12 Aprile 2024

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    Scuola, il ministro Valditara firma il decreto: 400 milioni di euro per tenere aperte primarie e secondarie anche d’estate

    Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato il decreto che stanzia 400 milioni di euro per finanziare attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze per il periodo di sospensione estiva delle lezioni. Il provvedimento, che interessa gli anni scolastici 2023/24 e 2024/25, è destinato alle scuole primarie e secondarie statali e […] LEGGI TUTTO

  • in

    Creme solari bocciate dal punto di vista ambientale: i consigli per sceglierle

    La bella stagione è in arrivo, portando con sé voglia di sole e di tintarella. Proprio ora l’associazione Altroconsumo, che di recente ha analizzato in laboratorio 12 creme solari per il viso, mette in guardia i consumatori. Dal punto di vista qualitativo, risultano, infatti, bocciati cinque prodotti, che proteggono meno di quanto indicato sull’etichetta. Va peggio, molto peggio, sul fronte ambientale, dove i respinti salgono a quota 11, con risultati deludenti su tutti i parametri considerati, tra cui formulazione, caratteristiche dell’imballaggio primario (flacone) e secondario (scatola), residui che restano nel contenitore. Semaforo verde solo per Avène, l’unica ad aver raggiunto la sufficienza. 

    Creme a tonnellate

    Secondo uno studio pubblicato nel 2015 su Archives of Environmental Contamination and Toxicology, ogni anno circa 14mila tonnellate di creme solari finiscono nelle acque tropicali. Per quanto riguarda il Mediterraneo ci sono meno dati a disposizione, ma una ricerca dell’Università di Cantabria, in Spagna, ha documentato l’incremento di alcuni metalli nel mare dopo una giornata in cui i bagnanti hanno affollato una spiaggia locale. In particolare, è stato registrato un aumento di titanio del 20%. 

    Del resto, non è neppure necessario tuffarsi tra le onde per contribuire alla diffusione di creme e lozioni. Basta usare gli erogatori spray sulla sdraio per rilasciare tracce di prodotto sulla sabbia, poi raccolte dalle maree. Anche una semplice doccia può contribuire a fare arrivare residui inquinanti in mare, attraverso gli scarichi.

    Social network

    “Questi rifiuti galleggiano da 50 anni: vi faccio vedere un mare di plastica”

    di Giulia Ciancaglini

    25 Febbraio 2022

    Ossibenzone e ottinoxato sotto accusa

    Nemici giurati dell’ambiente sono soprattutto i filtri chimici, come ossibenzone, ottinoxato, octocrilene, che deviano i raggi ultravioletti (Uv). Anche in dosi minime, l’ossibenzone sbianca i coralli e ne rallenta la crescita: una sola goccia in 4,3 milioni di litri d’acqua, pari a circa sei piscine olimpioniche e mezzo, può rivelarsi letale. In una ricerca pubblicata nel 2008 su Environmental Health Perspectives, gli studiosi hanno applicato la crema solare sulle mani dei volontari e le hanno poi immerse in sacchetti contenenti campioni di acqua e di coralli provenienti dagli oceani Atlantico, Pacifico, Indiano e dal Mar Rosso. Ebbene, i coralli sono stati sbiancati entro 96 ore.

    Inquinamento

    Tracce di creme solari trovate nelle nevi del Polo Nord

    di redazione Green&Blue

    20 Dicembre 2023

    Ma gli effetti negativi non si fermano qui. I filtri possono, infatti, alterare lo sviluppo delle alghe, provocare malformazioni nelle larve dei molluschi, danneggiare i sistemi immunitario e riproduttivo dei ricci, ridurre la fertilità dei pesci, accumularsi negli organi e nei tessuti dei delfini. Alcuni di questi pericolosi inquinanti sono stati rintracciati anche nella Posidonia oceanica, una pianta marina mediterranea di grande valore ecologico. 

    Legislazione mondiale ed europea

    Tenendo conto di ciò, alcune nazioni sono corse ai ripari approvando leggi ad hoc. Il primo Paese è stato Palau, arcipelago del Pacifico occidentale, che nel 2020 ha vietato le creme solari nocive per le barriere coralline. Hanno fatto seguito le Hawaii, dove nel 2021 è entrato in vigore l’Hawaii Reef Bill, un trattato che mette al bando ossibenzone e ottinoxato.

    Conservazione

    Bando alle creme solari, così la Thailandia protegge la sua barriera corallina

    di Mariella Bussolati

    10 Agosto 2021

    In Europa non esiste ancora una normativa che imponga un freno ai filtri dannosi per l’ambiente. In Francia si è, però, levata di recente la voce dell’Agenzia nazionale per la salute alimentare, ambientale e professionale (Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail, Anses), che ha raccomandato di rafforzare il monitoraggio delle sostanze chimiche deleterie per le barriere coralline e ha chiesto di limitarne il rilascio tramite restrizioni o divieti. 

    Meglio optare per i filtri fisici resistenti all’acqua

    In attesa di aggiornamenti legislativi, noi acquirenti possiamo fare molto per proteggere le immense distese blu del nostro pianeta. Ecco alcuni consigli.

    Preferite i filtri solari fisici, a base di biossido di titanio o ossido di zinco. Nelle versioni più nuove sono facilmente spalmabili e non creano l’antiestetica patina bianca sulla pelle.
    Puntate su formulazioni resistenti all’acqua (water resistant), che permangono più a lungo sulla pelle senza disperdersi in acqua. Questa caratteristica è potenziata nei solari più nuovi che sono addirittura very water resistant.
    Verificate che il prodotto sia biodegradabile, cioè che si degradi del 60% in dieci giorni, in modo che non rimanga a lungo nell’ambiente marino.
    Scegliete creme e oli che contengono ingredienti di origine vegetale provenienti da filiera controllata, tra cui albicocca, melagrana, burro di karitè, olio di girasole, olio di riso, olio di semi di canapa, aloe vera.
    Controllare che il packaging sia sostenibile, composto per esempio con bioplastica. Vale anche il due in uno: due o più funzioni (corpo, viso, capelli), una sola confezione. LEGGI TUTTO

  • in

    Le microplastiche portate da fiumi e piogge contaminano anche i siti archeologici

    Sono arrivate dappertutto, contaminando anche il passato. La diffusione delle microplastiche infatti non risparmia neanche i siti archeologi, sollevando qualche preoccupazione tra gli addetti ai lavori. Le microplastiche potrebbero dunque complicare il lavoro degli archeologi e mettere a rischio la loro conservazione. Ad accendere i fari su un lato finora ancora abbastanza inesplorato dei possibili rischi correlati alle microplastiche, è uno studio apparso nei giorni scorsi sulle pagine di Science of The Total Environment. Qui, alcuni ricercatori del Regno Unito presentano le loro analisi su campioni prelevati o conservati da anni da siti storici dell’antica città di York, risalenti fino al primo-secondo secolo e situati in due diverse aree, uno presso Wellington Row e l’altro presso il Queen’s Hotel. Entrambi i siti, spiegano gli autori, contengono sedimenti che coprono diversi periodi della storia di York: dai suoi albori, all’epoca romana, a quelli più recenti, passando per l’epoca vichinga. I ricercatori hanno prelevato alcuni campioni da questi siti lo scorso anno, altri da collezione e campagne condotte alla fine degli anni Ottanta, e li hanno processati per isolare eventuali microplastiche. A questo punto li hanno analizzati con una tecnica di spettroscopia per caratterizzarne la natura.Gli scienziati hanno così osservato almeno diversi tipi di microplastiche nei campioni analizzati, con abbondanze diverse (da 0 a oltre 20 mila per kg di campione), tanto nei campioni da archivio che in quelli freschi, riferiscono gli autori. Tra i polimeri più comuni si segnalano politetrafluoroetilene, polietilene, polipropilene, probabilmente arrivati lì da più parti: trasportati dal vicino fiume Ouse, o da perdite di condutture idriche, scarichi o fogne e piogge.Tutto questo, commentano gli autori della ricerca, contribuisce da una parte ad allargare lo sguardo sul problema dell’inquinamento della plastica, sulla sua pervasività, e dall’altro però invita a una riflessione più particolare, legata all’archeologia, in particolare al tema della preservazione delle zone di interesse in situ. Il rischio infatti, scrivono gli esperti, è che la presenza delle microplastiche possa alterare le caratteristiche chimico-fisiche dei siti stessi o impedirne le analisi stesse, e così quello che potrebbero raccontare sul nostro passato.”Attraverso la contaminazione, le microparticelle possono compromettere il valore scientifico dei depositi archeologici e degli indicatori ambientali che si trovano all’interno di sedimenti”, motivo per cui, concludono gli autori, il loro peso deve essere tenuto in considerazione quando si parla di conservazione in situ nel tempo, anche riconsiderandola, se necessario. LEGGI TUTTO

  • in

    Dal campo alla tazzina: arriva in Italia una nuova ricetta di caffè sostenibile

    Ha già risparmiato 5.264.421 di capsule e trasformato 300 kg di fondi in 212 kg di funghi. Questo il progetto di INCAPTO, startup spagnola, da qualche giorno sbarcata anche in Italia, che promuove il consumo di specialty coffee in grani, nata in piena pandemia a Barcellona con lo scopo di proporre un’alternativa alle capsule. Nel dettaglio, parliamo di caffè sostenibile ed equo solidale, che riduce la produzione di scarti derivanti dalle capsule e garantisce la qualità della filiera, grazie al rapporto diretto con i coltivatori in tutto il mondo.INCAPTO nasce dal fortunato incontro tra Francesc Font e Joaquim Mach, co-fondatori della startup, e Beatriz Mesas, assaggiatrice professionista di caffè e anche lei co-fondatrice, quando i primi due avvertono l’esigenza di creare un’attività di vendita online per acquisti ricorrenti e sostenibili, trovando nel caffè un prodotto potenzialmente ideale, il cui consumo si traduce però in un serio impatto sul pianeta.

    Botanica

    La pianta che può salvare il caffé dal cambiamento climatico

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    29 Dicembre 2022

    Se solo si pensa che ogni anno vengono prodotte nel mondo 60 miliardi di capsule di caffè e l’80% di esse finisce in discariche o inceneritori. Questi dati rendono ancora più urgente il passaggio a soluzioni sostenibili sia da un punto di vista ambientale che umano, se si considera che il 91% della popolazione beve almeno una tazza al giorno in Italia, il 7° paese al mondo per consumo, con oltre 5 milioni di sacchi ogni anno. Il tutto in un mercato globale che conta 9.5 miliardi di kg di caffè prodotti annualmente, destinati a triplicare entro il 2050. 

    “Abbiamo fatto di un approccio improntato all’etica e alla sostenibilità la nostra bandiera, in un mercato dove il 44% dei piccoli produttori di caffè vive in situazioni di povertà estrema. Combinando un commercio equo e solidale a processi agricoli responsabili, lavoriamo per introdurre un nuovo standard di consumo del caffè, arginando le conseguenze del cambiamento climatico e rispettando la biodiversità che circonda le aree di coltivazione”, racconta Joaquim Mach, co-founder di INCAPTO. LEGGI TUTTO