5 Giugno 2024

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    Unicef: “Il cambiamento climatico è una minaccia per i bambini”

    Un aumento di 1°C della temperatura nei paesi a basso reddito porta a un aumento di 16,6 bambini su mille che muoiono prima di compiere un anno di età, mentre le probabilità di bambini nati morti e di nascite pretermine aumentano del 5% per ogni aumento di 1°C della temperatura. “I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia unica per la salute e il benessere dei bambini e delle madri in gravidanza”. Ad affermarlo sono i ricercatori che per conto dell’Unicef, in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente, hanno redatto il rapporto ‘A threat to progress: Confronting the effects of climate change on child health and well-being’. E i medici non hanno dubbi. Il rapporto sottolinea infatti la connessione tra i principali rischi climatici, come il caldo estremo, la siccità, gli incendi, con i fattori moltiplicatori (la scarsità d’acqua, l’insicurezza alimentare, gli sfollamenti) e le vulnerabilità, tra cui lo status socioeconomico. 

    L’esposizione ai rischi legati al clima, ricorda l’Unicef,  è legata “a complicanze in gravidanza ed esiti negativi alla nascita, soprattutto parto pretermine, basso peso alla nascita e bambini nati morti; malnutrizione dei bambini, compresi malnutrizione cronica, acuta e carenze di micronutrienti; malattie infettive killer come la malaria e la dengue, che si stanno intensificando con il cambiamento climatico; malattie non trasmissibili come le malattie legate al caldo, l’asma, le malattie croniche metaboliche e cardiovascolari; impatto sul neurosviluppo e sulla salute mentale, tra cui ritardi nello sviluppo, disfunzioni cognitive e depressione; effetti sul benessere, tra cui perdita di apprendimento, violenza, abuso e sfruttamento; lesioni derivanti dall’esposizione a rischi estremi, tra cui annegamento e ustioni”.

    Siccità, alluvioni, inquinamento 

    Inoltre, il rischio che avvenga un evento simile alla siccità senza precedenti come quella del 2022 nel Corno d’Africa, che ha colpito più di 20 milioni di bambini e causato almeno 20 mila morti in più di piccoli sotto i cinque anni, è stato stimato essere diventato 100 volte più probabile a causa del cambiamento climatico causato dall’uomo. Non solo. Ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo d’aria (mg/m3) di PM2,5 emanato dagli incendi è stato associato a un aumento del 2,3% del rischio di mortalità dei bambini sotto i 5 anni. Rispetto al PM2,5 proveniente da altre fonti, il PM2,5 rilasciato dagli incendi boschivi è infatti circa 10 volte più dannoso per la salute respiratoria dei bambini, in particolare per quelli di età inferiore ai 5 anni. 

    Uno studio, spiega ancora l’Unicef, ha rilevato che i neonati che vivevano in aree a rischio di inondazioni in Bangladesh avevano l’8% in più di probabilità di morire rispetto a quelli che non erano esposti alle inondazioni, dramma che ha portato a oltre 150 mila morti infantili in eccesso negli ultimi 30 anni. Infine, l’inquinamento atmosferico è associato ad un aumento del rischio di morte infantile e di esiti avversi alla nascita, con circa 2 milioni di nascite pretermine all’anno attribuite all’esposizione al particolato ambientale. 

    L’appello: la salute dei piccoli è la priorità

    “Ogni bambino – scrivono i ricercatori dell’Unicef nel report – ha diritto a vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile” e per questo l’organizzazione chiede a tutti, compresi i governi e il settore privato, di  ridurre le emissioni per raggiungere la soglia di 1,5°C per garantire l’interesse dei bambini e dando priorità agli sforzi di mitigazione che affrontano molteplici sfide e forniscono chiari co-benefici per la loro salute. Si chiede anche di “proteggere i bambini dall’impatto dei cambiamenti climatici, assicurando che le politiche e gli impegni in materia di clima, come i contributi determinati a livello nazionale, i Piani Nazionali di Adattamento e i quelli dei settori sanitari e determinanti per la salute, rispondano alle esigenze dei bambini esposti ai rischi climatici”. E, infine, di “dare priorità alla salute e al benessere dei bambini nelle politiche, negli investimenti e nelle azioni per il clima”. LEGGI TUTTO

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    La startup romana che porta i motorini in sharing a Milano

    Milano, da sempre all’avanguardia nelle soluzioni di mobilità urbana, si trova di fronte a una sfida significativa, quella che molti hanno definito la crisi del settore dello scooter sharing. L’addio di Cityscoot (fallita e di recente acquisita dalla rivale Cooltra per una cifra pari a 400 mila euro), e la decisione del colosso spagnolo dell’energia Acciona di sospendere il servizio in Italia, ha aperto spazi per test commerciali di altre realtà emergenti. Prima fra tutti la startup romana Scuter, che a partire da questa estate pianifica lo sbarco con una prima flotta di 200 ciclomotori che sfrecceranno per le strade di Milano. Veicoli arancioni, elettrici, dotati di tre ruote, un tettuccio antipioggia che consente di circolare anche senza casco, ma con cintura di sicurezza e una comoda poltrona con schienale. Prodotti su progetto e brevetti di Scuter in un sito ex indotto Honda, la IAT del distretto di Casoli, in Abruzzo, e appoggiandosi su altri partner italiani per produzione dei componenti, come la Isotta di Bologna. Una sfida che segna un punto di svolta per il settore, perché solleva domande importanti sul futuro della mobilità condivisa nella metropoli lombarda (e non solo), e perché racconta una visione del tutto nuova per l’industria automotive italiana.Perché Milano? “Abbiamo scelto Milano perché è la città che in Italia ha la maggior propensione alla mobilità sharing – spiega Gianmarco Carnovale, co-fondatore e CEO di Scuter – partendo con un test che sarà un trampolino di lancio verso altre città europee, con l’obiettivo di essere presenti nel medio periodo in cento città, soprattutto attraverso il modello del franchising, oltre che con flotte private per le aziende”.

    Startup

    Le consegne in cargo bike per un delivery etico e sostenibile

    di Gabriella Rocco

    19 Aprile 2024

    La crisi degli operatori di scooter sharing, a Milano come altrove, può essere attribuita a vari fattori. Tra questi, i costi elevati di gestione e manutenzione dei motorini, le sfide logistiche e normative, e soprattutto l’audience ristretta di un tradizionale mezzo a due ruote per problemi di sicurezza e di meteo. Inoltre, la pandemia ha avuto un impatto significativo, modificando le abitudini di mobilità dei cittadini e riducendo la domanda per questi servizi, anche a causa della logica ritrosia a condividere un casco tra chissà quanti utilizzatori, sia pure usando una cuffietta. E pensare che, solo nel 2019, in città erano presenti ben sei aziende con i rispettivi servizi di scooter sharing: MiMoto, Cooltra, Zig Zag, GoVolt, Cityscoot e Acciona. Di questi, ad oggi, rimane traccia solo dell’operatore catalano Cooltra in città.”Senz’altro il motivo principale che a mio avviso ha reso poco sostenibile il business per le altre società sono i costi di manutenzione, che in alcuni casi incidono sul 45% dei ricavi. Con Scuter contiamo di abbatterli con veicoli molto resistenti che uniscono le caratteristiche di bici, ciclomotori e macchinette elettriche, ma pensati esclusivamente per la sharing mobility. A chi diceva: è un mercato affollato, oggi rispondo: l’intera industria europea dello sharing ha raggiunto solo l’1% della mobilità urbana, mentre il 99% degli utilizzatori si muove ancora con mezzi di proprietà come ha fatto per decenni. L’affollamento è una leggenda, la partita è tutta da giocare, e noi con un approccio basato su tecnologia e mezzi proprietari che offrono vantaggi unici, per l’utenza come per noi stessi, entriamo in un cosiddetto oceano blu”.

    Scuter e le sfide di mobilità elettrica condivisa

    Pensati per la mobilità sostenibile: con parti plastiche ridotte al minimo essenziale, omologati da poche settimane a livello europeo, quindi targati e normati dal codice della strada senza bisogno di regolamenti speciali, sicuri, comodi, semplici e resistenti, i veicoli Scuter circolano e si parcheggiano sulle strade ordinarie.Non solo, i veicoli sono tutti made in Italy, generando così anche indotto industriale nel Paese: costruiti in Abruzzo in un sito ex indotto Honda a Casoli, con molti produttori di componenti distribuiti tra Campania, Lazio, Abruzzo, Marche ed Emilia Romagna, ma soprattutto sono il frutto di un percorso di ricerca e sviluppo durato anni attraverso cinque generazioni di prototipi e sostenuto da un investimento di quasi 4 milioni di euro cumulati tra finanziatori privati tra cui Zest Group, business angels come Cdp Venture Capital,  finanziatori come Intesa San Paolo, ed una erogazione a fondo perduto dell’Unione europea per le più promettenti startup cleantech assegnata tramite Enel.I soci fondatori sono quattro: Gianmarco Carnovale, (CEO) focalizzato su venture design, business modeling e visione trasformativa, Luca Ruggeri (CTO) su elettronica e software, Gabriele Carbucicchio (CFO) su company affairs e rapporti con la filiera produttiva, e Carmine di Nuzzo (CDO) su design e progettazione meccanica e che vanta un premio Compasso d’Oro, un mix di esperti provenienti dal mondo dell’automotive, delle telecomunicazioni e delle startup tecnologiche.Nel 2015 i quattro fondatori si sono uniti intorno all’idea di decarbonizzare le città e ridurre il traffico rendendo più efficiente la mobilità urbana personale con un sistema tecnologico pensato come una infrastruttura di smart mobility, data & energy grid, integrato intorno al un mezzo stradale disegnato e ingegnerizzato per essere usato assiduamente e in sicurezza in un servizio di sharing da parte di una utenza più ampia di quelle delle diverse tipologie di veicolo esistenti. 

    Dove nascono e come si ricaricano

    Prototipati nella sede di Scuter di Caserta, e realizzati in serie da terzisti nella zona industriale di Casoli, storico distretto della moto in provincia di Chieti, i ciclomotori arancioni sono dotati di cabina protettiva, telaio in alluminio e accreditati di una velocità di 45km/h di velocità, con circa 100 km di autonomia, questo veicolo si guida senza casco ma con le cinture di sicurezza, e con qualsiasi patente, a partire dal patentino AM. La ricarica avviene tramite sostituzione della batteria, senza dover stazionare allacciato a delle colonnine.

    Il veicolo si collega ad una piattaforma cloud basata su sistemi di Intelligenza artificiale e ad una app per smartphone, e non solo: l’armadio di ricarica delle batterie in futuro integrerà funzioni di smart grid, fungendo da accumulo energetico per il supporto alle fonti rinnovabili. Scuter è pensato per lo spostamento degli utenti fino al medio raggio, diversamente dalla micromobilità che copre il cosiddetto “last mile”, ma il sistema nel suo complesso è pensato anche come una piattaforma smart city per la transizione ecologica tramite la riduzione del traffico e la decarbonizzazione attraverso l’effetto di sostituzione delle utilitarie private in città, e per il monitoraggio di numerosi parametri dell’ambiente urbano attraverso sensori di bordo.

    L’obiettivo dell’azienda è di portarli sulle strade di Milano entro la fine dell’estate, senza stalli fissi, prenotabili attraverso una semplice app con costi che variano in base ai minuti di utilizzo, per offrire ai cittadini la comodità ed il raggio di spostamento delle auto, la velocità di spostamento e di parcheggio dei ciclomotori (esattamente doppia, nel traffico, rispetto alle automobili), e la facilità d’uso delle bici.

    “Un futuro in cui la mobilità condivisa sostituirà il veicolo di proprietà”

    Il futuro di Scuter? “Come azienda cleantech puntiamo su un futuro in cui la mobilità condivisa sostituirà completamente il veicolo di proprietà. Anche se ad oggi manca ancora una legge nazionale sullo sharing, l’impatto di una adozione di massa di questa forma di mobilità può essere incredibile: un mezzo in sharing può toglierne dalle strade urbane 10 o 20 di proprietà, e se pensiamo che quelle da sostituire sono per lo più automobili, peraltro con un’età media di 12 anni e molto inquinanti,  c’è da considerare il fattore ulteriore di un ingombro che nel nostro caso è un sesto di un’utilitaria, pur offrendo una sicurezza e comodità che è ben superiore a quella di un ciclomotore. Di fatto, quindi, attraverso l’attività di ricerca e test che abbiamo svolto per anni come il primo produttore automotive ed operatore di sharing del mondo, puntiamo a rendere massiva questa forma di mobilità individuale ed aiutare le città a liberarsi dal traffico privato, rendendo così più sostenibili ed efficaci anche le altre forme di mobilità come quella collettiva o quella dolce”.Mentre le città si sforzano di trovare un equilibrio tra sostenibilità ambientale e fattibilità economica, l’esperienza del laboratorio milanese potrebbe offrire lezioni preziose per altri operatori che decidono di affrontare queste sfide per migliorare l’ecosistema della mobilità urbana. L’innovativo modo di muoversi basato sulla condivisione dei mezzi resta imprescindibile per le metropoli e i centri che vogliono essere sempre più sostenibili, perché è l’unica via che può rimuovere le ingombranti ed inquinanti utilitarie private dalle strade, offrendo una reale alternativa ai cittadini.”Per Scuter, Milano sarà la tipica apertura flagship di un modello che poi si svilupperà con licenze e partnership, attraverso gestori in altre città che spazieranno tra società utility, comuni o municipalizzate dei trasporti, imprenditori o comunità energetiche, in cui noi manterremo il ruolo di gestore della piattaforma e il partner si occuperà esclusivamente della flotta locale”. LEGGI TUTTO

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    Podcast – Pianeta Green&Blue “Giornata mondiale dell’Ambiente: serve un patto tra generazioni”

    Episodio 1 Episodio 2 Episodio 3 Episodio 4 Episodio 5 Episodio 6 Episodio 7 Episodio 8 Episodio 9 Episodio 10 Episodio 11 Episodio 12 Episodio 13 Episodio 14 Episodio 15 Episodio 16 Episodio 17 Episodio 18 Episodio 19 Episodio 20 Episodio 21 Episodio 22 Le temperature che salgono, i mari che si innalzano, gli eventi […] LEGGI TUTTO

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    Giornata mondiale dell’ambiente ed elezioni europee: l’Europa non deve perdere la leadership su clima e green economy

    Alla vigilia delle elezioni europee, Italy for Climate, centro studi della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, pubblica un rapporto dettagliato che sfata i falsi miti sulla transizione energetica ed evidenzia il potenziale dell’Unione Europea per non perdere la leadership mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico. Il rapporto, intitolato “Europa, un voto per il clima”, esamina i pregiudizi che vedono la transizione energetica come una minaccia e mette in evidenza le opportunità che essa rappresenta per l’Europa e che sono stati al centro del dibattito politico in vista delle prossime elezioni europee.”Le prossime elezioni sono un banco di prova importante per capire se l’Unione europea continuerà a perseguire un ruolo di leadership nella transizione energetica e nella nuova economia di domani”. – spiega Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – “Ancora in troppi ritengono che ignorare la realtà, la gravità delle alluvioni e delle ondate di calore della crisi climatica, sia realismo e che le analisi e le valutazioni scientifiche in merito siano solo opinioni alle quali contrapporre loro diversi pareri. La sottovalutazione della reale portata della crisi climatica è ormai diventata, essa stessa, parte del pericolo: porta ad attaccare le misure necessarie per affrontarla, senza indicare alternative, lasciando così che continui a peggiorare. Questa sottovalutazione porta anche ad essere impreparati ad affrontare i conflitti generati da un cambiamento di vasta portata come la decarbonizzazione”.

    “L’Ue è uno dei 4 grandi emettitori che, da soli, sono responsabili di oltre la metà delle emissioni globali. Insieme questi big emitters rappresentano anche una quota rilevante del mercato globale e dettano standard a cui anche le altre economie devono adattarsi. La transizione energetica è già in corso e sta già orientando in modo sostanziale i flussi di investimenti globale che oramai sempre di più puntano sulle rinnovabili, sull’efficienza, sull’elettrificazione mentre cominciano ad arretrare dal mondo dell’oil&gas. Questi trend sono destinati a rafforzarsi nei prossimi anni, anche se per scongiurare il precipitare della crisi climatica dovranno farlo molto più velocemente. Se dalle prossime elezioni verrà fuori un’Europa che tenterà di rallentare questa trasformazione invece di puntare su di essa, sarà un grave danno per il mondo intero ma soprattutto per il futuro stesso dell’Unione, che rischierà di essere marginalizzata nel nuovo contesto economico globale.”, aggiunge Andrea Barbabella, Coordinatore di Italy for Climate. 

    l rapporto analizza cinque Falsi Miti sulla Transizione Energetica:

    Perdita di competitività: C’è il timore che l’UE, accelerando sulla decarbonizzazione, rischi di perdere competitività sul mercato globale. Tuttavia, la transizione energetica è in corso e un numero crescente di imprese sta già rivedendo le proprie priorità di investimento. Dal 2016, gli investimenti globali nelle energie pulite hanno superato quelli nei combustibili fossili, con 1.700 miliardi di dollari investiti nelle energie pulite nel 2023 rispetto ai poco più di 1.000 miliardi nei combustibili fossili e questo trend è destinato a rafforzarsi nel tempo. 
    Impatto sull’economia e occupazione: Si crede che le politiche climatiche troppo ambiziose dell’UE possano danneggiare economia e occupazione. In realtà, la crisi climatica rappresenta la principale minaccia per l’economia e investire nella transizione è conveniente. Gli interventi necessari per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 costerebbero l’1-2% del PIL mondiale, ma eviterebbero costi fino al 9% del PIL causati dalla crisi climatica. Inoltre, il numero di occupati nel settore delle energie pulite ha già superato quello dei combustibili fossili e si prevede che continui a crescere. 
    Ruolo dell’UE nelle emissioni globali: Si pensa che l’UE possa fare poco o nulla sulle emissioni globali e debba attendere che tutti i Paesi si mettano d’accordo. In realtà, l’UE è il quarto emettitore al mondo e insieme agli altri big emitters (Cina, USA e India) produce il 54% delle emissioni globali. L’azione dell’UE può quindi incidere significativamente sugli equilibri climatici globali. 
    Obiettivi troppo ambiziosi: Si ritiene erroneamente che l’UE stia perseguendo obiettivi troppo ambiziosi e dovrebbe rallentare. In realtà, la crisi climatica sta accelerando più del previsto, con la temperatura media globale nel 2023 che ha registrato un aumento di +1,48°C rispetto al periodo preindustriale. L’UE è l’unica tra i grandi emettitori ad aver ridotto le emissioni dal 1990 ma non è ancora in linea con gli obiettivi sottoscritti a Parigi nel 2015. 
    Neutralità tecnologica: L’idea che l’UE debba adottare un approccio di neutralità tecnologica, evitando di fissare obiettivi specifici e vincolanti per le singole tecnologie, è errata. Per affrontare la crisi climatica e azzerare le emissioni nette entro il 2050, è necessario dare un segnale chiaro agli operatori economici sulle prospettive di crescita e di investimenti delle singole tecnologie. L’Agenzia Internazionale dell’Energia, ad esempio, raccomanda di sospendere la vendita di nuove caldaie a gas entro il 2025 e di fermare la vendita di auto a combustione interna entro il 2035.

    Confronto tra i Big Emitters:

    Il rapporto presenta anche un’analisi comparativa tra Cina, USA, India e Unione Europea, evidenziando i progressi fatti e soprattutto gli impegni messi in campo per accaparrarsi la leadership economica e tecnologica nella transizione:

    Cina: Primo emettitore globale con un aumento delle emissioni del 285% dal 1990 al 2022. Nel 2023 ha investito 673 miliardi di dollari nella transizione energetica e prevede di installare oltre 1.200 GW di capacità rinnovabile entro il 2025. La Cina è il primo emettitore ma anche il primo investitore in tutti gli ambiti della transizione energetica.
    USA: Le emissioni sono diminuite del 2,4% dal 1990 al 2022. Gli investimenti nella transizione energetica hanno raggiunto i 303 miliardi di dollari nel 2023, con obiettivi di riduzione del 50% delle emissioni dal 2005 entro il 2030 e neutralità climatica entro il 2050. In rapporto alla popolazione, gli USA mantengono il primato di emissioni pro capite e hanno cominciato tardi a ridurre le emissioni ma ora sono di nuovo in corsa fra i leader della transizione.
    India: Ha aumentato le emissioni del 174% dal 1990 al 2022, ma è ancora uno dei Paesi con le emissioni pro capite più basse (2,8 tCO2eq/abitante). Nel 2023 ha investito 31 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili. L’India affronta la sfida di costruire una nuova superpotenza globale puntando da subito sulla transizione green.
    UE: Ha ridotto le emissioni del 27% dal 1990 al 2022. Con un investimento di 360 miliardi di dollari nel 2023, l’UE si impegna a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L’UE è l’unica ad aver ridotto le emissioni rispetto al 1990. 

    Benchmark tra i Paesi europei:

    La valutazione dei 27 Stati membri mostra le diverse performance nella corsa alla neutralità climatica in base a 22 indicatori appartenenti a 8 macro categorie:
    Emissioni: L’Italia ha ridotto le emissioni del 20% dal 1990, un dato inferiore alla media UE del 29%. L’Italia si colloca quindi al di sotto della media europea in termini di riduzione delle emissioni. Le emissioni di gas serra nei settori sotto il Regolamento Effort Sharing (Edifici, Trasporti, Agricoltura e gestione dei rifiuti) sono diminuite del 19% in Italia tra il 2005 e il 2022, leggermente meglio della media UE, ma peggio di Francia, Spagna e Germania. Inoltre, l’Italia è l’unico grande Paese europeo a non aver rispettato il limite target annuale del 2022.
    Efficienza Energetica: I risparmi energetici in Italia sono inferiori alla media UE. Questo indica che l’Italia deve fare di più per migliorare l’efficienza energetica dei suoi edifici, dei trasporti e delle industrie. Tra il 2000 e il 2021, l’Italia ha conseguito un risparmio energetico del 19%, una delle performance più basse dei 27 Paesi UE, leggermente peggiore della media UE del 20%.
    Rinnovabili: La quota di energia da fonti rinnovabili in Italia è del 19%, inferiore alla media UE del 23% e di tutte le grandi economie, ad eccezione della Polonia. Per quanto riguarda i consumi elettrici da fonti rinnovabili, l’Italia si attesta al 37%, sotto la media UE del 41%. Nel 2023, l’Italia ha installato 5,7 GW di nuovi impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili, mentre la Germania ha raggiunto un record di 18 GW.
    Industria: Nel settore industriale, l’Italia ha conseguito un risparmio energetico del 26% negli ultimi vent’anni, superando la media UE del 21% e mantenendosi in linea con le altre grandi economie, ad eccezione della Polonia. Inoltre, la quota di consumi elettrici nel settore industriale italiano è del 39%, superiore alla media UE del 33%, posizionandosi tra le più alte dei 27 Paesi.
    Trasporti: Il settore dei trasporti rappresenta una delle principali sfide per l’Italia, che deve ridurre significativamente le emissioni di CO2, migliorare l’efficienza dei veicoli e incentivare l’adozione di veicoli elettrici.
    Edifici: L’efficienza energetica degli edifici italiani è ancora inferiore alla media europea. È essenziale potenziare gli incentivi per la ristrutturazione e l’efficienza energetica degli edifici residenziali e commerciali.
    Agricoltura: L’agricoltura italiana deve affrontare sfide importanti per ridurre le emissioni di gas serra, migliorando le pratiche di gestione del suolo e delle risorse idriche.
    Vulnerabilità climatica: L’Italia ha subito danni economici superiori alla media europea a causa di eventi meteo-climatici estremi. Questa vulnerabilità sottolinea l’urgenza di adottare misure di adattamento ai cambiamenti climatici e di ridurre le emissioni di gas serra. Dal 1980 al 2022, l’Italia ha subito perdite economiche pari a 1.918 € per abitante, superiori alla media europea, ma inferiori rispetto a Germania, Spagna e Francia.

    Il rapporto completo è disponibile sul sito di Italy for Climate.

    Italy for Climate è un centro studi della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in partnership con Enea, Ispra ed RSE, e promosso da A2A, Chiesi, Conou, Davines, Edison, Elettricità Futura, H&K Strategies, illy, Italian Exhibition Group, Terna. LEGGI TUTTO