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Pesci più piccoli per il cambio climatico che riscalda le acque

Nel corso del primo decennio del 2000, le dimensioni dei pesci che abitano le acque dell’Oceano Pacifico nord-occidentale sono diminuite. È quanto emerge dai risultati di uno studio appena pubblicato su Fish and Fisheries, condotto da due ricercatori dell’Università di Tokyo. Secondo gli autori, si tratta di una delle conseguenze del riscaldamento climatico in corso, che, fra le altre cose, causa una riduzione nella concentrazione di nutrienti nelle acque superficiali.

“Gli stock ittici – spiega Shin-ichi Ito, docente presso l’Atmosphere and Ocean Research Institute dell’Università di Tokyo – dovrebbero essere gestiti in modo diverso rispetto al passato, considerando il crescente impatto delle condizioni indotte dal clima. La situazione in cui versano i pesci è molto più grave rispetto a decenni fa“. L’aumento delle temperature globali, infatti, favorisce il fenomeno della stratificazione degli oceani, ossia l’accumulo di uno strato superficiale di acqua calda che, essendo meno densa rispetto a quella più fredda e profonda, ostacola il rimescolamento verticale. Questo impedisce il trasferimento di nutrienti dalle acque più profonde verso gli strati superficiali, causando una maggiore competizione per il cibo fra le popolazioni di pesci che abitano queste porzioni dell’oceano.

Per lo studio, i due ricercatori hanno analizzato i dati a lungo termine, rilevati tra il 1978 e il 2018, di sei popolazioni ittiche appartenenti a quattro specie diverse, e i dati a medio termine, acquisiti fra il 1995/1997 e il 2018, relativi a 17 popolazioni ittiche di 13 specie. In particolare, gli autori hanno preso in esame due parametri, ottenuti dalla Japan Fisheries Agency e dalla Japan Fisheries Research and Education Agency: il peso dei singoli pesci e la biomassa (cioè il peso totale) di gruppi di pesci appartenenti ad una determinata specie. Inoltre, sono stati utilizzati dati satellitari relativi alla temperatura dell’acqua marina, raccolti tra il 1982 e il 2014, per valutare le eventuali variazioni negli strati superficiali (0,5 metri di profondità) e sub-superficiali (100 e 200 metri) delle aree di oceano di interesse alle profondità alle quali vivono le specie prese in considerazione.

Dalle analisi sono emersi due periodi caratterizzati da pesci di dimensioni sotto la media: uno risale agli anni ’80, e uno, come anticipato, al primo decennio del 2000. Il primo è stato attribuito a un forte aumento nella popolazione di sardine nelle aree prese in esame, che secondo gli autori avrebbe portato a una maggiore competizione per il cibo. Anche nel secondo caso è stato rilevato un moderato accrescimento nella popolazione di sardine, ma anche un generale aumento nel livello di stratificazione delle aree oceaniche analizzate. E, secondo i ricercatori, quest’ultimo fattore avrebbe influito particolarmente sul trend relativo alla dimensione media dei pesci.

“Con le temperature più alte, la parte superiore dell’oceano diventa più stratificata e ricerche precedenti hanno dimostrato che il plancton più grande viene sostituito da plancton più piccolo e da specie gelatinose meno nutrienti, come le meduse”, spiega ancora Ito. Inoltre, prosegue il ricercatore, il cambiamento climatico può alterare i tempi e la durata delle cosiddette fioriture di fitoplancton (ossia la crescita esplosiva di alghe microscopiche sulla superficie dell’oceano), “che potrebbero non allinearsi più con i periodi chiave del ciclo vitale dei pesci”. Studi precedenti, conclude Ito, hanno dimostrato che la migrazione dei pesci risente di queste alterazioni, fatto che a sua volta impatta sulla competizione per le risorse.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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