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In primavera nascono più gatti ed è un problema per l’ambiente

Sebbene sia una animale da compagnia equiparato al cane, il gatto ha un impatto ecologico molto diverso. Se nazioni come l’Australia già nel 2021 hanno emanato leggi per il contenimento dei gatti domestici e l’Accademia polacca delle scienze nel 2022 li ha inseriti nell’elenco delle specie invasive, l’aumento della loro popolazione dovrebbe far suonare un campanello d’allarme.

Mentre i ricercatori ancora dibattono se i gatti abbiano davvero un peso determinante nella diminuzione della popolazione di uccelli (e la britannica Royal Society for the Protection of Birds ancora lo mette in dubbio, di fronte a minacce ben più evidenti per l’avifauna) negli Stati Uniti i rifugi e le colonie che accolgono i felini domestici lanciano l’allarme per un aumento notevole delle cucciolate primaverili. Alcuni, senza però citare studi specifici, si spingono a ipotizzare che con l’aumento delle temperature l’estro delle femmine si prolunghi. Perché il cambio climatico, che già ha effetti conclamati su molte specie, non dovrebbe allungare la stagione degli amori dei gatti a primavera? 

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A chiarire come funzioni davvero la riproduzione stagionale dei gatti è il professor Stefano Romagnoli dell’Università di Padova, esperto che ricopre numerose cariche internazionali nell’ambito della medicina della riproduzione dei piccoli animali. Per cominciare, Romagnoli smentisce un possibile aumento delle cucciolate: “Nella nostra attività di ospedale veterinario non abbiamo osservato variazioni nel numero di cucciolate, negli ultimi tempi.  Abbiamo un network di allevatori di gatti come clienti e siamo anche in contatto con strutture di recupero, e non ci risulta alcuna variazione della sequenza dei cicli nelle gatte che sia imputabile al clima più caldo. Temo che le fonti americane riportino una serie di impressioni o convinzioni personali, che non trovano alcun riscontro nei dati scientifici disponibili nella letteratura mondiale”.

C’è poi da precisare che l’estro delle gatte non è influenzato dal clima. “La gatta è una specie a riproduzione stagionale nella quale l’ipofisi smette di funzionare in autunno e ricomincia non appena aumentano le ore di luce, ovvero al solstizio d’inverno. – spiega Romagnoli – Già verso fine dicembre si notano i primi calori specie nelle gatte randagie, perché esposte al fotoperiodo naturale, mentre le gatte di allevamento, o che vivono in casa, ne risentono meno perché in ambiente domestico si spenge la luce quando si va a letto. I calori, poi, aumentano come frequenza durante tutto l’inverno e primavera, iniziano a diminuire dal solstizio d’estate in poi (21 giugno) e cessano nella maggioranza (70-80%) delle gatte all’inizio dell’autunno.  Si comportano così le gatte che vivono in zone temperate dove ci sono le stagioni, mentre ai tropici o all’equatore l’effetto stagione non c’è e, in presenza di cibo, la riproduzione si osserva durante tutto l’anno, con variazioni osservabili nell’alternanza tra stagione secca e stagione delle piogge”. 

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L’aumento delle temperature, uno degli effetti principali del cambio climatico, perciò non ha effetti sui gatti. “No – continua l’esperto – perché sulla ripresa del ciclo nella gatta ha effetto il fotoperiodo, cioè la durata delle ore di luce,  fattore che determina la ripresa della funzione ipofisaria in tutte le specie stagionali come, oltre alla gatta, cavalla, pecora e capra per citare gli animali domestici più comuni, e la maggioranza delle specie selvatiche.” L’unico effetto che un aumento di temperature può avere sulle cucciolate riguarda una maggiore sopravvivenza dei cuccioli. “La temperatura non influenza l’ipofisi – ribadisce Romagnoli -, ma può influenzare l’aumento del numero di neonati grazie a una maggiore disponibilità di cibo per le madri che fanno più latte, o anche dei gatti giovani quando imparano a cacciare”.

Romagnoli dà perciò un’altra spiegazione a un eventuale aumento del numero di randagi che vengono portati nei rifugi. “Non dimentichiamoci che sono molti i fattori che possono influenzare il numero di gatti randagi presenti sul territorio – dice – tra cui ad esempio l’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione o alla guerra in Ucraina. Molte persone che  potrebbero portare un gatto dal veterinario per castrarlo non lo fanno per mancanza di risorse e magari poi abbandonano l’animale invece che tenerlo in casa. Si tratta di un problema complesso, che non ha una spiegazione semplice bensì multifattoriale, e non è neanche detto che si conoscano bene tutti i fattori”.

Certo è che è bene limitare la riproduzione dei gatti.Sono una specie molto fertile che, se lasciata libera di riprodursi può aumentare molto velocemente in presenza di un habitat con risorse disponibili. Non va poi sottovalutato che se i gatti randagi  aumentano senza controllo possono fare danni alla fauna selvatica, in particolare alle specie aviarie. I gatti sterilizzati non hanno la tendenza a muoversi sul territorio alla ricerca del partner durante la stagione di riproduzione, tendono a rimanere confinati in territori più delimitati e provocano meno danni.  In realtà la sterilizzazione spesso non è sufficiente per risolvere la situazione in quanto non appena si castra un riproduttore (maschio o femmina che sia) ne compare un altro che riempie il vuoto lasciato, però è comunque un modo per contenere il problema ed evitare che esploda”, conclude Romagnoli. 

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Paola Matrigali Tintori, presidente della sezione Enpa di Perugia, concorda che a fare aumentare il numero dei gatti nei rifugi non siano più nascite dovute al cambio climatico. “Da sempre la primavera è il momento in cui ci arrivano più gatti – dice la presidente – , ma i numeri non mostrano una crescita costante. Nel 2023 ne abbiamo accolti 65 contro i 48 del 2022 e i 73 del 2021. Oltre alla crisi economica un motivo che aumenta gli abbandoni è la morte di persone anziane che avevano molti gatti in casa. Potrei fare molti esempi: nel 2022 una signora anziana che è stata ricoverata in una struttura ha lasciato 21 gatti che accudiva intorno a casa e anche pochi giorni fa siamo intervenuti per prenderci cura di 15 gatti di una persona deceduta e di un’altra, portata in ospedale, che ne aveva 20. Vero che il clima cambia e non ci si capisce più nulla – commenta Matrigali Tintori – ma per noi il problema è una popolazione sempre più anziana che spesso non riesce a occuparsi di tutti i gatti che accoglie“.

Di sicuro, tuttavia, per rifugi e colonie feline la primavera è la stagione delle emergenze. Andrea Atzori dell’Associazione Culturale “Amici di Su Pallosu”, celebre per la colonia felina diventata un’attrazione turistica della marina di San Vero Milis, in Sardegna, conferma: “Questo è il periodo dell’anno in cui da sempre ci sono più nascite e da maggio a ottobre si registra anche il 70% dei circa 300 abbandoni annuali. Da noi, tutti i gatti presenti da 15 anni a questa parte sono stati sterilizzati, vaccinati e dotati di microchip sottocutaneo: è indispensabile farlo per il loro benessere e per l’ambiente”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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