Maggio 2024

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consigliato per te

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    Telare la materia

    Benetton Group è una delle aziende di moda più note nel mondo, presente nei principali mercati con una rete commerciale di circa 3600 negozi; un Gruppo responsabile che progetta il futuro e vive nel suo tempo, attento all’ambiente, alla dignità delle persone e alle trasformazioni della società. 

    Nel rispetto della sua storia costruita sull’innovazione – attraverso il colore, la rivoluzione del punto vendita, un network commerciale unico, una comunicazione universale da sempre fonte di dibattito culturale e sociale – Benetton Group affronta l’attuale contesto globale con uno sguardo sempre aperto e proiettato al futuro. 

    Fedele alla sua anima pionieristica e sperimentatrice l’azienda, attraverso il Dipartimento di Sostenibilità, crede nei giovani talenti che crescono a Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione, e supporta Telare la Materia: un progetto di design sostenibile nato e sviluppatosi a Fabrica durante la residenza artistica di Davide Balda dedicata al tema Co-ecologies. L’obiettivo: proporre una serie di applicazioni per fronteggiare l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente e favorire lo smaltimento di capi d’abbigliamento invenduti.  A partire dagli indumenti della linea Green B, Balda mostra come è possibile ridurre i capi in fibre tessili, sia sintetiche che organiche, che possono poi essere riutilizzate in diverse applicazioni. Per questa occasione, i materiali ottenuti dal processo di rigenerazione saranno anche protagonisti dell’allestimento del palco del festival, dove si alterneranno scienziati, attivisti, istituzioni e aziende impegnate nella sostenibilità. LEGGI TUTTO

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    Impegno climatico per le elezioni europee, i voti di Italian Climate Network ai partiti italiani

    Il Green Deal è al centro delle elezioni europee: o per smontarlo o per chiederne il rafforzamento. Eppure, sebbene finora ci sia stata battaglia su ogni singolo provvedimento del patto verde che mira alla riduzione delle emissioni e la neutralità climatica dell’Ue nel 2050, i temi che animano il piano lanciato da Ursula Von der Leyen nel 2019, come la lotta alla crisi climatica, la decarbonizzazione o la cura dell’ambiente, per diversi partiti italiani (soprattutto di centrodestra) non sono affatto centrali. Anzi. Una recente analisi condotta dall’associazione no profit Italian Climate Network ci parla della totale insufficienza, da parte di partiti come Lega oppure Fratelli D’Italia, di impegni nei programmi elettorali relativi a cambiamenti climatici o natura.L’Indice di impegno climatico per le elezioni politiche europeo  è nato con un sistema simile a quello utilizzato per fare lo stesso confronto con le elezioni nazionali del 2022. Circa venti scienziati, esperti o professori che operano nel mondo della scienza e del clima, hanno valutato in maniera indipendente e con valutazione anonima i programmi dei partiti in vista delle elezioni dell’8-9 giugno. Dieci i criteri utilizzati che vanno dalla centralità dell’impegno sino alle posizioni sulla fuoriuscita delle fonti fossili, così come l'”ambizione” dei vari partiti, oppure il loro “inattivismo” o ancora i punti di vista negazionisti.Il quadro che emerge analizzando programmi e dichiarazioni dei 12 partiti ammessi alle elezioni è “una situazione molto polarizzata, tra chi prende veramente sul serio la questione climatica e chi invece punta a delegittimare la recente politica climatica Europea” scrivono da Italian Climate Network. Il peggiore in assoluto nel prendere impegni sul clima e trattare la questione ambientale nei programmi che puntano a disegnare l’Europa dei prossimi cinque anni è Libertà di Cateno De Luca, che come media dei criteri valutati, in voti che vanno da uno a dieci, raggiunge un voto di 2.Appena sopra c’è la Lega di Matteo Salvini, 2,3 la media, per un partito che ha fatto diventare la lotta al Green Deal perfino uno slogan elettorale. Seguono Forza Italia (3,1) e Fratelli d’Italia (3,5). Insufficienti anche Stati Uniti d’Europa (4,1). Male anche Azione Siamo Europei (4,9) di Carlo Calenda. Chi per impegni e interessi sulle questioni verdi si avvicina, senza ottenerla, alla sufficienza, è Alternativa Popolare che totalizza 5,6. Solo quattro i partiti, per lo più di centrosinistra, che ottengono la sufficienza e addirittura l’eccellenza nell’affrontare la questione climatica e ambientale.Si va dal 6,6 di Pace Terra e Dignità sino all’8,3 ottenuto come media dal Partito Democratico. Meglio ancora fanno il Movimento Cinque Stelle, che totalizza un 8,6, e il migliore in assoluto è Alleanza Verdi Sinistra, che incassa dalle valutazioni un 9 tondo. Se nello specifico il tema del cambiamento climatico è centrale e strategico per Verdi, M5S o Pd, per alcuni partiti come la Lega (1,9) è praticamente assente, peggio ancora per Libertà (0.6).Guardando al punto chiave per la riduzione delle emissioni, ovvero la fuoriuscita dalle fonti fossili, le attuali forze di Governo sembrano ignorarla quasi completamente: Fratelli d’Italia e Forza Italia incassano un 2, la Lega 1,3.Inoltre, fanno notare gli autori dell’analisi, “rispetto alla scorsa edizione dell’Indice in cui nei programmi delle forze politiche spiccava una generale assenza di posizioni negazioniste, si assiste ora a una seppur lieve inversione di tendenza accompagnata dall’inattivismo che, nella media generale, non supera la sufficienza. Ciò vuol dire che, escluse le tre forze politiche con più alto indice di impegno climatico, in generale si tende a enfatizzare i pericoli e i costi della transizione energetica e dichiarare, in numerosi programmi, che è ormai troppo tardi per affrontare la crisi climatica”.Infine l’associazione precisa che la reale sufficienza per poter raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi – “quello per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di 2°C e fare uno sforzo per fermarsi a 1,5°C”- non è stata di fatto raggiunta quasi da nessun partito. Per riuscirci infatti non basta nemmeno un nove, “ma è necessario il massimo dell’ambizione e dell’impegno, quindi, non essere lontani dal massimo voto attribuibile, cioè 10”. LEGGI TUTTO

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    Italia al primo posto in Europa nella rigenerazione degli oli minerali

    Trasformare un rifiuto, altamente pericoloso per l’ambiente, in una risorsa non solo ha un grande valore nella lotta all’inquinamento, ma per un paese come il nostro povero di materie prime, significa un notevole ritorno economico. Una strategia che l’Italia sta applicando ormai su larga scala, sulla rigenerazione degli oli usati per cui è ora prima in Europa: il tasso di circolarità per questo scarto è infatti intorno al 100%. La media europea è di appena il 61% di tutto l’olio raccolto.

    Quando la finanza etica salvaguarda la biodiversità 

    13 Maggio 2024

    Ma se oggi l’Italia è al primo posto il merito è da ricondurre al lavoro del Conou, il Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli usati che dal 1984 coordina l’attività delle aziende di raccolta e le imprese di rigenerazione distribuite su tutto il territorio nazionale. Ma soprattutto garantisce grazie alla raccolta capillare che neanche un litro di olio di scarto pericoloso si disperda nell’ambiente. Sono numeri importanti quelli pubblicati nel Rapporto di sostenibilità 2023 dal CONOU, che ha illustrato lo stato della filiera dell’olio minerale usato in Italia e il relativo contributo alla salvaguardia dell’ambiente e alla lotta contro il cambiamento climatico.

    Sono 183mila le tonnellate raccolte di olio minerale usato, quasi tutte avviate al recupero: circa il 98% grazie al lavoro dei 59 concessionari che, nella attività di raccolta e micro-raccolta (si contano 6.641 conferimenti con 678 automezzi) hanno ritirato l’olio presso 103mila produttori su tutto il territorio nazionale. Si tratta, in particolare, di siti industriali (12%) e officine (88%). Delle tonnellate raccolte, il 50% deriva dalla micro-raccolta, ovvero di quantitativi ridotti anche in località impervie e lontane. Quasi tutto è diventato una nuova materia prima. Solo 2.800 tonnellate sono andate nei termovalorizzatori, mentre una quantità minima (600 tonnellate) è stata ceduta a appositi inceneritori per la termodistruzione. Oltre il 58% del totale raccolto arriva dal Nord e vede in cima alla lista delle regioni produttrici la Lombardia (22%) seguita dal Veneto (12%); le regioni del Centro contribuiscono con una raccolta del 18% (solo dal Lazio arriva il 7% come per la Campania che ne raccoglie la stessa percentuale). Il Sud e le isole arrivano al 23%.

    Biodiversità

    In Europa quasi una specie di alberi su due potrebbe non resistere al cambiamento climatico

    di Pasquale Raicaldo

    10 Maggio 2024

    Emissioni evitate

    Tradotto in termini di impatto ambientale significa che solo nel 2023 è stata evitata l’immissione in atmosfera di 127mila tonnellate di CO2. Stiamo parlando della stessa quantità di emissioni prodotte da migliaia di autotreni. Significa anche circa 7 milioni di GJ di combustibili fossili consumati in meno, un miglioramento della qualità del suolo e un minore sfruttamento (90%), 60 milioni di metri cubi di acqua risparmiata, un beneficio in termini di incidenza di malattie dovute all’emissione di particolato inferiore del 92%. 

    Risparmiati 105 milioni di euro 

    In 40 anni di attività il Conou ha raccolto oltre 7 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato di cui la quasi totalità avviate alla rigenerazione per produrre tonnellate di olio base. E non ci guadagniamo soltanto nella riduzione dei gas serra. Grazie alla rigenerazione, c’è anche un impatto economico e occupazionale importante. Recuperare l’olio usato ha portato a un risparmio di circa 105 milioni di euro sulle importazioni di materie prime fossili mentre il valore generato dal Conou è stato pari a 81 milioni di euro, registrando un aumento del 12% rispetto al 2022 e dando lavoro a 1.266 persone impiegate a vario titolo nella filiera della raccolta (65 aziende consorziate in tutta Italia) e nelle due imprese che gestiscono i tre impianti di rigenerazione di Lombardia, Lazio e Campania.

    Una galassia di aziende

    “La strada della trasparenza secondo gli standard Ue richiede applicazione, continuità e competenza – ha dichiarato il presidente del Conou Riccardo Piunti – i Rapporti di Sostenibilità chiamano sempre più professionalità ampie e multiformi per gestire, a livello complessivo, gli input tecnici, economici, ambientali, organizzativi che le diverse funzioni aziendali mettono a disposizione. La realtà consortile, non è un’azienda ma una galassia di aziende, rende questo compito ancora più complesso. Per questo siamo sempre molto soddisfatti del nostro rapporto di sostenibilità, certificato da un revisore di livello, che fotografa la nostra eccellenza in modo completo e veritiero, il nostro biglietto da visita in Europa”. Un’esperienza virtuosa da replicare anche in altri ambiti dove il nostro Paese è più in ritardo. LEGGI TUTTO

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    In Italia 1.200 chilometri di linee ferroviarie “sospese”: le tratte locali che aspettano

    Mentre è in svolgimento la X edizione Maratona Ferroviaria 2024 esce la pubblicazione del dossier “Futuro Sospeso 2024”, dedicato alle linee ferroviarie sospese (scaricabile in formato digitale a questo link). Si tratta di un elenco a cura dell’Alleanza per la Mobilità Dolce AMODO di 39 linee per totali 1.200 km che, se recuperate al trasporto passeggeri, potrebbero sviluppare un potenziale traffico ordinario (pendolare o anche escursionistico), senza spese eccessive, trattandosi di tracciati ancora in buone condizioni e, quindi, facilmente ripristinabili in tempi brevi. Per il quarto anno consecutivo, Biblioteca Cesare Pozzo, FIFTM, Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente, UTP AssoUtenti e Co.M.I.S. Coordinamento per la Mobilità Integrata e Sostenibile, hanno realizzato la rilevazione della situazione delle linee sospese su tutto il territorio nazionale, sottolineando le principali novità che riguardano soprattutto il Piemonte e la Sicilia.

    In Piemonte sono state riattivate le linee Asti – Alba e Casale Monferrato – Mortara, è stata introdotta una quarta coppia di corse sulla Cuneo – Ventimiglia, e c’è l’interessamento di un operatore privato, Longitude Holding Srl, per altre linee sospese. Purtroppo, la Regione Piemonte sembra ostinarsi, a non impegnarsi per un progetto concreto finalizzato alla graduale riapertura delle linee sospese, che in questa regione sono ancora 13 nonostante la domanda sempre più pressante che viene dai territori, sindaci, istituzioni, che reclama il ritorno del servizio su rotaia.

    I dati

    “Trasporti, l’Ue investe più sulle autostrade che sulle ferrovie: persi 15mila km di binari”

    a cura di redazione di Green&Blue

    19 Settembre 2023

    In Sicilia sono in corso di esecuzione i lavori di ripristino sulla ferrovia sospesa Noto – Pachino in Sicilia, sempre ad uso turistico, una delle 26 linee che deve essere riaperta secondo il Decreto del MIT146/2022 in attuazione della legge 128/2017, come anche la linea ferroviaria storica Alcantara – Randazzo, estesa per circa 37 km, che collega il versante settentrionale dell’Etna con la linea costiera ionica Messina-Catania. Per quest’ultima linea, che si dirama dalla stazione di Alcantara, ancora oggi in esercizio, è previsto il recupero dei primi 13 km dell’intera tratta entro il 2026, sempre grazie a fondi del PNRR.

    La Termoli – Campobasso da marzo 2023 è nuovamente sospesa a causa di un movimento franoso (pur limitato) e non vi è alcun programma di ripristino nell’immediato, anzi la Regione Molise ha deciso di non comprendere questa linea nel contratto di servizio con Trenitalia. Recentemente, ad aprile 2024, è stato affidato ad EAV, la società regionale ferro-gomma, l’incarico per il progetto definitivo per la trasformazione dell’intera tratta Torre Annunziata – Castellammare di Stabia – Gragnano in tram leggero. Presumibilmente entro la fine di quest’anno, si procederà con il bando di gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori che riguarderanno almeno il primo lotto, quello già finanziato tra Castellammare di Stabia e Gragnano, per un valore di circa 33 milioni di euro a valere sulle risorse FSC 2014-2020 per il finanziamento del CIS ‘Vesuvio-Pompei-Napoli’.

    I Fondi del PNRR per investimenti su ferrovie turistiche e locali sono in corso di utilizzo con interventi e potenziamenti su diverse reti, per esempio anche sulle reti del Trenino Verde in Sardegna. In Puglia il 22 maggio 2024, un treno di Fondazione Fs ha percorso la tratta Gioia del Colle – Altamura. Il calendario dei lavori, promossi da Fondazione FS e in via di completamento, prevedono la riattivazione ad uso turistico nell’estate 2024, grazie proprio a Fondi PNRR. In Calabria la spettacolare linea silana Cosenza – San Giovanni in Fiore (la più elevata d’Italia, visto che supera quota 1.400 metri slm), chiusa nel 2011 e riaperta al traffico turistico nel 2016, limitatamente alla tratta Moccone – Camigliatello e San Nicola – Silvana Mansio con il “Treno della Sila”, è interessata quest’anno da interventi da parte della società regionale Ferrovie della Calabria, attualmente chiusa, che ha promesso la riapertura in estate 2024.

    Progetti

    Treni ibridi, rinnovabili e materiali riciclati: la via al Net Zero del trasporto su ferro

    di Paola Rosa Adragna

    21 Novembre 2023

    Possiamo quindi dire, che “eppur” qualcosa si muove nella giusta direzione, anche se le risorse limitate, lentezze attuative, in alcuni casi una strategia ancora incerta se non negativa, sono presenti e diffuse. Permane qualche preoccupazione sulla capacità di spendere bene e nei tempi stabiliti i fondi PNRR.In Italia ci sono circa 1.200 chilometri di linee ferroviarie attualmente “sospese” all’esercizio, che meriterebbero di essere riaperte al traffico passeggeri. Che siano linee ancora efficienti, sui cui transitano le merci ma non i passeggeri, o tratte interrotte a seguito di crolli di viadotti o di eventi franosi o sospensioni “temporanee” per lavori protratte per anni (come la Bergamo-Brescia, chiusa per lavori per ben due anni), o semplicemente metodiche riduzioni del servizio per i mesi estivi o le festività, scorrendo il rapporto nasce spontaneo il sospetto che, per i decisori politici, il servizio ferroviario locale sia la “Cenerentola” della mobilità. LEGGI TUTTO

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    Mandarino al posto dell’arancia per la spremuta “colpita” dal clima: l’alternativa dei produttori brasiliani

    In un futuro, neanche troppo lontano, nelle bevande al succo d’arancia è molto probabile che troveremo mescolati altri frutti. Forse, mandarini. É uno degli effetti dei disastri climatici e delle malattie che stanno mettendo in crisi in modo profondo la coltivazione delle arance in Brasile e che potrebbero, se non si trova un’altra soluzione, cambiare anche i gusti dei consumatori. Non è un problema secondario visto che il Paese sudamericano rappresenta, da solo, un quarto della produzione globale di agrumi, di cui il 75% viene trasformato in succo. Da anni gli agricoltori brasiliani stanno fronteggiando prima gli uragani, poi la siccità, infine un insetto (il batterio greening) che ha provocato “l’inverdimento degli agrumi”. 

    Terminate le scorte di succo surgelato

    Anni difficili in cui la produzione si è via via ridotta. Raccolto dopo raccolto, i produttori di succo d’arancia hanno cercato in ogni modo di compensare le perdite che arrivavano dall’agricoltura, ad esempio mescolando succo congelato al raccolto dell’ultima stagione. Ma negli ultimi tre anni anche queste scorte si sono esaurite e ora non sembra rimasto altro che modificare la ricetta delle bevande ed esplorare vie alternative, come ad esempio provare ad inserire succo di mandarino. Perché i mandarini? Crescono su alberi più resistenti ai cambiamenti climatici. Lo racconta il Financial Times in un reportage in cui spiega, il grave impatto finanziario della crisi della produzione delle arance, su tutto il comparto delle bevande. Chiare le parole di Kees Cools, presidente dell’Associazione internazionale di frutta e verdura (Ifu) nell’intervista rilasciata al quotidiano finanziario. Per far fronte alla crisi delle arance si sta pensando di realizzare la bevanda con “diverse specie di frutta, che non intacchino la naturalezza e l’immagine del prodotto”.  

    L’intervista

    Record di temperature percepite in Brasile, il meteorologo: “Prepariamoci a condizioni estreme”

    di Pasquale Raicaldo

    19 Marzo 2024

    Dunque, proprio le prospettive negative del raccolto brasiliano – il 40% degli aranceti brasiliani è stato colpito dal batterio greening e il resto è stato danneggiato da temperature più alte della media e una produzione più bassa –  stanno ora diffondendo il panico sul mercato facendo schizzare i futures sul succo d’arancia. Alle ultime negoziazioni all’Intercontinental Exchange di New York, il prezzo della bevanda è stato quasi il doppio rispetto ad un anno fa. E stando alle stime dell’organizzazione dei coltivatori di agrumi, Fundecitrus, la produzione sudamericana si è ridotta di un quarto quest’anno.  

    Tecnologia e ambiente

    Tutto il succo che c’è: lo misura l’algoritmo salvando le arance dallo spreco

    di Fabio Marzano

    03 Maggio 2021

    I mandarini già sperimentati in Giappone

    Ma il crollo del raccolto delle arance in Brasile sta trascinando con se anche la produzione di bevande statunitensi. Negli anni anche la Florida, secondo produttore al mondo e prima regione di coltivazione degli Stati Uniti, aveva ridotto drasticamente la coltivazione delle arance, sempre a causa degli uragani e degli incendi, e per portare avanti l’industria delle bevande si era appoggiata al Brasile. Con il crollo della produzione sudamericana, ora negli Usa l’unica strada sembra quella di sostituire la materia prima e apportare un cambiamento radicale nell’industria del succo d’arancia. E anche qui le aziende si stanno riorganizzando per modificare la ricetta. Il mix di mandarini e arance si sta già sperimentando in Giappone, che  importa succo d’arancia prodotto al 90% da piante brasiliane e dove Seven & i Holdings (proprietario dei negozi della catena dei 7-Eleven) ha introdotto nella filiera una bevanda a base di arancia e mandarini. I tempi però negli Usa potrebbero lunghi visto che per introdurre questa modifica nell’industria statunitense è necessario un iter legislativo che ammetta la miscela sia nel Codex Alimentarius dell’Onu sia da parte di enti nazionali come la Food and Drug Administration. Nel frattempo, cosa accadrà? Kees Cools ha fatto capire che un cambio sarà inevitabile: “Non abbiamo mai visto nulla di simile, nemmeno durante le grandi gelate e i grandi uragani”. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival 2024, Oscar Farinetti: “Saranno i ventenni a salvare l’Italia”

    “Viviamo in una specie di sonno sentimentale che ci ha avvolto. Non mi piace l’atmosfera egoistica e cinica che respiriamo in questo periodo, quest’immobilismo. Sono collegati.  Per decidere bene non servono regole e divieti, perché alla fine contano i buoni sentimenti. Noi italiani dobbiamo recuperare la fiducia reciproca e il coraggio. Ci hanno aiutato in un momento difficile come il Dopoguerra, ci aiuterà anche ora a superare questa crisi”. Oscar Farinetti, imprenditore, scrittore, ex proprietario di Eataly, fondatore ora di Green Pea, un polo per acquisti sostenibili nell’ex Lingotto a Torino e autore di un nuovo libro 10 mosse per il futuro in cui racconta il proprio punto di vista per affrontare un futuro che ci fa paura. “Bisogna progettarlo giorno per giorno seguendo dieci semplici mosse”, spiega. E non è un caso che il libro sia dedicato alla generazione Zeta “perché è quella che ci salverà”.

    Allora, come vede il futuro dell’Italia?”Io sono ottimista e penso che, se è vero che abbiamo una serie di problemi da risolvere, è anche vero che abbiamo una montagna di opportunità. Un paese così non può fallire. Non esiste un luogo ricco di biodiversità come l’Italia: ghiacciai al Nord e vulcani attivi al Sud, al centro di un mare chiuso. Eppure oggi, ad esempio, esportiamo solo il 2% dei prodotti agroalimentari: una percentuale che può soltanto crescere. L’importante però è credere in se stessi, smettere di essere immobili. Bisogna dedicare il 5% del tempo ai problemi e 95% alle soluzioni. Penso sia arrivato il momento di cambiare mentalità”.

    Da dove partire?”Dalla fiducia reciproca, dalla bellezza del nostro paese, dai giovani, dall’agricoltura. Se fosse per me dichiarerei tutta Italia “biologica”: bisogna trasformare tutta l’agricoltura in bio. Si può fare: siamo dentro un mare. Isolati e incontaminati. Invece, guardiamo al futuro con sfiducia. Vorrei ricordare che nel sondaggio di Win-Gallup sul tasso di fiducia di 130 nazioni, l’Italia è arrivata ultima. Sembra incredibile. Abbiamo la fortuna di vivere in un  territorio con 58 siti patrimonio Unesco, una manifattura che tutto il mondo ci invidia, una grande biodiversità dal punto di vista agroalimentare. Eppure, siamo il popolo più sfiduciato del mondo”.

    Davanti però abbiamo la sfida più complicata, quella dell’emergenza climatica e della sostenibilità?”Sono convinto che sono emergenze che supereremo, ma a condizione di cambiare strada in almeno quattro settori, la transizione verso le energie rinnovabili, la riduzione il più possibile dello sversamento di plastica in acqua. Ogni anno ne scarichiamo tra i 4 e i 12 milioni di tonnellate: distruggiamo l’habitat e poi ci ritroviamo le microplastiche nel pesce che mangiamo. Poi, dobbiamo smettere con le coltivazioni intensive, così come con gli allevamenti che inquinano. In Italia abbiamo sei milioni di bovini, 13 milioni di maiali, 500 di polli e oltre l’80% vive in allevamenti intensivi. Tutto questo è sbagliato sia dal punto di vista etico che ambientale. E c’è un altro tema. Bisogna cambiare il modo di consumare. Il 90% degli scienziati dice che il nostro modello di consumo è diventato insostenibile”.

    Come possiamo cambiare le nostre abitudini alimentari e di consumo?”Il punto vero della sostenibilità è la durata di un prodotto. A Green Pea abbiamo invertirto la rotta: i nostri prodotti, dall’auto ai vestiti, sono incentrati su un modo etico di consumare. Perché dobbiamo acquistare di meno, ma di qualità. I nostri frigoriferi sono pieni di cibo che non mangeremo e gli armadi pieni di vestiti che non usiamo. Lo spreco deve avere un limite”.

    Il problema però è il prezzo.”Bisogna mangiare metà dei cibi che consumiamo, ma che costano il doppio. Ad esempio, la frutta e la verdura biologica costano di più perché se scegli di non usare diserbanti, bisogna zappare di più la terra. C’è più lavoro da parte del contadino e va pagato. Cambiare le abitudini alimentari e dei consumi è una questione di cultura”.     In che senso? “Mi batto da decenni perché sia inserita a scuola l’educazione agroalimentare. Cominciamo dai bambini: studiano a scuola la sostenibilità e la riportano ai genitori a casa. In Italia 16 università hanno inserito scienze gastronomiche e lì si possono formare i docenti, L’educazione alimentare è fondamentale per creare valori come il rispetto dell’ambiente. E poi gli italiani leggono troppo poco”.

    Che attinenza ha con la sostenibilità?”Molto. Leggere significa non accettare i compromessi, l’ignoranza porta ad essere radicali. I francesi ci battono anche perché leggono più di noi”.

    Cosa ci salverà?”Possiamo dire ‘chi’ ci salverà. I ventenni, sono una generazione straordinaria. Nati con la crisi, sono pieni di idee ed entusiasmo. Quando vado nelle università dico che sono lì per imparare. Gli under 25 sono la prima generazione a non avere la certezza di crescere con più benessere rispetto ai genitori. Le guerre, la crisi climatica, toccherà a loro risolvere la maggior parte delle emergenze che lasciamo in eredità. Eppure, si stanno tirando su le maniche e sono certo faranno diventare grande l’Italia”.

    Ha parlato spesso della mancanza di valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ma concretamente cosa bisogna fare?”Le rispondo con un esempio. Il castello di Moncalieri, bellissimo, sede di importanti mostre è però poco visitato. Ma come potrebbe essere altrimenti? Ad indicarlo c’è solo un cartello sbiadito ricoperto da una enorme scritta che informa sul ‘controllo della velocità’, sicuramente importante. Ma se fossimo in Francia il castello sarebbe annunciato da decine di cartelli per chilometri, al punto che uno si sente un cretino a non andarlo a vedere. Ma la colpa non è degli amministratori locali. Ho conosciuto sindaci che sono eroi per quello che fanno con le risorse a disposizione. Piuttosto vedo una mancanza di governance”.

    Sembra un manifesto politico.”Mi sento un patriota. Nel senso che sono convinto che l’Italia, pur in questo momento complicato può diventare portabandiera della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico. Siamo i migliori in Europa per produzione di energia sostenibile, riciclo della plastica, aziende agricole biologiche. Dobbiamo puntare ad essere la prima nazione ad emissioni zero. Tutto questo creerà posti di lavoro, pubblici e privati. L’economia si riprenderà partendo dalla sostenibilità”.

    Lei è un inguaribile ottimista.  “Il pessimismo porta alla critica, l’ottimismo all’aiuto reciproco. Vorrei che tutti capissero quanto sia importante comportarsi bene l’uno con l’altro e verso l’ambiente. Mi piacerebbe che il rispetto venisse considerato un segno del successo, non il contrario. Che sia ‘figo’ comportarsi bene. Evadi le tasse? Non sei ‘figo’. Maltratti gli animali? Non sei ‘figo’. È invece ‘figo’ avere l’auto elettrica e usare la borraccia e l’energia rinnovabile. Un gesto etico e estetico. Come diceva Kant”. LEGGI TUTTO

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    Isole Eolie al 100% green grazie al progetto dell’Unione europea

    Le Isole Eolie saranno al 100% green entro il 2030 grazie all’Unione Europea. Sono infatti inserite tra le 30 isole e arcipelaghi coinvolte nel programma europeo “100% Renewable Energy Islands for 2030”. La prima è stata Salina entrata già nel 2019 tra le sei isole europee designate come “EU Pilot Island”, ma tutte le Eolie sono state selezionate dal segretariato e impegnate, con l’assistenza tecnica del Politecnico di Torino, a redigere la Agenda per la transizione energetica, con l’obiettivo di raggiungere il 100% di energia rinnovabile entro il 2030. Una sorta di road map in sei punti. 

    L’isola di Salina  LEGGI TUTTO