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Giulia Furfaro, la biologa che scopre i nudibranchi

Laggiù c’è da sorprendersi, e innamorarsi. E per lei fu non a caso un colpo di fulmine, o quasi. Quei molluschi variopinti, privi della conchiglia nello stadio adulto, e così diversi l’uno dall’altro: ce ne sono più di tremila specie, li accomuna l’effervescenza dei colori, quasi sempre sgargianti e arlecchineschi, segnale chiaro e inequivocabile per i potenziali predatori.

Così i nudibranchi, molluschi gasteropodi spesso trascurati dal grande pubblico, sono diventati la ragione di vita di Giulia Furfaro, biologa marina, 39 anni, romana ormai stabilmente di stanza a Lecce, dove è ricercatrice all’Università del Salento. Da qui, da questo piccolo osservatorio sul mare, scopre nuove specie, una dietro l’altra.

Flabellina affinis (foto: Michele Solca) 

“Ed è nato tutto per caso, quando dalla parete affiorante di un canaletto di acqua marina spuntò un esserino molliccio coloratissimo e il mio mentore, il docente Paolo Mariottini, a cui sarò sempre debitrice, mi disse che i malacologi in fondo avevano sempre un po’ bistrattato i nudibranchi, forse proprio perché non hanno la conchiglia. Fu allora che, da laureanda all’università Roma Tre, decisi che me ne sarei occupata, profondendo tutto il mio impegno. Sono diventati il leitmotiv delle mie giornate. Al punto che è stato proprio grazie ai nudibranchi che ho conosciuto Michele, quello che sarebbe diventato mio marito: lui, fotografo naturalista subacqueo, scattava. Io li osservavo”.

Giulia Furfaro durante un’immersione (foto: Michele Solca) 

“Dapprima – spiega la biologa – ho compreso che la perdita della conchiglia, struttura difensiva che è spesso oggetto di attenzione da parte di collezionisti e appassionati, ha portato alla creazione di incredibili strategie di difesa. Poi mi sono lasciata affascinare dai loro superpoteri. Per esempio, la capacità di rubare alle prede di cui si nutrono le armi difensive – composti chimici repellenti o tossici, cellule urticanti o spicole – li rende oggetto di studio davvero interessante: consentono di investigare aspetti biologici di rilevanza fondamentale come i meccanismi alla base della comunicazione cellulare, le relazioni simbiotiche tra specie diverse e le nuove molecole bioattive potenzialmente utili anche in ambiti farmaceutici”.

Giulia, laurea Magistrale in Biodiversità e Gestione degli Ecosistemi all’università Roma Tre, dottorato in Biologia Molecolare, Cellulare ed Ambientale, un percorso portato avanti con tenace ostinazione (“La mia infanzia ed adolescenza non sono state facili e mi sono ritrovata spesso sola in momenti critici della mia carriera”) ha contribuito alla scoperta di diverse specie di nudibranchi, spesso in collaborazione con Egidio Trainito, divulgatore scientifico e appassionato di Mar Mediterraneo. Tra queste, Atalodoris pictoni e Atalodoris camassae.

Spesso è decisiva la citizen science, foto e segnalazioni che ci arrivano da appassionati o semplici bagnanti magari impegnati in una sessione di snorkeling. Nel caso della seconda specie abbiamo assegnato il nome omaggiando un’amica e grande fotografa subacquea scomparsa prematuramente, appassionata di nudibranchi al punto da osservare questa specie per prima, intuendo che potesse trattarsi di qualcosa di non conosciuto.

C’è poi la storia straordinaria del Dondice trainitoi, un nudibranco dalla notevole fluorescenza iridescenza e dalle caratteristiche placche nere del bulbo buccale. Giulia è stata la prima a descriverlo: “Attirò la mia attenzione durante un’immersione su un relitto a circa 30 metri di profondità, non distante da Civitavecchia. Un nudibranco così non lo avevo mai visto, pensai subito che potesse trattarsi di qualcosa che non era ancora noto alla scienza e mi si fermò il fiato. Solo sei anni dopo, insieme a Paolo Mariottini, abbiamo potuto finalmente descriverlo”.

Dondice trainitoi (foto: Michele Solca) 

L’ultima specie che ha “scoperto” è stata campionata nel Mar Mediterraneo profondo, a poco più di quattrocento metri di profondità. “Si tratta della Tritonia callogorgiae, una specie che si nutre di un corallo profondo – la Callogorgia verticillata – da cui prende appunto il suo nome”. E non finisce qui.

Crediamo di sapere tutto sul Mar Mediterraneo, quando in realtà non smette mai di stupirci e ci ha regalato altre specie non ancora note alla scienza, che avrò modo di descrivere prossimamente con il mio lavoro con l’Università del Salento. Questo bacino ospita davvero un hot-spot di biodiversità.

Bursatella leachii (foto: Michele Solca) 

Ma il suo futuro è in bilico, oggi più che mai. Cambiamento climatico, acidificazione, inquinamento, diportismo selvaggio: gli ecosistemi ne soffrono, eccome. “Nelle mie immersioni ho potuto osservare con i miei occhi il degrado e la sofferenza di alcuni ambienti sottomarini, e anche la diminuzione del numero di specie di nudibranchi che li popolano”.

I variopinti molluschi arcobaleno sono, del resto, una cartina di tornasole efficace della salute dei nostri mari. “Proprio così. – annuisce la biologa marina – I nudibranchi sono intimamente connessi ad altri organismi invertebrati marini di cui si nutrono: così il declino delle loro popolazioni si traduce, inevitabilmente, nella scomparsa dei nudibranchi associati”. Tra gli indiziati, micro e nanoplastiche.

“Stiamo cercando di capire se e come il marine litter interagisca con i nudibranchi. Siamo partiti da una specie che è, per la verità, solo un parente stretto dei nudibranchi, ma ha una popolazione abbondante nel Mar Piccolo di Taranto, un bacino semichiuso che presenta, ahinoi, elevati livello di inquinamento da plastica, e non solo. Ebbene, la Bursatella leachii, – la specie scelta per lo studio – vive sul fondale marino e si nutre selezionando direttamente dal detrito il cibo da ingerire. Dopo aver prelevato diversi campioni ho studiato il contenuto stomacale: i risultati, pubblicati sulla rivista Scientific Reports di Nature  hanno mostrato chiaramente come tutti gli individui analizzati contenessero molte particelle di microplastica. Non c’è dubbio che sia così anche per gli altri molluschi, nudibranchi in primis”. Un motivo in più per invertire la tendenza.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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