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Nel TerraXcube si studia come sopravvivere in condizioni climatiche estreme

Stanze rivestite da pareti metalliche percorse da tubi che possono diventare fredde come la grotta di un ghiacciaio o caldissime come una duna nel deserto, e poi spie luminose e pulsanti, monitor e droni. Sono i laboratori del TerraXcube del centro multidisciplinare dell’Eurac Research di Bolzano, che somiglia più ad un set di film di fantascienza che agli spazi di un grande polo scientifico italiano. Qui, grazie ad un simulatore di eventi climatici, vengono eseguiti da anni studi e test di tipo ambientale e sanitario. 

Seicento ricercatori, provenienti da 50 paesi diversi, riescono infatti a ricreare le condizioni climatiche del Pianeta spinte al loro limite estremo. Le più disparate: nelle stanze metalliche del TerraXcube (quattro Small Cube e una Large Cube) si può passare da una temperatura di -30°C fino ad arrivare ai 50°C. Si possono simulare piogge intense, oppure ricreare l’aria rarefatta tale e quale a quella presente fino a 9mila metri di quota. Oltre le più alte vette del mondo. L’ingegno che prende forma grazie alla tecnologia.

E se l’obiettivo è prima di tutto scientifico (si testano anche farmaci e operazioni di soccorso), c’è anche un tema etico alla base della ricerca sintetizzato dalle parole del presidente dell’Eurac Research, Roland Psenner: “Non possiamo continuare a creare prosperità sfruttando il pianeta. I paesi industrializzati dovrebbero dare il buon esempio, andare incontro ai paesi meno sviluppati e permettere loro di svilupparsi, preferibilmente senza copiare il nostro modello. Il 2030 sarà certamente il punto di svolta. Abbiamo appena otto anni”. Quindi studi e ricerche per capire come uomini, piante e ambiente reagiranno ai cambiamenti climatici e contemporaneamente capire come creare le condizioni per promuovere la partecipazione politica, l’integrazione della società e la ricerca verso una medicina sempre più personalizzata. Che poi è il futuro per la nostra salute. 

Fino al clima più estremo

Fondato nel 1992 come centro di ricerca privato con 12 persone che si occupavano solo dello studio dell’ambiente alpino, oggi l’Eurac Research conta 11 studi di ricerca ed è l’unica sede in Italia dell’università delle Nazioni Unite. I collaboratori sono ormai 600 e il centro è inserito nelle reti di ricerca internazionali tra cui la Convenzioni delle Alpi, il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, l’Agenzia Spaziale europea (ESA) e il Consiglio europeo. I modelli sui cambiamenti climatici sperimentati in Alto Adige sono condivisi con partner di ricerca europei per studiare scenari comuni. Lo stesso vale per l’elaborazione di piani energetici sostenibili e per la tutelare la biodiversità sulle Alpi.

Spiega il professor Christian Steurer, che dirige il settore TerraXCube: “Nelle nostre camere climatiche possiamo in ogni momento ricreare qualsiasi tipo di ambiente che esiste sulla terra e studiare le reazioni dell’uomo e del suo lavoro in condizioni climatiche estreme. Oppure osservare come si comporteranno tra qualche anno alcuni tipi di piante che ora stanno soffrendo a causa dei cambiamenti climatici. Le sottoponiamo ad una sorta di viaggio nel futuro, creando negli small cube uno scenario immaginato avanti di qualche decennio. Alzando la temperatura, riusciamo a capire a quale quota potranno sopravvivere. Ma sono solo alcuni esempi. Importanti sono anche i nostri studi sulla medicina di montagna e la formazione degli operatori del soccorso alpino. Possono provare qualsiasi tipo di strategia di soccorso nelle nostre camere climatiche dove possiamo riprodurre neve e ghiaccio, aria rarefatta e pendenza”. 

Droni a caccia di frane e permafrost

Il monitoraggio del territorio e la prevenzione dei disastri naturali in montagna sono gli altri due ambiti di cui si occupano i ricercatori dell’Eurac Research. Di recente, nel Large Cube del TerraXCube l’area di test più ampia, all’interno del centro per la simulazione dei climi estremi, è stato ricreato l’ambiente simile a quello presente a 9mila metri di altitudine. Qui si sta sperimentando il volo libero di un drone a cui è stata agganciata un’attrezzatura scientifica. Obiettivo: monitorare l’andamento delle frane e dei ghiacciai, e di tutti i terreni instabili. Il loro uso potrebbe sostituire le misure delle frane che oggi vengono effettuate anche manualmente, oltre che con i satelliti.

In Alto Adige, ad esempio, gli esperti di geologia spesso si devono calare tramite corda sulle pareti sotto osservazione per individuare i pericoli. L’acquisizione dei dati con i droni renderebbe più sicuro il monitoraggio delle frane che a questo punto sarebbero controllate sia via terra, sia dal satellite sia dal drone in volo che secondo gli esperti altoatesini, forniscono entrambi immagini con una precisione e dettagli decisamente più elevati. 

Una sperimentazione di questo tipo condotta dall’Eurac Research è in corso a Corvara, in provincia di Bolzano, dove un team di ricerca dell’Istituto di osservazione della Terra sta studiando l’evoluzione di una frana sulle Alpi in lento ma costante movimento. Il controllo della frana fino adesso è avvenuto attraverso tre stazioni di monitoraggio ad alta precisione piazzate a terra sia attraverso satelliti. Ora si sta testando un nuovo metodo di acquisizione di dati con i droni. Funziona così: in volo automatico sulla frana, grazie ad un lettore ottico attaccato al drone, si recepiscono i segnali che arrivano dai beacons, dispositivi molti piccoli installati sulla roccia. Tramite il tracciamento gps, il drone determina l’esatta posizione del tracciato dei beacon che verrà confrontata con quella dei voli successivi. In questo modo i ricercatori riescono a tenere sotto controllo lo spostamento della frana.

Stessa strategia di acquisizione dati, sempre con i droni dei ricercatori dell’Eurac Reasearch, sta avvenendo in un contesto molto diverso da Corvara: sul ghiacciaio di roccia di Lazam. Composto da ghiaccio misto a roccia su cui sono stati segnalati permafrost che si stanno muovendo di qualche metro all’anno. Negli ultimi anni spiegano all’Eureac Research, i droni hanno aiutato ad acquisire dati utili anche per studiare la presenza di funghi e batteri nelle coltivazioni in Alto Adige, ad esempio monitorando l’impatto delle malattie importanti nella coltivazione delle mele. 

Le alpiniste sul K2 

Presentato nei giorni scorsi a Milano una nuova sperimentazione che vedrà al centro il grande laboratorio di TerraXcube, lo Small Cube. Protagoniste 8 donne alpiniste, quattro di nazionalità italiana quattro pakistane che a giugno parteciperanno ad una spedizione sul K2. “La prossima settimana saranno nel nostro centro dove verrà ricreato l’ambiente a quota 5mila metri – spiega il dottor Steurer –  Per la prima volta saranno effettuati studi sui parametri vitali delle donne esposte per lungo tempo a quote così alte. Studi medici ci sono solo sugli alpinisti. Dopo l’ascesa sul K2 le otto alpiniste torneranno da noi e faranno nuovi test, esponendole nel terraXcube a quote naturalmente superiori”. E sembra davvero un viaggio nel futuro dove dalla salute dell’ambiente, delle piante, degli animali dipende anche la nostra. Se sta bene il pianeta, sta bene anche l’uomo. 


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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