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    Così la stella marina potrebbe salvare gli ecosistemi marini

    Un po’ come i boschi terrestri sono fondamentali per contribuire alla produzione di ossigeno che respiriamo, nelle acque degli oceani, lo stesso ruolo primario per la vita, viene svolto dalle foreste di kelp, dense aggregazioni di alghe, che rappresentano tra i più produttivi e diversificati habitat della Terra. “Le foreste di kelp ospitano un’elevata biodiversità e supportano numerosi servizi ecosistemici tra cui l’approvvigionamento di cibo tramite la pesca, il ciclo dei nutrienti e la protezione delle coste dall’erosione, per un valore calcolato in miliardi di dollari all’anno, ma in realtà inestimabile”, spiega Stefania Coppa, biologa marina, ricercatrice presso l’IAS del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Oristano, in Sardegna, che aggiunge: “la riduzione delle foreste di kelp a livello globale avrebbe un impatto di vasta portata sullo stato di salute del mare e sui servizi ecosistemici da esse erogati”.

    I cambiamenti climatici che stanno alterando gli ecosistemi terrestri, minacciano anche queste foreste sottomarine. “Le minacce che possono mettere a rischio questo habitat sono tutte di origine antropica: l’inquinamento, il riscaldamento globale, la raccolta diretta, l’impatto di attività sia professionali che ricreative, la diffusione di specie aliene e le modifiche strutturali della fascia costiera, come la costruzione di infrastrutture che può comportare cambiamenti del regime idrodinamico con conseguente aumento della torbidità”, spiega la ricercatrice del Cnr. A tutto questo si aggiunge un altro nemico: il riccio di mare viola, il cui numero è aumentato in modo spropositato, che si nutre di alghe. “Anche in questo caso il problema principale siamo noi, perché abbiamo fatto diminuire eccessivamente i loro predatori naturali, come le lontre e le stelle marine girasole. Le prime sono state cacciate indiscriminatamente in passato per la pelliccia, invece per quanto riguarda le stelle girasole, la causa principale è il riscaldamento del mare”, evidenzia ancora Stefania Coppa.

    Un nuovo studio condotto da ricercatori di diverse università americane e pubblicato su The Royal Society Publishing, potrebbe aver trovato una soluzione: soluzione che si trova nello stesso ecosistema. Si chiama Pycnopodia helianthoides, la stella marina di girasole dell’Oregon appena citata dalla ricercatrice italiana, a rischio estinzione, ma che sarebbe in grado di salvare le foreste di alghe. “La causa principale della sua quasi estinzione è il riscaldamento del mare che ha favorito le condizioni ambientali utili alla proliferazione di patogeni e alla generazione di eventi di mortalità di massa come nel caso della Sea Star Wasting Disease, registrata dal 2013 che ne ha determinato la quasi totale scomparsa”, dice Coppa.

    Si, perché se le lontre sono predatrici di ricci di mare, a loro volta questi sono “cacciati” anche dalle stelle marine, che potrebbero riequilibrare il sistema. Questa è la tesi dello studio americano, in cui gli studiosi hanno raccolto esemplari sani di stelle marine ed eseguito un esperimento alimentare: hanno cibato le stelle marine con ricci di mare, scoprendo quanto ne siano ghiotte. “Hanno dimostrato che una stella girasole può consumare mediamente 0.68 ricci di mare viola al giorno e che il tasso di predazioni è maggiore su ricci che non si sono nutriti. Riuscire a riportare l’abbondanza delle stelle girasole a livelli pre-moria potrebbe ristabilire il controllo della popolazione di ricci viola e al contempo garantire il buono stato di salute delle foreste di kelp. Tuttavia, se le condizioni ambientali sfavorevoli che hanno determinato la moria delle stelle girasole permangono, la semplice reintroduzione delle stelle girasole non sarà sufficiente a ristabilire le condizioni iniziali”, avvisa la biologa marina del Cnr.

    Attenzione però, che gli effetti antropici sono globali. Aggiunge Coppa: “Nel nostro Mar Mediterraneo, non c’è il kelp, ma altre foreste di origine animale o vegetale egualmente importanti dal punto di vista ecologico. Lo stesso vale anche per il verificarsi di morie di massa. La più recente è quella che dal 2016 sta portando quasi all’estinzione una specie endemica del Mediterraneo: Pinna nobilis, conosciuta anche come nacchera di mare, uno dei più grandi molluschi bivalvi al mondo”. LEGGI TUTTO

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    Pulire casa: come farlo in modo ecologico e sotenibile

    Lustrare le tapparelle, tirare a lucido i pavimenti, far splendere balconi e terrazze. Per molti la primavera è il momento giusto per dedicarsi alle grandi pulizie, oltre che per riordinare e rinnovare la casa. “Un’abitazione più pulita contiene meno germi e meno allergeni ed è quindi più sana”, sostiene Tricia Wolanin, psicologa e consulente per il benessere, “ma riesce anche a migliorare l’umore, rendendoci più concentrati e meno stressati”. L’importante è procedere nel rispetto dell’ambiente e della nostra salute. Ecco allora una mini-guida che, stanza per stanza, fornisce consigli e soluzioni green.

    Il tutorial

    Non spazziamo via le foglie: riusiamole per un giardinaggio a rifiuti-zero

    di Gaetano Zoccali

    19 Novembre 2022

    In cucina: attenti ai “cov”

    Tra fornelli e lavello, unto e incrostazioni ostinate si moltiplicano. Meglio, tuttavia, evitare detersivi aggressivi, che contengono candeggina o ammoniaca, sostanze chimiche che rilasciano composti organici volatili (COV), noti per esacerbare l’asma, provocare mal di testa e reazioni allergiche, incrementare perfino il rischio di cancro al fegato, ai reni, alla tiroide. Secondo l’Environmental Protection Agency, i livelli di questi composti, che finiscono con l’accumularsi sulle superfici domestiche, sono da due a cinque volte più elevati tra le mura di casa rispetto all’esterno. 

    Per scegliere i detergenti più sostenibili, tra i tanti presenti sugli scaffali del supermercato, è indispensabile rintracciare le certificazioni verdi. Tra queste, Eco detergenza o Eco bio detergenza, rilasciate dall’Istituto di certificazione etica e ambientale (Icea); Detergenza Pulita, erogata dall’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab); Ecolabel Ue, marchio europeo che attesta il ridotto impatto sull’ambiente. Occorre poi verificare, tramite un’attenta lettura dell’etichetta, che nella formulazione siano presenti tensioattivi di origine vegetale, per esempio derivanti dal cocco, dalla palma, dall’olio di oliva, dal grano, e privi di coloranti. In ogni caso, il suggerimento è quello di utilizzare sempre poche gocce di prodotto, in modo da ridurre l’eventuale impatto e gli sprechi. Attenzione anche all’imballaggio: prediligete l’acquisto di detersivi sfusi o con contenitori ricaricabili. 

    Come suggerisce Kathryn Kellogg, autrice di 101 Ways to Go Zero Waste, l’ideale è comunque optare per prodotti naturali, che tutti abbiamo in frigo o in dispensa, come succo di limone, aceto bianco, bicarbonato di sodio, sapone di Marsiglia, che non costituiscono un pericolo per l’ambiente nemmeno quando finiscono nello scarico. 

    Dopo aver chiarito quali detergenti usare in cucina, un trucco per pulire gli angoli, dove si accumulano residui di cibo misti a polvere: usate un vecchio spazzolino da denti e ogni traccia sparirà. 

    Infine, ricordate che la pulizia richiede molta acqua, una risorsa limitata. Per questo, se vi ritrovate una pila di piatti nel secchiaio, preferite la lavastoviglie, purché a pieno carico, al lavaggio a mano: la prima utilizza, infatti, quattro litri d’acqua per ciclo, mentre il secondo può richiederne fino a 20.

    Il tutorial

    Non spazziamo via le foglie: riusiamole per un giardinaggio a rifiuti-zero

    di Gaetano Zoccali

    19 Novembre 2022

    In soggiorno: dal router al tappeto

    È tempo di spazzare via la polvere che si è accumulata durante l’inverno, anche a causa di termosifoni e stufe, soprattutto sugli oggetti elettrici, come tv e router wi-fi.

    Da evitare asciugamani di carta e salviette detergenti monouso, che finiscono nelle discariche, incrementando le emissioni di carbonio. Via libera, invece, a spugne biodegradabili e a panni lavabili e riutilizzabili. Quelli in microfibra, con l’aggiunta della sola acqua, possono rimuovere fino all’98% dei batteri dalle superfici lisce. Si possono anche utilizzare vecchi abiti, camicie, lenzuola, federe come stracci: un modo per prolungare la vita delle stoffe e per risparmiare. 

    Una dritta per la pulizia dei tappeti: cospargeteli uniformemente di bicarbonato, lasciate agire per almeno un’ora e rimuovete l’eccesso con l’aspirapolvere alla minima velocità, se possibile utilizzando un beccuccio adatto ai tessuti. Per ravvivare i colori, miscelate poi un litro di acqua fredda e mezzo bicchiere di aceto bianco, inumidite un panno e sfregate delicatamente in direzione del pelo. Non esponete mai i tappeti al sole.

    Ambiente

    Il bucato green in 10 mosse per un guardaroba sostenibile

    a cura di Fiammetta Cupellaro

    17 Settembre 2022

    In bagno: via il calcare

    Uno dei nemici di un bagno splendente è il famigerato calcare, che si annida nei rubinetti, nella vasca, nel lavabo. Per contrastarlo meglio evitare i prodotti tradizionali, che contengono fosforo, fosfati, fosfonati, e puntare su quelli ecologici a base di citrato di sodio e silicati lamellati. Per i sanitari è utile l’acqua ossigenata, che ha un’azione sbiancante, sanificante, antibatterica, mentre per gli specchi e le ante della doccia, ma anche per i lampadari, è perfetto l’aceto bianco diluito con acqua (una parte del primo, due della seconda) messo in un contenitore spray per agevolarne l’impiego. 

    Sconsigliati i deodoranti per ambienti: sono una fonte concentrata di contaminanti dell’aria, come composti organici volatili e ftalati, usati come fissativi per le fragranze. Meglio allora aprire la finestra del bagno e usare qualche goccia di olio essenziale profumato. 

    In questa stagione capita anche di lavare, nella zona adibita a lavanderia, maglioni, sciarpe, piumini, in modo che siano pronti per l’inverno prossimo. Lasciateli asciugare all’aria su uno stendino, dentro o fuori casa, piuttosto che attivare l’asciugatrice. Così ridurrete l’impronta di carbonio e risparmierete anche sulla bolletta.

    In camera da letto: addio acari

    Togliete tende, lenzuola, coprimaterasso, federe, sottofedere e metteteli a lavare. Per igienizzare il materasso ed eliminare gli acari usate la stessa tecnica valida per i tappeti: cospargete con il bicarbonato, lasciate agire per almeno mezza giornata, quindi rimuovere l’eccesso con l’aspirapolvere. Intanto procedete alla pulizia delle doghe, della testiera e delle fasce laterali del letto: è sufficiente un panno umido per asportare la polvere che si è accumulata nei mesi più freddi. Lo stesso vale per lampade e comodini. 

    Poi svuotate armadi e cassetti, in modo da poter pulire bene gli interni. Aggiungete qualche goccia di essenza di lavanda o cannella per tenere alla larga le tarme. LEGGI TUTTO

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    Meno emissioni e soldi ai Paesi in via di sviluppo: al via il G7 sull’ambiente

    Meno emissioni di CO2, più soldi ai Paesi in via di sviluppo. Sono questi, in estrema sintesi, i due poli tra cui oscillerà il G7 dedicato al clima, all’energia e all’ambiente che prenderà il via domenica sera con la cena a cui sono invitati i ministri dei sette Paesi più industrializzati, ma che entrerà nel vivo lunedì, per poi concludersi nel primo pomeriggio di martedì con un comunicato congiunto. Come quelli dedicati alla politica estera (pochi giorni fa a Capri) e all’economia, questi vertici sono preparatori del summit dei capi di Stato e di governo del G7 che si terrà a Borgo Egnazia, in Puglia, dal 13 al 15 giugno. In quell’occasione i leader non potranno affrontare tutti i dossier e dunque i rispettivi ministri si portano avanti con il lavoro.

    Nell’evento torinese, padrone di casa (la Venaria Reale) il ministro italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, si discuterà appunto di clima, fonti energetiche e finanza. Questo G7 Clima, arriva dopo la storica Cop28 di Dubai, che ha sdoganato la “transition away” dai combustibili fossili, e pochi mesi prima della Cop29 di Baku, che si concentrerà soprattutto sugli aiuti economici che i Paesi più vulnerabili alla crisi climatica chiedono ai “ricchi”. Tra i Paesi del G7, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone, Italia, Canada, Francia, molti sono quelli che hanno le maggiori responsabilità storiche in fatto di emissioni di CO2. Per questo (e anche in virtù della loro forza economica e tecnologica) è richiesto loro lo sforzo maggiore in fatto di decarbonizzazione. Gli impegni presi in tal senso non mancano, ma, come spesso accade in queste vicende, non vengono mantenuti.

    Il bilancio

    Cop28, vertice storico ma non basta per fermare la corsa della crisi climatica

    di Luca Fraioli

    16 Dicembre 2023

    A pochi giorni dal vertice di Torino, l’associazione Climate Analytics ha analizzato i piani di riduzione delle emissioni dei Paesi del G7, riscontrando che nessuno di essi è in traiettoria per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030. “I governi del Gruppo dei Sette sono sulla strada per raggiungere appena la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra necessarie entro il 2030 per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi”, scrivono i ricercatori. “Le economie del G7 dovrebbero ridurre le proprie emissioni del 58% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, per fare la loro parte nel limitare il riscaldamento a 1,5°C. L’attuale livello di ambizione collettiva del G7 per il 2030 è pari al 40-42%, e dunque insufficiente. E le politiche esistenti suggeriscono che il G7 probabilmente raggiungerà solo una riduzione del 19-33% entro la fine di questo decennio”.

    Dunque tagliare le emissioni molto di più (sia della teoria che ancor più della pratica). Ma come? Innanzitutto definendo degli Ndc (Contributi determinati a livello nazionale) molto più ambiziosi degli attuali. E poi attuando politiche in grado di conseguirli. Per esempio, impegnandosi a a eliminare la produzione nazionale di energia elettrica da carbone e gas fossile, rispettivamente entro il 2030 e il 2035. Porre fine ai finanziamenti pubblici e ad altri tipi di sostegno ai combustibili fossili all’estero. “L’Italia e il Giappone, l’attuale e la precedente presidenza del G7, sono tra i primi 5 Paesi che sovvenzionano progetti di combustibili fossili nel G20”, fanno notare da Climate Analytics. E ancora: accelerare l’obiettivo (concordato da tutti a Cop28) di triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.

    Decarbonizzazione

    Nessun paese del G7 è in linea con gli obiettivi di ridurre le emissioni climalteranti

    di Giacomo Talignani

    23 Aprile 2024

    Recepiranno tali input i “sette Grandi” riuniti a Torino? Difficile. Il Giappone è molto legato al carbone, l’Italia continua a sognare un ruolo da “hub europeo del gas”, a promettere battaglia contro il divieto europeo di produrre automobili a combustione interna a partire dal 2035 scommettendo sui biocombustibili. Nonostante lo stop a nuove esportazioni di gas naturale liquefatto da parte dell’Amministrazione Biden, gli Usa restano tra i principali produttori mondiali di gas fossili. Così come il Canada. Il G7 procede in ordine sparso anche sul nucleare. La Germania vi ha rinunciato (e c’è chi attribuisce a tale stop la crisi economica tedesca). La Francia continua a puntarci e l’Italia vorrebbe imitarla. Domenica a Torino anche un convegno sull’energia atomica organizzato da Newcleo, Atlantic Council e ISPI, “The Role of Nuclear in the Energy Transition”: tra gli ospiti, il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia Fatih Birol. Lo stesso Birol, sempre domenica a Torino, terrà un discorso alla conferenza degli industriali del G7 (la sigla in questo caso è B7: Business Federations of the Group of Seven), altro evento organizzato in vista del G7 energia e clima.

    Tornando al vertice dei ministri: come capiremo se è stato un successo?. “Occorrerà leggere con grande attenzione la dichiarazione finale di Torino per capire come sono andate davvero le cose”, spiega Luca Bergamaschi, cofondatore di Ecco, il think tank italiano per il clima. “Ai temi davvero importanti per il G7 sarà dedicato ampio spazio, mentre poche righe potrebbero essere riservate a tematiche che interessano i singoli governi. Che però poi li potrebbero rivendicare di fronte ai media come un riconoscimento della loro posizione. Potrebbe essere il caso del gas naturale, dei biocombustibili e del nucleare per l’Italia”. C’è infine la finanza climatica. I Paesi ricchi sono ancora lontani dal mantenere la promessa fatta anni fa: 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2025. E dopo il 2025? Non ci sono promesse né impegni. Se ne parlerà appunto a Baku, in Azerbaigian, il prossimo novembre a Cop29. Ma di certo ne parleranno anche i ministri e gli inviati speciali per il clima lunedì e martedì a Torino. LEGGI TUTTO

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    Sei ingredienti per promuovere trasporti sostenibili

    Trasporti pubblici accessibili a tutti in termini tariffari, con agevolazioni per le categorie in condizione di disagio; espansione delle reti di autobus e treni, ben oltre la ramificazione attuale; maggiore sicurezza per chi si muove a piedi o in bici, affinché non venga frenato dall’adottare abitudini benefiche anche per la sua salute; restrizioni per i Suv e i voli a corto raggio, anche sotto forma aggravi economici per chi li utilizza; ripensamento delle reti di trasporti locali per disincentivare l’utilizzo delle auto private; infine introduzione di misure orientate all’equità sociale che ad esempio disincentivino l’utilizzo dei jet privati. Sono i sei ingredienti necessari per una reale promozione della mobilità sostenibile secondo uno studio realizzato da Greenpeace.

    Cambio di paradigma

    “Implementando queste raccomandazioni per trasporti accessibili, convenienti, sicuri, rispettosi del clima, connessi e socialmente giusti, possiamo creare sistemi di trasporto più verdi ed equi per tutti”, spiega lo studio realizzato dall’associazione ambientalista. Secondo la quale, questi ingredienti non solo dovrebbero combinarsi per creare una mobilità migliore, più pulita e più libertà per tutti, ma potrebbero anche aprire la strada a un cambiamento trasformativo nel modo in cui strutturiamo le nostre giornate.

    Passi in avanti in tema di mobilità condivisa

    Restando in tema di riduzione delle emissioni inquinanti legate ai trasporti, merita una menzione l’instant survey di Areté, che analizza la propensione degli italiani che vivono nelle città di Roma, Milano, Torino, Firenze e Bologna a servirsi delle forme di mobilità condivisa, anche attraverso veicoli non inquinanti come quelli elettrici. Emerge che nove su dieci conoscono il car sharing e sei su dici sono pronto ad abbandonare in futuro la proprietà dell’auto. Mentre lo scenario cambia leggermente spostando il focus sul car pooling: il 48% degli intervistati dice di conoscerlo e il 38% di questi lo ha anche usato almeno una volta.

    L’88% del campione intervistato possiede una vettura, acquistata in un’unica soluzione (50% dei casi) o tramite finanziamento (38%). Alla domanda “quale strumento di trasporto utilizzi per muoverti abitualmente in città?” otto su dieci, equamente suddivisi, rispondono a bordo di un’auto privata e sui mezzi pubblici. Il 10% si serve di moto o scooter.

    Andando ad analizzare i dati relativi alle singole realtà metropolitane, Milano risulta essere la città in cui l’utilizzo dei mezzi pubblici (ad essi si affida il 55% dei rispondenti vs il 25% di coloro che usano le quattro ruote) è più elevato.

    A Roma, complice una rete di trasporti meno efficiente, le preferenze per l’utilizzo di bus e metro per gli spostamenti urbani quotidiani scendono al 34% e l’uso dell’auto viene preferito dal 47% del campione. Se a Firenze e Bologna le percentuali di utilizzo di auto e mezzi pubblici sono pressoché appaiate, a Torino la mobilità privata prevale decisamente su quella pubblica: 51% contro 34%.

    Dunque, nonostante i passi in avanti in tempi recenti, nelle principali città italiane la mobilità privata su quella pubblica (con alcune eccezioni) anche a causa di inefficienze su quest’ultimo fronte. LEGGI TUTTO

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    L’urlo ultrasonico una difesa per le rane lettiere

    Se una rana urla in mezzo alla foresta e nessuno può sentirla, fa rumore? La risposta è sì: per la prima volta, un’équipe di ricercatori della State University of Campina, in Brasile, è riuscita a registrare – ma non ad ascoltare – il verso della rana lettiera, che abita la Foresta Atlantica brasiliana. Si tratta […] LEGGI TUTTO

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    Pfas nelle giacche a vento per bambini: rintracciate le sostanze chimiche nocive nel 63% dei test

    Le giacche outdoor per bambini, comunemente acquistate nei negozi oppure negli store online, in molti casi possono contenere PFAS – un vasto gruppo di sostanze chimiche con diversi gradi di nocività per l’organismo umano – in percentuali superiori a quelle fissate dai parametri dell’Ue. 

    Uno studio condotto da Bund, associazione tedesca per la protezione dell’ambiente e della natura, insieme ad altre 14 organizzazioni di protezione ambientale, infatti, ha rivelato che il 63% del campione di giacche selezionate contiene PFAS, acronimo di sostanze perfluoroalchiliche, molto diffuso nell’industria tessile, per rendere i capi di abbigliamento resistenti all’acqua, al grasso e alle macchie; ma queste stesse sostanze sono usate anche per imballaggi alimentari ed utensili da cucina antiaderenti, tra cui le pentole.

    Pfas, altre prove di pericolosità: allo studio il contatto con i vestiti

    di Davide Michielin

    08 Novembre 2022

    In realtà, già negli anni Cinquanta, è iniziato il ricorso ai PFAS, ma con la diffusione globalizzata di capi di abbigliamento venduti a prezzi sempre più low-cost, l’utilizzo è divenuto massiccio, con conseguenze importanti a livello ambientale, proprio per la loro forte resistenza ai processi di degradazione naturale oltre alla tendenza ad accumularsi negli organismi viventi. E questo è il segnale più inquietante, ricollegandosi allo studio tedesco sulle giacche a vento destinati ai più giovani. 

    Infatti, si legge sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che “l’accumulo dei PFAS nell’organismo umano ha effetti tossici e può essere correlato a patologie neonatali, diabete gestazionale e, in caso di esposizione cronica, formazione di tumori. Alcuni PFAS sono stati classificati anche come potenziali interferenti endocrini”. 

    Nel dettaglio, lo studio tedesco ha analizzato 56 modelli di giacche e 16 altri campioni di abbigliamento, come grembiuli, magliette, costumi da bagno e pantaloni, destinati a vari paesi del mondo, molti dei quali in Europa –  tra cui Germania, Polonia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, anche il Regno Unito – ma non al mercato italiano. Ma questo non deve allarmare meno, perché con la globalizzazione, gran parte dei brand internazionali vendono i loro prodotti su tutto il territorio del vecchio continente. 

    Se il 63% delle giacche testate è contaminato da PFAS, ben il 29% supera i limiti consentiti dall’Unione Europea, ovvero 16 campioni di giacche, mentre il 37% del test, cioè 21 giacche, era privo di cancerogeni PFAS, a dimostrazione del fatto che esistono alternative sicure sul mercato, pur riparando da freddo e pioggia, ma senza intaccare la salute dei più piccoli. 

    Addirittura due costumi da bagno provenienti dall’India avevano livelli superiori ai limiti di sicurezza proposti dall’UE. Il PFOA, una sostanza chimica nota per la sua elevata tossicità, era il PFAS più comune nei prodotti, è stato trovato in 17 giacche, nonostante il suo divieto in Ue a partire dal 2020. 

    Altro dato allarmante evidenziato dalla ricerca è la disparità regionale nella diffusione di prodotti con PFAS potenzialmente nocivi; le giacche per bambini provenienti dall’Europa dell’Est, infatti, presentavano tassi di contaminazione più elevati rispetto a quelli provenienti dall’Europa centrale e dalla Scandinavia, dove i prodotti sostenibili sono più diffusi e richiesti. 

    Il dossier tedesco suggerisce, dunque, di impostare soglie legislative uniformi a livello europeo e negli Stati Uniti, ed evitare che vi sia – come ora – una differenziazione su base locale o nazionale, affinché siano più rigidi e sistematici i controlli sull’utilizzo di PFAS nei vestiti specialmente dei bambini (ma non solo) al fine di ridurre o eliminare le emissioni di PFAS nell’ambiente. LEGGI TUTTO

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    Ecoracer 30, la prima barca al mondo completamente riciclabile

    Si chiama Ecoracer 30, la barca a vela “manifesto” della tecnologia e dei materiali che sostituiscono la vetroresina per rendere una imbarcazione completamente riciclabile, l’occasione per guardare al futuro di NL Comp, la startup triestina che opera a Monfalcone, nell’ambito di uno tra i più efficaci ecosistemi della nautica da diporto attivi in Italia. Grazie all’approvazione dei brevetti, NL Comp è diventata la prima azienda a produrre uno scafo interamente riciclabile, fornendo in licenza la tecnologia rComposite® a cantieri prestigiosi e producendo parti non strutturali per gruppi internazionali.

    Estate green

    La denuncia di Giovanni Soldini: “Ci sono motoscafi che sono bombe ecologiche”

    di Luca Fraioli

    09 Luglio 2022

    Fondata a Trieste nel 2020 da Fabio Bignolini, Piernicola Paoletti e Andrea Paduano, la startup ha deciso di impegnarsi per la salvaguardia del mare, con lo scopo di trovare una soluzione definitiva al problema della vetroresina: arrivate a fine vita, le imbarcazioni realizzate con questi materiali vengono spesso abbandonate nei cantieri, nei porti o addirittura deliberatamente affondate, con conseguenze negative sulla fauna e la flora marine. L’11 aprile scorso, l’Ecoracer 30 è scesa in acqua allo Yacht club Adriaco di Trieste, da dove partirà per partecipare al principale appuntamento della stagione: il Campionato italiano Altura in programma a fine giugno a Brindisi. In lizza non solo l’importante trofeo sportivo, ma la sfida di mostrare all’industria nautica europea la qualità della tecnologia e dei materiali brevettati da NL Comp per realizzare una barca con resine termoplastiche, riciclabili a fine vita.

    “Dal 2020 a oggi – ha spiegato l’Amministratore Delegato della società, Fabio Bignolini – abbiamo lavorato sui processi e materiali per sostituire la vetroresina, e a seguito dell’accettazione delle nostre domande di brevetto, siamo la prima azienda a produrre uno scafo completamente riciclabile, oltre a fornire in licenza rComposite® a prestigiosi cantieri e a produrre parti non strutturali per grandi gruppi internazionali”. LEGGI TUTTO

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    Via libera al nuovo regolamento per gli imballaggi in plastica nella Ue

    Il Parlamento europeo ha dato il via libera alle nuove misure sugli imballaggi per renderli più sostenibili e ridurre i rifiuti nell’Ue. Il regolamento, approvato in via definitiva con 476 voti favorevoli, 129 contrari e 24 astensioni, intende affrontare il crescente problema dei rifiuti da imballaggi, uniformare le leggi del mercato interno e promuovere l’economia circolare. Le norme, frutto di un accordo con il Consiglio, comprendono obiettivi di riduzione degli imballaggi (del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040) e impongono ai Paesi Ue di ridurre in particolare i rifiuti di imballaggio in plastica. Dalle coppette in plastica per ketchup e maionese alle confezioni monouso per frutta e verdura sono diversi i prodotti che ora il Parlamento europeo considera fuori legge. L’accordo appena votato prevede che tutti gli imballaggi siano riciclabili o riutilizzabili, riducendo al minimo quelli superflui e la presenza di sostanze nocive. Si punta anche sul miglioramento della raccolta differenziata per incentivare il mercato delle materie prime secondarie.

    Rifiuti

    Imballaggi da riutilizzare, il nuovo regolamento Ue che non piace all’Italia

    di Giacomo Talignani

    25 Ottobre 2023

    Nata con l’obiettivo di ridurre i rifiuti da packaging, la nuova legge non solo pone obiettivi ai Paesi membri, ma indica la strada da seguire per il futuro. Per l’Italia, che manda al riciclo il 71,5% dei rifiuti (dati Conai 2022), sarà una strada diversa da quella intrapresa. Stravolgerà anni di raccolta differenziata e il packaging agroalimentare, con abitudini da cambiare e nuovi costi da sostenere. Stride il fatto che l’Italia sia la leader indiscussa del riciclo mentre la norma europea punta al riutilizzo. Per intenderci, il riuso prevede che l’imballaggio sia lavato e utilizzato nuovamente; il riciclo invece preleva la plastica per darle nuova vita. “Abbiamo tentato in ogni sede di far comprendere quanto il riciclo sia una componente essenziale della filiera produttiva italiana, soprattutto nel settore ortofrutticolo, perché l’Italia è una eccellenza europea in questi processi. Ma si è scelto con testardaggine di andare verso il riutilizzo” ha commentato l’eurodeputato Giuseppe Ferrandino (Renew).

    Era infatti stata proprio questa particolare misura sul packaging per l’ortofrutta a destare la maggior preoccupazione, anche se il provvedimento ha ricadute su tutti i settori economici che utilizzano imballaggi, praticamente tutti se pensiamo a tutto ciò che nella nostra vita quotidiana troviamo imballato.  Ma c’è chi sostiene che il nostro motore economico e produttivo non sarà messo in ginocchio tanto facilmente, perché attraverso le deroghe, “siamo riusciti a ottenere meccanismi di premialità per i Paesi che raggiungono risultati importanti nel riciclo” ha dichiarato l’europarlamentare Massimiliano Salini (PPE). “Abbiamo evitato il rischio di ricadute enormi anche in termini di investimenti necessari alla riconversione di filiere produttive e alla creazione di nuove infrastrutture, come quelle necessarie a far funzionare i sistemi di riuso” ha ribadito l’eurodeputata Patrizia Toia (S&D).

    Secondo le nuove norme, entro il 2029, gli Stati membri dovranno garantire la raccolta differenziata di almeno il 90% annuo delle bottiglie di plastica monouso e dei contenitori per bevande in metallo.

    Riciclo

    Panna da caffè e cestino per il camembert: cosa non vedremo più con la legge Ue sul packaging

    di Giacomo Talignani

    22 Novembre 2023

    Riduzione e divieti

    L’accordo fissa obiettivi di riduzione dei rifiuti da imballaggio, rispetto alle quantità del 2018: 5% entro il 2030, 10% entro il 2035 e 15% entro il 2040. Tutti i divieti entreranno in vigore dal 2030 e si applicheranno soltanto agli imballaggi in plastica monouso utilizzate per: – confezioni multiple di bevande al punto vendita (per esempio: confezione da 6 di acqua e latte); – imballare frutta e verdura sotto 1,5 kg; – il consumo di bevande e alimenti in loco; – condimenti, salse e conserve consumati in bar e ristoranti; – prodotti di cosmetica e igiene negli alberghi; – buste ultraleggere, salvo se necessarie per ragioni di igiene o per cibo sfuso, come carne cruda, pesce o prodotti lattiero-caseari.

    Deroghe per i divieti

    I divieti non varranno se la plastica è compostabile e può essere correttamente raccolta e smaltita con i rifiuti organici. Una deroga è ammessa per la frutta e verdure trasformate, e nei casi in cui l’imballaggio è considerato dallo Stato membro necessario per evitare perdite di acqua, di turgore, shock fisici, ossidazione. Altri divieti, come quelli per i film in plastica per imballare le valigie negli aeroporti e per i piccoli pezzi in polistirene usati per proteggere certi prodotti durante il trasporto, sono aggiunti alla Direttiva plastica monouso attraverso una modifica mirata. Si introduce la definizione di imballaggio composito, in base alla quale un imballaggio fatto dal 95% e più di carta, sarà considerato di carta ai fini del Regolamento (e dunque escluso dai divieti).

    Obblighi di riuso

    Tutti gli imballaggi per il trasporto saranno soggetti a certi obblighi di riuso al 2030 (obbligatori) e al 2040 (indicativi). Da questi obblighi sono esclusi: – il cartone, il trasporto di beni pericolosi, i grandi macchinari e gli imballaggi flessibili a contatto con gli alimenti. Gli obblighi di riuso per cibo e bevande da asporto sono stati rimossi e sostituiti da due clausole: – che l’esercente accetti di fornire cibo e bevande nel contenitore eventualmente portato dal consumatore, sul modello tedesco; – che l’esercente offra al consumatore l’opzione di fornire cibo e bevande in contenitori riutilizzabili e che, attraverso questa offerta, ambisca a fornire il 10% di contenitori riutilizzabili entro il 2030. Gli obblighi di riuso per i contenitori per bevande pre-imbottigliate sono stati concordati per il 2030 (obbligatori) e il 2040 (indicativi) con le seguenti esclusioni: – bevande altamente deperibili, latte e i suoi derivati, vini, altre bevande alcoliche.

    Deroghe per il riuso

    Gli Stati membri possono derogare agli obblighi di riuso se: – si prevede che raggiungano e superino del 5% gli obiettivi di riciclo di un materiale da imballaggio al 2025; – sono sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di prevenzione dei rifiuti e possono dimostrare di aver ridotto, entro il 2028, di almeno il 3% i rifiuti rispetto al 2018; – l’operatore economico ha stilato un piano di prevenzione e riciclo dei rifiuti che contribuisca al raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e riciclo dei rifiuti. Ulteriori deroghe previste dalla proposta: – per le microimprese; – per gli operatori con superficie di vendita inferiore a 100 mq; – per gli operatori che immettono sul mercato di uno Stato membro meno di 1.000 kg di imballaggi per anno. LEGGI TUTTO