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Lo sputo contro il vento

Chi sputa contro vento si sta sputando in faccia. Stanno così le cose tra la specie umana e il Pianeta di cui è ospite. Ma ospite è definizione che le va stretta e si è attribuita la proprietà della terra con quello che c’è al di sopra e al di sotto. Nella scrittura sacra la divinità assegna alla specie dell’Adàm il titolo di forestiero e di inquilino, “perché mia è la terra”, dice. È data in comodato d’uso, regolata da due verbi: lavorare e custodire.

Per maggiore garanzia e perché non si abusi del permesso di sfruttamento, la divinità impone la pausa di una settima porzione di tempo con obbligo di interruzione di ogni attività. Il sabato non è istituito per il riposo umano, ma per concedere un respiro alla terra. Un giorno su sette, un anno su sette, per sollievo.

Queste antiche condizioni di soggiorno sono state cancellate dalla pressione sul Pianeta da parte della specie che definisce se stessa: sapiens. A me lettore, quelle pagine spiegano i limiti oltrepassati, l’invasione di campo nell’intima biologia del mondo. Il vocabolo greco oikos, ambiente, domicilio, forma la parola ecologia. Oggi è percepita come una lontana eco che ripete a cantilena un canto funebre. Gli ecologisti sono considerati profeti di sciagure.

Da bambino ho potuto trascorrere periodi estivi al mare. Ho molto giocato con la sabbia. Da bambino napoletano, invece di castelli, costruivo vulcani. Un buco passante permetteva di far uscire fumo dalla cima. Alla fine del giorno non c’era bisogno di rimettere a posto la sabbia, ci pensavano le onde a liberarla dalle forme inventate dal gioco.Anche le fitte orme dei bagnanti venivano pareggiate. Era una lezione che ho imparato più tardi a riconoscere e apprezzare. La specie umana è impronta sulla sabbia.In alta montagna posso vedere com’era e come sarà il mondo senza la specie sapiens.

“La vita, mia cara, senza di noi è pensabile”, scrive il poeta Brodskij. Il suo verso sta per me a epigrafe di quello che vedevo da bambino tornando alla spiaggia il giorno dopo.

In anni adulti ho fatto l’operaio in edilizia, all’epoca in cui il lavoro manuale costava meno di una betoniera. Si lavorava con la pala lo scarico del camion di sabbia da rigirare a secco con il cemento e poi con l’acqua per l’impasto. Serviva alla gettata di solai, travature, pavimenti.

Vedevo i metri cubi di sabbia tolti da chissà quale greto di fiume, lago o sponda di mare, materia prima dei miei giochi estivi: ora costretta a imprigionarsi dentro una forma rigida. In edilizia la sabbia è inclusa tra i materiali definiti inerti. Non lo è, sapevo di no. Era un errore, prima che un insulto. Era fatta di sgretolamenti di gusci, di lische, di vita marina assortita. La sabbia è biologia e biografia della terra. Definirla inerte permette la licenza di disporne a oltranza.

Questa breve storia personale della sabbia mi fa da esempio dello sfruttamento delle materie vive della terra.

In anni recenti si è manifestata una parte di gioventù allarmata dalle conseguenze climatiche. Sentono che il loro futuro non è individuale. Non è  più individuale la domanda: “Cosa farò da grande?”. Le loro età successive sono inesorabilmente connesse a quella dell’intero pianeta. Sentono che il prossimo avvenire non ha verbi al futuro, ma al presente indicativo e in fine di frase presenta l’appuntito gancio del punto interrogativo: “?”

Questa parte di nuova gioventù sente di dover inventare una risposta e di assumersene responsabilità, che è voce del verbo rispondere.

Sceglie di manifestarsi con forme insolenti d’intervento, imbrattature lavabili, interruzioni di circolazione. Disturbano ma in modo rigorosamente inoffensivo.

È isolata, come il profeta Giona che grida il finimondo per le vie della lussuosa e incurante città di Ninive.

È una gioventù che ha smesso la docilità e accetta di farsi insultare e processare, compromettendo il proprio avvenire con condanne penali. Sta alla sbarra da imputata ma non si difende, non si dichiara innocente: assume su di sé il compito di testimonianza.

Non possiede la massa critica necessaria per avviare la reazione a catena del consenso.

Accetta l’emarginata missione della profezia.

Alla guida del mondo c’è la più scadente selezione di anzianità,  incapace d’intendere il futuro. Se ne sta accovacciata sul presente come su uova non gallate, che non si schiuderanno. Fa invece marcire il tempo utile del mondo a ravvedersi e provvedere.

Questa nuova gioventù presenta all’ordine del giorno del mondo il verbo convertire, più forte e profondo delle misure palliative di contenimento delle emissioni.

Questa gioventù anticipa le prossime generazioni che inventeranno l’economia delle riparazioni dei torti, degli abusi commessi a danno della vita del Pianeta.

Questa gioventù grida come Giona dentro Ninive. Ninive lo ascoltò e la sua rovina annunciata fu revocata.

Oppure la terra si riprenderà da sola i sabati negati, tutti insieme e con gli interessi di mora.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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