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Piantare alberi non basta per compensare le emissioni dell’industria del legno

Per sopperire alle emissioni di CO2 legate alla produzione di legname basta piantare nuovi alberi? No, questa semplice equazione, purtroppo, non sembra essere sufficientemente efficace. Le foreste, ormai lo sappiamo, svolgono un ruolo cruciale nel catturare e immagazzinare il carbonio nel proprio tronco, nei propri rami e nelle proprie radici, sottraendolo dall’atmosfera terrestre. Ma, secondo Runsheng Yin, docente di economia forestale presso la Michigan State University (Stati Uniti), alcuni modelli sopravvalutano il loro potenziale di rimozione del carbonio di quasi tre volte.

“Le aziende di tutto il mondo – spiega Yin, – stanno investendo massicciamente in strategie di riforestazione che, per quanto vitali, non saranno sufficienti a eliminare la quantità di carbonio generata dalla produzione di legname, e i risultati non saranno abbastanza rapidi da contrastare la produzione di carbonio generata dall’abbattimento degli alberi”. Yin è autore di decine di pubblicazioni in materia, oltre che del libro Global Forest Carbon: Policy, Economics and Finance appena pubblicato, edito da Taylor&Francis Group. 

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Nel libro, Yin sottolinea la necessità di rivedere il modo in cui il valore dei cosiddetti carbon credit viene calcolato. Quest’ultimo è un sistema che ha fatto molto discutere, e che si basa sul principio per cui aziende private possono investire in strategie di rimboschimento o di protezione delle foreste esistenti per compensare le proprie emissioni di carbonio. Questo investimento è misurato appunto in carbon credit (letteralmente crediti di carbonio), che al momento le aziende possono acquistare da enti non pubblici.

Contro il sistema di assegnazione dei carbon credit ha puntato il dito anche l’Unione Europea, il cui parlamento lo scorso novembre ha approvato una direttiva con l’obiettivo di contenere il fenomeno del greenwashing, o ecologismo di facciata. Il pacchetto normativo mira, fra le altre cose, a “vietare le dichiarazioni ambientali basate esclusivamente su sistemi di compensazione delle emissioni di carbonio”. 

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I problemi legati al sistema dei carbon credit sono molti. Per cominciare, non tutti i programmi di protezione ambientale legati alla vendita di carbon credit producono effetti concreti. Secondo uno studio pubblicato su Science lo scorso anno, la maggior parte dei 26 programmi di conservazione forestale presi in esame dagli autori non riduce in realtà la deforestazione in modo significativo. E, per quelli che lo fanno, la riduzione effettiva è risultata molto inferiore rispetto a quella stimata o dichiarata inizialmente. 

I dati

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Inoltre, Yin mette in luce un altro aspetto: secondo l’esperto, per calcolare accuratamente la capacità di sequestro e stoccaggio del carbonio di una certa foresta è necessario anche tenere conto del post mortem per così dire degli alberi che la compongono. Ossia, quando un albero di quella foresta verrà tagliato, quanto tempo impiegherà il carbonio immagazzinato al suo interno per essere reintrodotto in atmosfera? Quel legno verrà direttamente bruciato per produrre calore (con immediata remissione in atmosfera del carbonio sequestrato sotto forma di CO2)? Oppure verrà utilizzato per produrre oggetti? E che “aspettativa di vita” avranno questi ultimi?

Nello specifico, Yin ha analizzato una piantagione di pini a gestione intensiva nel sud degli Stati Uniti, giungendo alla conclusione che la quantità di crediti di carbonio che un proprietario terriero può ottenere è sovrastimata di almeno 2,76 volte.

Questa sovrastima deriverebbe proprio dal fatto che la maggior parte dei modelli non tengono in considerazione il tipo di trasformazione che subirà il legname una volta che gli alberi saranno stati eventualmente abbattuti. Infatti, il tempo che il carbonio immagazzinato nel legno impiega per tornare in atmosfera dipende anche dal tipo di prodotto creato.

Un mobile di legno, un pezzo di compensato e uno di carta si degradano con tempistiche diverse, e affinché i carbon credit che erano stati assegnati per la piantumazione di un albero o di una certa foresta abbiano effettivamente valore è necessario che il carbonio rimanga immagazzinato nel legno (prima o dopo l’abbattimento dell’albero) per un periodo sufficientemente lungo da essere classificato come “permanente”.

“Se adeguatamente contabilizzata, la compensazione delle emissioni di carbonio delle foreste è importante“, prosegue Yin: “Ma la mia ricerca mostra che il suo potenziale potrebbe non essere così vasto come alcuni analisti hanno sostenuto. Questo perché gli studi esistenti non si sono in gran parte conformati ai principi contabili dell’Accordo di Parigi, non hanno trattato in modo appropriato il legname e il carbonio come prodotti congiunti e non hanno considerato per quanto tempo ciascuno dei prodotti di legno risultanti immagazzinerà il carbonio”.

E conclude: “Gli schemi locali per la compensazione delle emissioni di carbonio sono fondamentali, ma devono essere inseriti all’interno di approcci giurisdizionali complessivi, guidati dai governi e in linea con i loro impegni internazionali sul clima”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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