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La pellicola fotovoltaica che si può indossare

Si moltiplicano gli studi sul fotovoltaico, concepito non più, o per lo meno, non solo come tecnologia usata per trasformare l’energia solare in elettricità, ma anche per nuove ed inedite applicazioni. Il celebre centro di ricerca giapponese Riken per le Scienze della Materia Emergente, infatti, sta lavorando da tempo ad una pellicola fotovoltaica organica impermeabile e flessibile, che potrebbe rivoluzionare un settore emergente, quello dell’elettronica wearable, applicata sui tessuti, quindi nel campo dell’abbigliamento. Il prototipo realizzato “è una cella solare a tutti gli effetti che, come tutti i dispositivi fotovoltaici, assorbe la potenza luminosa e la trasforma in potenza elettrica: maggiore è il rapporto tra potenza elettrica disponibile ai morsetti della cella fotovoltaica e la potenza della radiazione luminosa più efficiente è la cella solare”, spiega Paola Delli Veneri, responsabile della divisione solare fotovoltaico di Enea.

Raggiungere l’impermeabilità in questi dispositivi indossabili fino ad oggi, significava sacrificare la flessibilità a causa dell’aggiunta di strati protettivi che ne limitava il movimento, ma la ricerca, pubblicata su Nature Communications, segna una svolta rispetto agli esperimenti del passato: gli scienziati, infatti, sono riusciti a mantenere l’estrema flessibilità della pellicola, conferendole resistenza all’acqua. Questo significa che può essere inserita nei vestiti e funzionare correttamente anche dopo essere stata bagnata dalla pioggia o addirittura lavata.

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“L’articolo scientifico è focalizzato su celle solari organiche a film sottile, caratterizzate da spessori di qualche millesimo di millimetro, in cui lo strato assorbitore, cioè il materiale che assorbe la luce solare è di tipo organico. Queste celle solari, inoltre, hanno prospettive di produzione a basso costo e possono essere fabbricate su supporti flessibili”, aggiunge l’esperta di Enea. Il metodo giapponese è riuscito a produrre una pellicola di soli 3 micrometri di spessore, ma nei test condotti nei laboratori del Riken la pellicola fotovoltaica ha dimostrato la sua straordinaria resilienza; è stata immersa in acqua per 4 ore, riuscendo a conservare l’89% della sua performance iniziale. Come ultimo test, l’hanno fatta passare attraverso un ciclo di lavaggio in lavatrice, ed è sopravvissuta anche a questa prova, mantenendo caratteristiche vicine all’originale.

I dispositivi wearable, perfettamente integrati negli abiti, sarebbero tali grazie allo sviluppo di celle per la ricarica, proprio perché non avrebbero necessità di sostituire le batterie, e per esempio potrebbero trovare ampia applicazione in campo medico. “Questo tipo di celle solari ultraflessibili potrebbero alimentare non solo dispositivi elettronici indossabili di utilizzo quotidiano, ma essere utilizzati in serre a tunnel, tensostrutture e più in generale in tutte le applicazioni in cui serve un peso ridotto e flessibilità”, sottolinea ancora Paola  Delli Veneri.

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E se nel centro giapponese, ricerca e sviluppo di questa nuova promettente tecnologia procedono a gran velocità, com’è la situazione in Italia? “Sicuramente ci sono gruppi che sviluppano celle a film sottile basate su materiali organici, ma anche inorganici o ibridi organici-inorganici quali ad esempio le perovskiti e il tema della flessibilità è un topic di rilevante interesse per chi studia tecnologie FV a film sottile. In Enea, ad esempio, si studiano celle a film sottile di silicio e celle polimeriche con uno spettro di trasmissione compatibile con quello della crescita di piante, da integrare in serre con coperture fotovoltaiche. In sostanza l’idea è che una parte dello spettro solare venga trasmesso alle piante e un’altra parte venga utilizzato per produrre energia elettrica”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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