1 Marzo 2024

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    In periferia si muore di smog più che in centro: le città alla ricerca della ricetta verde

    La cappa di smog che aleggia sulle nostre città sta diventando più soffocante nelle periferie, dove nei quartieri meno verdi e ad alta densità di traffico e di abitanti over 65, i tassi di decessi attribuibili a biossido di azoto e polveri sottili arrivano fino al 50-60% in più rispetto alla media delle aree centrali.Sotto accusa un mix tra concentrazione di smog e stili di vita peggiori, più comuni nei quartieri più periferici. Su questo tema e sui tanti studi che evidenziano il legame sempre più netto tra smog e tumori, malattie cardiovascolari, asma, depressione e alterazione dello sviluppo nel bambino anche in fase fetale, si stanno confrontando epidemiologi, pneumologi, esperti di valutazione e gestione della qualità dell’aria, rappresentanti di organizzazioni coinvolte nel ridurre l’impatto dello smog, tra cui rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, riuniti a Milano per la conferenza RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health 2024, co-organizzata dalla Fondazione Menarini, in collaborazione con Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, e dall’Imperial College di Londra, con il patrocinio dell’Associazione Italiana di Epidemiologia.

    L’emergenza

    “Milano paragonata a Delhi per l’inquinamento atmosferico: la crisi del clima non aiuta a respirare”

    di Giacomo Talignani

    19 Febbraio 2024

    Con una popolazione di quasi 1,4 milioni di abitanti, Milano è la seconda città metropolitana d’Italia, storicamente afflitta dal problema dello smog sia per le numerose fonti di emissione che la accomunano alla Pianura Padana (industriali, residenziali, da traffico e da allevamenti intensivi) che, aggiunte al ristagno dell’alta pressione e alle particolari condizioni orografiche, non favoriscono la dispersione degli inquinanti atmosferici. Per valutare gli effetti sanitari a lungo termine sulla popolazione, l’Agenzia per la Tutela della Salute di Milano (Ats-Mi) ha condotto uno studio con cui ha stimato i livelli di concentrazione media degli inquinanti (NO2, PM10 e PM2.5) per l’anno 2019 con una risoluzione spaziale senza precedenti, pari a 25 metri quadrati. I dati sono stati poi incrociati con le informazioni sanitarie e anagrafiche georeferenziate già utilizzate per studi di popolazione in Ats-Mi.

    “I risultati, recentemente pubblicati su Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, permettono di definire una vera e propria mappa dell’inquinamento – dichiara Sergio Harari, co-presidente del congresso, della Divisione di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Divisione di Medicina Interna dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica Irccs e dell’Università di Milano – e dei suoi effetti, quartiere per quartiere e rivelano, per la prima volta, che biossido di azoto e polveri sottili hanno tassi di decesso per 100.000 abitanti che possono arrivare fino al 60% in più in alcune zone della periferia milanese rispetto al centro città.

    Mobilità

    Bologna città a 30 chilometri all’ora, perché il nuovo limite di velocità conviene a tutti

    di Antonio Piemontese

    22 Gennaio 2024

    Il caso di Milano potrebbe avvicinarsi a quello che accade anche in altre grandi città italiane nelle aree periferiche che presentano elevati livelli di inquinamento atmosferico dovuti all’elevato numero di abitanti, a strade a intenso traffico veicolare come le tangenziali e al poco verde con ristagno d’aria.Il combinato disposto di smog e condizioni socio-economiche svantaggiate sovrapponibili alle aree periferiche, inducendo stili di vita peggiori come ad esempio più fumo e sedentarietà, produce un effetto moltiplicativo della mortalità da inquinamento nelle aree più lontane dal centro. Il fatto di essere più fragili ed essere esposti a inquinanti si traduce quindi in un danno maggiore”.Gli oltre 1600 decessi all’anno per tutte le cause attribuibili al PM2.5 e gli oltre 1.300 decessi annui attribuibili al biossido di azoto a Milano non sono infatti distribuiti allo stesso modo sul territorio. “L’inquinamento ha effetti più grandi soprattutto nei quartieri periferici attraversati da strade molto trafficate, densamente abitati e dove c’è una maggior quantità di persone con oltre 65 anni, quindi più fragili di fronte agli effetti dello smog”, spiega Francesco Forastiere, co-presidente del congresso, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ift) e del Gruppo di ricerca ambientale dell’Imperial College London.”Anche altri elementi relativi alle caratteristiche socio-economiche della popolazione possono contribuire a spiegare perché l’inquinamento colpisca più duramente in periferia rispetto al pieno centro. Comunque, il tasso di decessi risulta decisamente maggiore in alcune zone rispetto ad altre, meno urbanizzate e più verdi”, aggiunge.”Per quanto riguarda l’esposizione al biossido di azoto, responsabile del 10% delle morti per cause naturali (130,3 su 100 mila abitanti), i tassi di decessi piu’ alti si sono registrati in quartieri periferici come ad esempio Quarto Oggiaro con 158 morti su 100.000 abitanti e a Gallaratese con 170 su 100.000 abitanti, a fronte di valori attorno a 100 nel centro città – sottolinea Pier Mannuccio Mannucci, co-presidente del congresso, della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e del Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi di Milano – per quanto riguarda il PM2.5, responsabile del 13% delle morti per cause naturali (160 su 100 mila abitanti) e del 18% dei decessi per tumore del polmone, le conseguenze più pesanti si hanno in zone periferiche come Mecenate, Lorenteggio e Bande Nere dove i tassi di decesso superano i 200 per 100.000 abitanti, mentre in pieno centro i tassi di decessi si attestano attorno a 130 su 100.000 abitanti”, aggiunge.

    Infine, per quanto riguarda il PM10, a cui si attribuisce il 4% delle morti per cause naturali (50 ogni 100 mila abitanti), a pagare il prezzo piu’ caro sono, ad esempio, la zona di Niguarda, Bande Nere e Gallaratese a ovest e Buenos Aires in centro. “L’esposizione cronica allo smog è dannosa per la salute in termini globali, con ripercussioni non soltanto sull’apparato respiratorio, ma anche su quello cardio-circolatorio e un incremento di infarti e ictus.

    Salute

    Come proteggere i bambini dall’inquinamento: la guida dei pediatri

    di Paola Arosio

    09 Gennaio 2024

    L’inquinamento può avere inoltre conseguenze negative a livello cerebrale, causando ritardi cognitivi nell’infanzia e un impatto sullo sviluppo delle malattie neurodegenerative, come ad esempio il Parkinson”, precisano gli esperti.Sul fronte delle soluzioni, a “salvare” le zone centrali sono invece le zone a traffico limitato (Ztl), che giocano un ruolo molto importante nel ridurre inquinanti e effetti deleteri sulla salute, come dimostra una review pubblicata sulla rivista Lancet Public Health dall’Imperial College di Londra. La revisione ha passato in rassegna 16 studi condotti sulle Ztl in Germania, Giappone e Regno Unito, in cui si dimostra una chiara diminuzione dei problemi a carico dell’apparato cardiovascolare, con meno casi di ipertensione, ricoveri, morti per infarto e ictus.In particolare, uno studio tedesco su dati ospedalieri di 69 città con Ztl ha riscontrato un calo del 2-3% dei problemi cardiaci e del 7-12% degli ictus, con benefici (soprattutto per gli anziani) che hanno comportato un risparmio di 4,4 miliardi di euro per la sanità.Diversi studi hanno inoltre evidenziato effetti benefici per l’apparato respiratorio, anche se i dati sembrano meno consistenti. Il modello londinese, invece, è diverso. “Un capitolo a parte lo merita la speciale Ztl di Londra. La scorsa estate, la capitale britannica ha deciso di estendere il divieto di circolazione dei veicoli più inquinanti a tutta l’area metropolitana (suscitando non poche polemiche). Il transito nella cosiddetta ULEZ (Ultra Low Emission Zone) è consentito solo ai veicoli Euro 4 se a benzina o Euro 6 se a Diesel. Chi non possiede una vettura in linea con questi standard può’ utilizzarla previo pagamento di un pedaggio”. L’iniziativa del sindaco di Londra Sadiq Khan è stata elogiata da Maria Neira, direttrice del Dipartimento di sanità pubblica e ambiente dell’Oms, che in un’intervista sul British Medical Journal ha definito la ULEZ londinese come un “esempio per tutti i sindaci del mondo”.Come Londra, sono tante le città europee che stanno sperimentando nuovi modelli urbani per ridurre smog, rumore e l’effetto “isola di calore”, come riportato da uno studio pubblicato su Environment International.

    Longform

    Cosa sono le isole di calore e come cambia la vita in città

    di Dario D’Elia, Matteo Marini, Cristina Nadotti

    03 Luglio 2023

    La rassegna parte dalla città di Barcellona, che in virtù della sua rete stradale a griglia ha sviluppato un modello a superblocchi, cioè grandi isolati il cui perimetro può’ essere percorso dalle auto, mentre l’area all’interno viene restituita a residenti, pedoni e ciclisti. Secondo una stima dell’Istituto per la salute globale dell’Università Pompeu Fabra, questo modello implementato sull’intera città’ potrebbe evitare quasi 700 decessi all’anno, soprattutto grazie alla riduzione dello smog.

    Longform

    Il movimento globale delle città da 15 minuti

    dal nostro inviato Jaime D’Alessandro

    03 Dicembre 2022

    A Parigi si sperimenta invece la “città dei 15 minuti”, dove lavoro, scuola, negozi, intrattenimento, cultura, tempo libero e altre attività sono raggiungibili in 15 minuti a piedi o in bicicletta da casa. Non sono ancora state effettuate valutazioni degli effetti sulla salute, ma si prevedono notevoli benefici fisici e mentali dovuti all’aumento dell’attività fisica (a causa dei maggiori spostamenti a piedi e in bicicletta) e alla maggiore presenza di spazi verdi.

    L’intervista

    “Le città fermino i veicoli che inquinano”

    di Jaime D’Alessandro

    10 Novembre 2023

    Una riduzione del traffico motorizzato potrebbe portare inoltre a una riduzione dell’inquinamento atmosferico, del rumore e delle emissioni di CO2. Infine, si stanno facendo largo le città e i quartieri senza auto, che permettono solo la circolazione di mezzi pubblici, pedoni e ciclisti. A questo modello si ispira Amburgo, che prevede di eliminare le auto entro il 2034. LEGGI TUTTO

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    Piccoli cambiamenti nella dieta possono ridurre l’impronta di carbonio del 25%

    Piccoli cambiamenti nella dieta possono ridurre l’impronta di carbonio del 25%. A rivelarlo è uno studio della McGill University pubblicato su Nature Food. La ricerca canadese, svolta in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine, fornisce prove convincenti del fatto che la sostituzione parziale di alimenti a base di proteine animali con alimenti a base vegetale può aumentare l’aspettativa di vita e ridurre le emissioni di gas serra.Lo studio ha utilizzato i dati provenienti da un’indagine nazionale sulla nutrizione per analizzare i registri dietetici dei canadesi e ha modellato la sostituzione parziale (25% e 50%) della carne rossa e lavorata o dei latticini con alimenti a base di proteine vegetali come noci, semi, legumi, tofu e bevande di soia arricchite, su una combinazione di risultati nutrizionali, sanitari e climatici. Le carni rosse e lavorate e i latticini sono i principali responsabili delle emissioni di gas serra legate alla dieta in Canada.

    Alimentazione

    Al via la “meat free week”, una settimana senza carne contro gli allevamenti intensivi

    di redazione Green&Blue

    26 Febbraio 2024

    “Dimostriamo che i co-benefici per la salute umana e planetaria non richiedono necessariamente cambiamenti radicali nelle diete, come l’adozione di schemi restrittivi o l’esclusione totale di alcuni gruppi di alimenti, ma possono essere ottenuti con semplici sostituzioni parziali di carni rosse e lavorate, in particolare, con alimenti a base di proteine vegetali”, spiega Olivia Auclair, prima autrice della ricerca.È noto che le diete ad alto contenuto di prodotti animali aumentano il rischio di malattie cardiache, diabete e alcuni tipi di cancro. In questo studio, i ricercatori hanno stimato che se la metà della carne rossa e lavorata presente nella dieta di una persona fosse sostituita con alimenti a base di proteine vegetali, questa potrebbe vivere in media quasi nove mesi in più, grazie alla riduzione del rischio di malattie croniche.Se si considera il sesso, i maschi guadagnano di più con questo cambiamento, e l’aumento dell’aspettativa di vita raddoppia rispetto alle femmine. Al contrario, la sostituzione parziale dei latticini con alimenti a base di proteine vegetali ha portato a un aumento minore dell’aspettativa di vita ed è stata accompagnata da un compromesso: un aumento dell’insufficienza di calcio fino al 14%.”Spero che i nostri risultati aiutino i consumatori a fare scelte alimentari più sane e sostenibili e a informare le future politiche alimentari in Canada”, afferma l’autore senior Sergio Burgos, professore associato presso il Dipartimento di Scienze animali della McGill e scienziato dell’Istituto di Ricerca del Centro Sanitario dell’Università McGill.Poiché sempre più persone cercano di seguire diete sostenibili e attente alla salute, i risultati dello studio fungono da guida, consentendo agli individui di fare scelte informate a vantaggio del benessere personale e del pianeta. LEGGI TUTTO

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    Pesci più piccoli per il cambio climatico che riscalda le acque

    Nel corso del primo decennio del 2000, le dimensioni dei pesci che abitano le acque dell’Oceano Pacifico nord-occidentale sono diminuite. È quanto emerge dai risultati di uno studio appena pubblicato su Fish and Fisheries, condotto da due ricercatori dell’Università di Tokyo. Secondo gli autori, si tratta di una delle conseguenze del riscaldamento climatico in corso, che, fra le altre cose, causa una riduzione nella concentrazione di nutrienti nelle acque superficiali. LEGGI TUTTO

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    Emissioni globali di CO2: nuovo record nel 2023 tra siccità e combustibili fossili

    Le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) legate alla produzione di energia hanno raggiunto un livello record nel corso del 2023. È la cattiva notizia contenuta nell’ultimo rapporto, rilasciato poche ore fa, dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea). Il picco raggiunto l’anno scorso non sorprende, perché fa parte di una tendenza ormai consolidata, ma è stato accentuato, secondo gli analisti dell’Agenzia che ha sede a Parigi, dalla siccità che ha ridotto l’apporto di energia pulita generata grazie agli impianti idroelettrici. Oltre che dal crescente fabbisogno energetico di Paesi in via di sviluppo, i quali puntano ancora sui combustibili fossili per sostenere le loro economie.

    Il rapporto Clean Energy Market Monitor contiene però anche buone notizie. Per esempio che, anche se in valori assoluti in 2023 ha superato il 2022, in realtà il tasso di crescita delle emissioni è stato più basso, grazie all’espansione di tecnologie come quella solare, eolica e alla diffusione dei veicoli elettrici.

    Il report

    Italy for Climate lancia CIRO, il primo database per guidare le regioni verso la neutralità climatica

    di Luca Fraioli

    29 Febbraio 2024

    Venendo al dettaglio dei numeri, “le emissioni sono aumentate di 410 milioni di tonnellate, ovvero dell’1,1%, nel 2023 – rispetto a un aumento di 490 milioni di tonnellate dell’anno precedente – portandole al livello record di 37,4 miliardi di tonnellate”, spiega la Iea. “Un’eccezionale carenza di energia idroelettrica dovuta a siccità estreme – in Cina, negli Stati Uniti e in molte altre economie – ha comportato oltre il 40% dell’aumento delle emissioni nel 2023, poiché i Paesi si sono rivolti in gran parte alle alternative ai combustibili fossili per colmare il divario. Se non fosse stato per la produzione di energia idroelettrica insolitamente bassa, le emissioni globali di CO2 derivanti dalla produzione di elettricità sarebbero diminuite lo scorso anno, riducendo significativamente l’aumento complessivo delle emissioni legate all’energia”.

    E a proposito delle differenti tabelle di marcia tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo: “Le economie avanzate hanno registrato un calo record delle emissioni di CO2 nel 2023, anche se il loro Pil è cresciuto. Le loro emissioni sono scese al livello più basso degli ultimi 50 anni, mentre la domanda di carbone è scesa a livelli mai visti dall’inizio del 1900. Il calo delle emissioni delle economie avanzate è stato determinato da una combinazione di forte diffusione delle energie rinnovabili, passaggio dal carbone al gas, miglioramenti dell’efficienza energetica e produzione industriale più debole. L’anno scorso è stato il primo in cui almeno la metà della produzione di elettricità nelle economie avanzate proveniva da fonti a basse emissioni come le rinnovabili e il nucleare”. Più in generale, “dal 2019 al 2023, la crescita dell’energia pulita è stata doppia rispetto a quella dei combustibili fossili”.

    “La transizione all’energia pulita è stata sottoposta a una serie di stress test negli ultimi cinque anni: una pandemia, una crisi energetica e un’instabilità geopolitica avevano tutte il potenziale per far deragliare gli sforzi volti a costruire sistemi energetici più puliti e sicuri”, dice il direttore esecutivo della Iea Fatih Birol. “Invece la transizione ha dimostrato la sua resilienza, prosegue a ritmo sostenuto e tiene sotto controllo le emissioni, anche se la domanda globale di energia continuerà”. LEGGI TUTTO