4 Marzo 2024

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    Tecnologia e innovazione preziosi alleati per la natura selvatica

    Il World Wildlife Day, la giornata mondiale della natura selvatica, ogni anno, a marzo, cerca di puntare i riflettori su un tema particolarmente significativo per celebrare la bellezza e la diversità della vita selvatica. Obiettivo sensibilizzare l’opinione pubblica su quelle minacce che mettono in pericolo natura ed ecosistemi in tutto il mondo ma anche, ove possibile, raccontare quegli alleati che possono dare una mano in questa grande sfida.

    Nel 2024 il focus del World Wildlife Day è proprio su uno di questi “alleati”, cioè su come la tecnologia e l’innovazione digitale possono dare un contributo prezioso alla conservazione della biodiversità e alla sua conoscenza. Nel dossier “Natura selvatica a rischio in Italia ed. 2024” elaborato da Legambiente in occasione di questa ricorrenza, raccontiamo alcune storie protagoniste di questa narrazione: otto esperienze pilota di innovazione, lungimiranza, visione di una tecnologia che può essere amica se ben indirizzata.

    Solo per citarne alcune si va dall’app marine ranger con cui oltre 3mila utenti hanno segnalato 723 delfini nel Mediterraneo ai droni sentinelle per monitorare i tratti di costa dove nidifica la tartaruga Caretta caretta per arrivare all’app Life Sea.Net sviluppata nell’ambito del progetto Sea.Net (cofinanziato dal programma LIFE dell’Unione Europea che ha l’obiettivo di migliorare la gestione dei siti marini della Rete Natura 2000, il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità, e diffondere la conoscenza del ruolo che questa ha nella conservazione della biodiversità marina).

    Scaricando l’applicazione dai principali store digitali, è possibile supportare la ricerca scientifica e le attività di monitoraggio segnalando la presenza o gli avvistamenti delle otto specie target di progetto, tutte sottoposte a minacce di diverso tipo, semplicemente scattando una foto ed inviandola unitamente alle coordinate con il proprio smartphone: il corallo rosso, la cicala grande, il dattero di mare, la patella ferruginea, la posidonia oceanica, il riccio diadema, la tartaruga marina Caretta caretta, il tursiope. E questo oltre alla possibilità di visualizzare schede di approfondimento dando la possibilità di conoscerle meglio. Si tratta di uno degli esempi di Citizen Science, cioè della scienza che si avvale del contributo della cittadinanza e di un vasto pubblico non necessariamente specializzato, che si aggiunge agli altri citati nel report che riguardano i cetacei marini, i carnivori come la puzzola e la donnola, la biodiversità urbana.

    Accanto all’impegno dei cittadini, è importante anche quello di legislatori e decisori politici. La nostra Costituzione, aggiornata nel 2022, ci ricorda che la tutela degli ecosistemi, della biodiversità e degli animali è nell’interesse della nazione e delle future generazioni. Per questo motivo è importante mettere in campo processi partecipativi che coinvolgano territori e comunità locali anche per controbilanciare i tanti provvedimenti parlamentari e governativi, atti di comuni, regioni e province autonome che stanno portando indietro la lancetta dell’orologio della tutela delle specie a rischio, allontanando il Paese dagli obiettivi al 2030 della Strategia Europea per la Biodiversità.

    Questo si può e deve fare sia accelerando il passo nella creazione di più aree protette, sia realizzando strategie di mitigazione e adattamento per il cambiamento climatico che sempre più è collegato al fenomeno della perdita di biodiversità e, infine, realizzando e aggiornando piani d’azione per le specie e gli ecosistemi a rischio. La lotta per la conservazione della vita selvatica è infatti una causa globale che richiede l’impegno di tutti. Ognuno di noi ha un ruolo da svolgere nel proteggere le specie in pericolo e nell’assicurare un futuro sostenibile per il nostro pianeta.

    Stefano Raimondi è responsabile nazionale biodiversità di Legambiente LEGGI TUTTO

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    Silicio riciclato per batterie al litio meno costose: il brevetto ENEA

    Da rifiuti a risorse. ENEA ha brevettato un processo a basso impatto ambientale per recuperare il silicio da pannelli fotovoltaici a fine vita e trasformarlo in un nanomateriale innovativo, utile per lo sviluppo di batterie meno costose, più performanti e durature. Oltre che per la produzione delle batterie, il brevetto è utile negli impianti di riciclo di pannelli fotovoltaici dismessi e negli stessi stabilimenti di produzione di pannelli fotovoltaici, ad esempio, per recuperare il silicio da pannelli difettosi.

    Energia

    Un fotovoltaico da record di efficienza con il tandem silicio-perovskite

    di Dario D’Elia

    06 Febbraio 2024

    Il processo messo a punto da ENEA consente di ridurre la polvere di silicio a dimensioni nanometriche utili per l’applicazione nelle batterie al litio e, allo stesso tempo, di eliminare le componenti del silicio ormai ossidate e a bassa conducibilità elettrica. In questo modo il silicio ottenuto, caratterizzato con differenti tecniche diagnostiche e mescolato con altri materiali, viene poi utilizzato per creare un nuovo tipo di anodo, per batterie al litio ad elevata densità di energia.L’importanza del brevetto nasce dal fatto che il silicio è il materiale semiconduttore di riferimento per la produzione di pannelli fotovoltaici perché consente di convertire l’energia solare in energia elettrica con la massima efficienza e affidabilità. Per le sue molteplici applicazioni nei settori energia, elettronica, metallurgia, fino alla componentistica ad alta tecnologia, il silicio è tra i materiali più strategici al mondo e, pur essendo disponibile in abbondanza in natura, la sua produzione a partire dall’ossido di silicio risulta altamente energivora e ad elevato impatto ambientale.

    Italy for Climate

    In Puglia le rinnovabili fanno scudo ai pomodori

    di Giacomo Talignani

    29 Febbraio 2024

    “Attualmente il tasso di riciclo del silicio in Europa è pari a zero e per questo risulta estremamente utile poterlo recuperare dai pannelli fotovoltaici dismessi e re-immetterlo in differenti filiere, grazie a tecnologie di recupero a basso impatto ambientale, offrendo una modalità sostenibile di approvvigionamento di questo prezioso materiale”, sottolinea Maria Lucia Protopapa del Laboratorio Materiali funzionali e tecnologie per applicazioni sostenibili del Centro Ricerche ENEA di Brindisi. “In questo modo potremo sviluppare materiali alternativi alla grafite, anch’essa materiale critico, attualmente utilizzata nelle batterie commerciali, e rispondere quindi alla domanda crescente di batterie con densità di energia sempre più elevata”.A livello operativo, dopo la rimozione della cornice di alluminio, del vetro di protezione del pannello, dei cavi e della scatola di giunzione, si procede con un pretrattamento che consiste nella macinazione dei pannelli fotovoltaici. Si ottengono tre diverse frazioni di materiali: frammenti vetrosi, agglomerati di EVA (un materiale plastico vinilico) e una terza frazione composta da scaglie di silicio e strati polimerici, i cosiddetti “solar chips”, da cui, tramite pirolisi, si estrae il silicio.I test elettrochimici hanno mostrato che il silicio ottenuto con questo processo è in grado di formare leghe con il litio e può quindi essere utilizzato per realizzare anodi ad elevata capacità per batterie dotate di prestazioni migliori rispetto a quelle commerciali realizzate in grafite.La potenza fotovoltaica installata nel mondo è aumentata esponenzialmente a partire dal 1990 e alla fine del 2022 ha raggiunto 1047 GW (Irena, 2023), con trend in aumento pari a 18.200 GW entro il 2050. Dal momento che il tempo di vita di un pannello fotovoltaico è di circa 25-30 anni, nel 2050 sono previsti su scala mondiale, circa 60-78 milioni di tonnellate di pannelli da smaltire.Gli autori del brevetto ENEA sono Maria Lucia Protopapa, Michele Penza, Emiliano Burresi, Daniela Carbone, Martino Palmisano, Emanuela Pesce, Giovanni Battista Appetecchi, Selene Grilli, Elena Salernitano, Dario Della Sala. LEGGI TUTTO

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    Il colore dei jeans, un nuovo metodo per tingerli riduce l’impatto ecologico

    Un gruppo di scienziati della Technical University of Denmark, coordinato da Ditte Hededam Welner, ha appena sviluppato un nuovo processo chimico che promette di ridurre molto significativamente l’impatto ambientale della produzione dei jeans, e in particolare delle sostanze usate per dare all’indumento il loro colore caratteristico. Attualmente, l’industria tessile tinge i jeans con l’indaco, un composto chimico che originariamente veniva estratto dalle piante ma che oggi è quasi sempre sintetizzato in laboratorio. Per usare l’indaco nel processo di tintura è necessario renderlo solubile in acqua, il che è reso possibile dall’aggiunta di ditionito di sodio, una sostanza che produce fumi pericolosi per la salute dei lavoratori dell’industria tessile e per le acque reflue. Il nuovo metodo, invece, i cui dettagli sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista Nature Communications, fa uso invece di un precursore naturale dell’indaco, l’indacano, e della luce del sole per “attivarlo”. In questo modo, secondo gli autori del lavoro, si riduce fino al 90% l’impatto ambientale della produzione dei jeans.

    Longform

    L’industria della moda può diventare sostenibile?

    di Vittorio Emanuele Orlando

    10 Marzo 2023

    “L’indacano, così come l’indaco, è un prodotto naturale”, dice Hededam Welner, “con la differenza però che è solubile in acqua: per tingere il tessuto basta immergerlo, cosa che non si può fare con l’indaco”. L’indacano è però incolore: per convertirlo in indaco bisogna lasciare il materiale alla luce del sole per diverse ore. “Non so che impatto potrebbe avere sui consumatori: un jeans che più viene esposto al sole e più diventa blu. Potrebbe anche essere allettante”.

    Moda

    Vita e morte dei vostri jeans. Se la sostenibilità diventa un fattore di vendita

    di Vanessa Friedman

    10 Giugno 2021

    In alternativa, spiega ancora la scienziata, potrebbero essere usati due metodi alternativi, uno che coinvolge l’uso di enzimi vegetali e l’altro che coinvolge l’uso di luci elettriche. Quest’ultimo, il più semplice e pratico, ridurrebbe del 73% l’impatto ambientale della tintura dei jeans – un numero ottenuto in base a un parametro elaborato dalla Commissione europea che tiene conto delle emissioni di anidride carbonica, dell’uso del suolo, del consumo di acqua e della riduzione dell’ozono. Il primo, un po’ più laborioso, porta a una riduzione dell’impatto ambientale del 92%.

    MODA SOSTENIBILE

    Anche i jeans sporcano la terra

    di Giacomo Talignani

    28 Novembre 2020

    Unico problema, la creazione di una catena di approvvigionamento delle circa 80mila tonnellate di indacano necessarie a produrre 4 miliardi di paia di jeans ogni anno. Hededam Walner e i suoi stanno lavorando per rendere il processo ancora più economico ed efficiente, ma non sarà facile. LEGGI TUTTO

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    Piantare alberi non basta per compensare le emissioni dell’industria del legno

    Per sopperire alle emissioni di CO2 legate alla produzione di legname basta piantare nuovi alberi? No, questa semplice equazione, purtroppo, non sembra essere sufficientemente efficace. Le foreste, ormai lo sappiamo, svolgono un ruolo cruciale nel catturare e immagazzinare il carbonio nel proprio tronco, nei propri rami e nelle proprie radici, sottraendolo dall’atmosfera terrestre. Ma, secondo Runsheng Yin, docente di economia forestale presso la Michigan State University (Stati Uniti), alcuni modelli sopravvalutano il loro potenziale di rimozione del carbonio di quasi tre volte.

    “Le aziende di tutto il mondo – spiega Yin, – stanno investendo massicciamente in strategie di riforestazione che, per quanto vitali, non saranno sufficienti a eliminare la quantità di carbonio generata dalla produzione di legname, e i risultati non saranno abbastanza rapidi da contrastare la produzione di carbonio generata dall’abbattimento degli alberi”. Yin è autore di decine di pubblicazioni in materia, oltre che del libro Global Forest Carbon: Policy, Economics and Finance appena pubblicato, edito da Taylor&Francis Group. 

    Italy for Climate

    In Emilia-Romagna chilometri di alberi per difendere la biodiversità

    di Giacomo Talignani

    29 Febbraio 2024

    Nel libro, Yin sottolinea la necessità di rivedere il modo in cui il valore dei cosiddetti carbon credit viene calcolato. Quest’ultimo è un sistema che ha fatto molto discutere, e che si basa sul principio per cui aziende private possono investire in strategie di rimboschimento o di protezione delle foreste esistenti per compensare le proprie emissioni di carbonio. Questo investimento è misurato appunto in carbon credit (letteralmente crediti di carbonio), che al momento le aziende possono acquistare da enti non pubblici.

    Contro il sistema di assegnazione dei carbon credit ha puntato il dito anche l’Unione Europea, il cui parlamento lo scorso novembre ha approvato una direttiva con l’obiettivo di contenere il fenomeno del greenwashing, o ecologismo di facciata. Il pacchetto normativo mira, fra le altre cose, a “vietare le dichiarazioni ambientali basate esclusivamente su sistemi di compensazione delle emissioni di carbonio”. 

    Fact-checking

    Cosa cambia (e cosa no) con il decreto per il taglio degli alberi

    di Carlo Canepa (Pagella Politica)

    26 Gennaio 2024

    I problemi legati al sistema dei carbon credit sono molti. Per cominciare, non tutti i programmi di protezione ambientale legati alla vendita di carbon credit producono effetti concreti. Secondo uno studio pubblicato su Science lo scorso anno, la maggior parte dei 26 programmi di conservazione forestale presi in esame dagli autori non riduce in realtà la deforestazione in modo significativo. E, per quelli che lo fanno, la riduzione effettiva è risultata molto inferiore rispetto a quella stimata o dichiarata inizialmente. 

    I dati

    La truffa dei carbon credit: sovrastimano gli interventi di conservazione delle foreste

    di Simone Valesini

    25 Agosto 2023

    Inoltre, Yin mette in luce un altro aspetto: secondo l’esperto, per calcolare accuratamente la capacità di sequestro e stoccaggio del carbonio di una certa foresta è necessario anche tenere conto del post mortem per così dire degli alberi che la compongono. Ossia, quando un albero di quella foresta verrà tagliato, quanto tempo impiegherà il carbonio immagazzinato al suo interno per essere reintrodotto in atmosfera? Quel legno verrà direttamente bruciato per produrre calore (con immediata remissione in atmosfera del carbonio sequestrato sotto forma di CO2)? Oppure verrà utilizzato per produrre oggetti? E che “aspettativa di vita” avranno questi ultimi?

    Nello specifico, Yin ha analizzato una piantagione di pini a gestione intensiva nel sud degli Stati Uniti, giungendo alla conclusione che la quantità di crediti di carbonio che un proprietario terriero può ottenere è sovrastimata di almeno 2,76 volte.Questa sovrastima deriverebbe proprio dal fatto che la maggior parte dei modelli non tengono in considerazione il tipo di trasformazione che subirà il legname una volta che gli alberi saranno stati eventualmente abbattuti. Infatti, il tempo che il carbonio immagazzinato nel legno impiega per tornare in atmosfera dipende anche dal tipo di prodotto creato.Un mobile di legno, un pezzo di compensato e uno di carta si degradano con tempistiche diverse, e affinché i carbon credit che erano stati assegnati per la piantumazione di un albero o di una certa foresta abbiano effettivamente valore è necessario che il carbonio rimanga immagazzinato nel legno (prima o dopo l’abbattimento dell’albero) per un periodo sufficientemente lungo da essere classificato come “permanente”.

    “Se adeguatamente contabilizzata, la compensazione delle emissioni di carbonio delle foreste è importante”, prosegue Yin: “Ma la mia ricerca mostra che il suo potenziale potrebbe non essere così vasto come alcuni analisti hanno sostenuto. Questo perché gli studi esistenti non si sono in gran parte conformati ai principi contabili dell’Accordo di Parigi, non hanno trattato in modo appropriato il legname e il carbonio come prodotti congiunti e non hanno considerato per quanto tempo ciascuno dei prodotti di legno risultanti immagazzinerà il carbonio”.E conclude: “Gli schemi locali per la compensazione delle emissioni di carbonio sono fondamentali, ma devono essere inseriti all’interno di approcci giurisdizionali complessivi, guidati dai governi e in linea con i loro impegni internazionali sul clima”. LEGGI TUTTO