipitazioni nel Pacifico, innescando un movimento discendente e il bel tempo sull’Atlantico.

    Crisi climatica

    El Niño, gli effetti che preoccupano gli scienziati: eventi meteorologici estremi e temperature record

    di Matteo Marini

    15 Giugno 2023

    La preoccupazione degli scienziati

    Negli ultimi anni le elevate temperature dell’Atlantico si combinano con La Niña e ciò ha determinato, per esempio, il record di uragani del 2020. I meteorologi si aspettano che lo stesso avvenga quest’anno. “Ci sono sicuramente tutti gli elementi per una stagione molto attiva”, conferma Ken Graham, direttore del National Weather Service, “e gli scienziati sono preoccupati. Anche perché, in presenza di un oceano caldo, le tempeste possono intensificarsi anche in ambienti moderatamente sfavorevoli. È accaduto nel 2019, quando la tempesta, pur circondata da aria secca, si è rapidamente intensificata fino a diventare un potente uragano che si è abbattuto sulle Bahamas, provocando morti, feriti e ingenti danni”. LEGGI TUTTO

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    Via l’arsenico dall’acqua: una membrana contro l’inquinante

    L’arsenico è uno degli elementi più tossici presenti sulla Terra e può essere presente anche in una sostanza primaria per la nostra vita: l’acqua. Secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, l’arsenico viene classificato come un cancerogeno di Classe 1, motivo per cui l’Oms ha stabilito una soglia massima di concentrazione nell’acqua di 10 microgrammi per litro, superata la quale diventa potenzialmente nocivo per l’organismo umano. L’arsenico è naturalmente presente nelle acque sotterranee, ma gli organismi preposti al controllo dell’acqua potabile, applicano un costante monitoraggio, per garantire un elevato standard qualitativo. 

    Ma è altrettanto importante verificare, che l’acqua potenzialmente “contaminata” non venga utilizzata per l’irrigazione, perché l’elemento tossico finirebbe comunque nella catena alimentare. Rimuovere l’arsenico non è semplice, infatti, ci sono numerosi studi a livello internazionale per sviluppare le tecnologie più idonee in grado di rimuoverlo in maniera efficiente dalle acque. Un team di ricerca dell’Istituto per la tecnologia delle membrane (Cnr-Itm) ha sviluppato una nuova membrana che può selezionare l’arsenico, abbattendone la sua concentrazione nelle acque, grazie al finanziamento da parte della Regione Calabria, del progetto denominato “Separazione dell’arsenico dalle acque mediante processi a membrana”.

    Il dossier

    È l’uomo la specie più esposta all’inquinamento chimico

    di Cristina Nadotti

    19 Gennaio 2023

    “La problematica maggiore è stata sviluppare una membrana che potesse selezionare due forme chimiche dell’arsenico inorganico, As(III) e As(V), le più tossiche, che le tecnologie attualmente applicate, le nanofiltrazioni e l’osmosi inversa non riescono a rimuovere”, spiega Alberto Figoli, direttore del Cnr-Itm, che per produrre la tecnologia innovativa ha esteso la collaborazione all’Università della Calabria, l’Università di Pisa, l’Istituto di nanotecnologie del Cnr ed altri centri di ricerca accademici internazionali. 

    “Il nostro studio si è concentrato sull’altopiano della Sila in Calabria, dove abbiamo analizzato delle acque con un’elevata variabilità chimica, generate dalla diversità e complessità geologica calabrese, dove a seconda delle varie zone esaminate, c’era una maggiore o minore presenza di arsenico, determinata da alcuni tipi di rocce”, ha aggiunto Figoli, che insieme al suo team è partito dalla mappatura per risalire alle zone in cui la presenza di rocce, fosse responsabile del rilascio dell’arsenico nell’acqua di falda. Dopodiché è entrata in azione la membrana innovativa realizzata in laboratorio.

    Il caso

    Nel Mar Baltico 300mila tonnellate di munizioni che inquinano e preoccupano l’Ue

    di Fiammetta Cupellaro

    29 Settembre 2023

    Di fatto la membrana è come se fosse un foglio, che potrebbe essere inserito direttamente negli impianti di potabilizzazione o applicato sul rubinetto in cui da un lato c’è la soluzione che permea l’acqua con l’arsenico, mentre dall’altro lato esce il liquido purificato. “Abbiamo sviluppato una membrana porosa che permette di far passare acqua e sali in essa disciolti, quindi tutto il contenuto minerale già presente, ma che rimuovesse solo l’arsenico. Nello specifico abbiamo disegnato un liquido ionico polimerizzabile con delle funzioni a base di zolfo, che interagiscono con la molecola dell’arsenico, lo legano e lo bloccano, lasciando passare solo l’acqua. Una volta assorbito l’arsenico, l’acqua poteva essere rigenerata”, sottolinea ancora Figoli.L’idea alla base del progetto, dunque, non era tanto indagare il contenuto dell’acqua in bottiglia o di quella che arriva nelle nostre case, che subiscono rigidi controlli, piuttosto l’acqua usata in agricoltura per irrigare, che finirebbe in ortaggi e frutta, “per questo avevamo pensato di realizzare un impianto di filtrazione da mille litri al giorno con la nostra membrana, del tutto sostenibile collegato con l’energia solare, in modo da poter essere trasportato anche in zone più remote a scopo agricolo”, aggiunge Figoli. Finito l’esperimento in laboratorio, il gruppo di ricerca del Cnr-Itm auspica che ci sia interesse di aziende nel produrre la membrana per rendere il bene primario, oltre che prezioso, anche più sicuro. LEGGI TUTTO