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Nucleare, italiani favorevoli ma solo a quello di ultima generazione. Ma i problemi tecnici ed economici sono ancora tanti

“Oltre la metà degli italiani sarebbe favorevole all’implementazione delle nuove tecnologie nucleari in Italia”. E’ questo il punto cruciale del sondaggio Swg e presentato a Pavia nel corso della giornata, organizzata da iWeek, dedicata a “Il nucleare italiano nella sfida al cambiamento climatico”. I fautori di un ritorno all’uso dell’energia atomica nel nostro Paese stanno in effetti tagliando il primo, fondamentale, traguardo: riaccendere il dibattito, trasformare il nucleare da tabù a possibilità concreta, fino ha creare un consenso diffuso nell’opinione pubblica. I sondaggi degli ultimi mesi, come conferma quello di ieri, dimostrano che il lavoro della lobby atomica e dei partiti dell’attuale maggioranza di governo (in Parlamento è passata mesi fa una mozione che sollecitava l’esecutivo in tal senso e che dava al ministro Pichetto Fratin il via libera per riaprire un tavolo tecnico) sta in effetti dando i suoi frutti: cresce la percentuale di intervistati che si dice favorevole al nucleare.

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In particolare, secondo Swg-iWeeK, il 57% sarebbe favorevole già all’implementazione di reattori dell’attuale generazione (3+), il 61% a quelli di quarta generazione, il 61% ai piccoli reattori modulari, il 60% ai microreattori. Non è però del tutto debellata la sindrome NIMBY, non nel mio giardino. Resiste nella forma: nel mio giardino, ma solo se è un nucleare piccolo piccolo. Le grandi centrali atomiche tradizionali le accetterebbero in un raggio di 20 chilometri da casa solo il 36% degli intervistati, mentre il 59% darebbe il suo ok se fossero costruite ad almeno 500 chilometri di distanza. I microreattori, invece, andrebbero bene anche a 20 chilometri per il 44% degli italiani e per il 64% se fossero ad almeno 500 chilometri. Sono comunque buone notizie per i tecnici e le imprese italiane che lavorano nel settore. Che sanno però di dover lavorare ancora molto prima di conquistare il sì definitivo dell’opinione pubblica.

Sul banco degli imputati, come spesso accade, l’informazione, colpevole di aver demonizzato in Italia il nucleare a uso civile, condannando, questa è la tesi, il nostro Paese a una arretratezza tecnologico-energetica che ora rischiamo di pagare cara, tra crisi del gas e crisi climatica. Naturalmente la comunicazione gioca un ruolo cruciale nella  formazione dell’opinione pubblica, ma la situazione è ben più complessa di così. E lo si è visto proprio nella giornata di ieri. C’è infatti il rischio di passare da una informazione pregiudizialmente contraria al nucleare a una iperottimistica, dove tutto è fattibile. Anche il sondaggio presentato tradisce questo rischio di disinformazione al contrario. Il 64% degli intervistati ritiene già disponibili i grandi reattori di terza e quarta generazione: ma di quarta generazione ce n’è in attività solo uno in Cina. Il 68% ritiene già disponibili gli small modular reactors: in realtà esistono una ottantina di progetti diversi e alcuni prototipi sono in fase di costruzione. Il 56% ritiene già disponibili i microreattori: ma il primo prototipo è in costruzione e dovrebbe essere acceso nel 2028. D’altra parte sono gli stessi cittadini ad ammettere di saperne poco: solo 1 su 3 si ritiene informato sul nucleare e 3 su 4 chiedono un surplus di informazioni.

Energia

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Che il nucleare sia una opzione per la decarbonizzazione da qui al 2050 lo sostengono in tanti, dall’Agenzia internazionale per l’energia, a Greta Thunberg, al gruppo di Paesi, guidati dagli Usa, che alla Cop28 di Dubai hanno auspicato la triplicazione della produzione di energia atomica. Giusto dunque che la ricerca continui, anche in Italia, comunicando con trasparenza i progressi fatti (e ce ne sono tanti), ma anche gli ostacoli e i tempi realistici per l’implementazione delle nuove tecnologie. Nel panel dedicato agli aspetti tecnici, il vicepresidente esecutivo di Edison Lorenzo Mottura ha per esempio indicato il decennio 2030-2040 come finestra in cui realizzare in Italia le prime centrali alimentate da small modular reactors. Ma un nuclearista convinto come Massimo Morichi, molti anni nel colosso francese Areva e oggi senior scientific advisor di Transmutex, ha fatto notare che se davvero ci fosse la “triplicazione” auspicata a Dubai non ci sarebbe abbastanza uranio per tutti e il prezzo del combustibile fissile sarebbe destinato inevitabilmente ad andare alle stelle.

“E’ un problema”, ha ammesso Riccardo De Salvo, direttore tecnico della Ultra Safe Nuclear Corporation Italia: “A regime, noi contiamo di produrre un micoreattore al giorno. Vuol dire che ogni giorno avremo bisogno di una tonnellata di uranio”. Ed ecco allora che ci si ingegna per trovare soluzioni alternative: la stessa Transmutex, che progetta di utilizzare un acceleratore di particelle per innescare la fissione nucleare, propone di usare il torio come combustibile. La Ultra Safe Nuclear Corporation spiega che i suoi microreattori potranno essere alimentati anche con il mox: una miscela di uranio impoverito, prodotto di scarto dei processi di arricchimento dell’uranio, e di plutonio, che si può estrarre dal riprocessamento del combustibile nucleare esaurito dai reattori convenzionali. Solo per dare un’idea della complessità dei temi sui quali si confrontano i massimi esperti di energia nucleare. Per venirne a capo servono ricerca, grandi investimenti e tempo.

E’ bene che l’opinione pubblica lo sappia. Dovrebbe già saperlo, invece, chi ricopre ruoli di responsabilità di governo. Ieri, all’incontro di Pavia, il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini ha ribadito il sì al ritorno del nucleare in Italia, si è spinto a proporre una raccolta di firme per un referendum in tal senso, ed ha auspicato l’accensione della prima centrale nel 2032. A che tipo di centrale si riferiva? Difficile che parlasse di SMR o di microreattori, visto che per la loro industrializzazione pochi anni potrebbero non bastare. Dunque grandi centrali tradizionali come quelle francesi? Ma il suo collega di governo, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin lo aveva escluso categoricamente a dicembre scorso, nel pieno di Cop28. “Dichiarazioni da campagna elettorale”, si dirà. Ma non è così che si aiuta l’opinione pubblica a capire davvero.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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